VI RICORDATE QUANDO SI STARNUTIVA E TI DICEVANO "SALUTE"... BEI TEMPI

Non c’è pace per il Movimento Cinque Stelle a Bruxelles.

La sua vita è da sempre stata complicata dal fatto di NON ESSERE STATO ACCETTATO DA NESSUN GRUPPO,
e quindi dall’essere stato la stampella della Commissione Von Der Leyen in cambio di meno che un piatto di lenticchie.

Ora si viene a spaccare sul voto relativo al PAC, l’importantissima e controbattuta Politica Agricola Comune, uno dei capitoli principali del bilancio comunitario.


Tutto deve essere letto nell’ottica della completa follia a-scientifica che sta colpendo Parlamento e Commissione

per cui tutti sono convinti, di riuscire a modificare il clima mondiale

(attenzione, mondiale, di cui l’Unione è una parte secondaria ed ambientalmente ininfluente)

sulla base di costose politiche strambe e di tasse ai cittadini.



Sulle prime ci sarebbero esempi esilaranti, sulle seconde inizierete ad accorgervene dal 2021.

Fatta questa premessa il PAC doveva essere anch’esso dipinto completamente di verde, ma ,
per le pressioni degli agricoltori ed in generale delle associazioni di categoria, questo tocco si è limitato a qualche pennellata.


Come votare allora? Qui sono iniziati i litigi.


Dei 14 deputati nove si sono schierati con il capogruppo Giarrusso votando si alla CAP;

mentre cinque, Piernicola Pedicini, Eleonora Evi, Ignazio Corrao, Rosa D’Amato, Laura Ferrara, hanno votato contro,

perchè anno ritenuto che la componente “Verde” non sia sufficiente e che quindi la misura sia da respingere.



Come abbiamo detto non si tratta di una posizione su un punto secondario,
ma forse su quello più importante nel bilancio e nelle politiche europee.

Appare evidente che un po’ di membri vuole entrare nei Verdi, dai quali sono stati già rifiutati,
e quindi cerca di farsi accettare con comportamenti conclusivi,
mentre una parte non sa bene che strada prendere e si mantiene equidistante.

........magari una scissione farà chiarezza.
 
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha convocato il Consiglio Supremo della Difesa per il 27 ottobre.

I contenuti di questo importante vertice rimangono sconosciuti ai cittadini:
è anche giusto così, visto e considerato che la segretezza su queste riunioni fa parte della sicurezza dello Stato.

Ma il piccolo uomo di strada, che forse non ha memoria e conoscenza delle punizioni militari,
che probabilmente non ha fatto servizio di leva, che non ha ascoltato i discorsi degli anziani spettatori di guerre e tragedie varie,
potrebbe anche domandarsi perché avvengano queste riunioni.

Certamente in quella sede il presidente della Repubblica toccherà l’argomento “coprifuoco”.

Quest’ultimo è un termine italiano, comprensibile ai più, e non lascia dubbi esotici
ed elastiche interpretazioni quanto il tristemente noto “lockdown”.

In molti sorge il dubbio che, il vertice serva anche a prevedere militarmente eventuali rivolte,
a pianificare come soffocare in tempo aneliti di piazza antigovernativi.


Scopriamo così il volto militarmente cinese dello Stato italiano?


Ma rimaniamo al tema coprifuoco.

Quest’ultimo è un ordine perentorio, il suo rispetto viene per competenza affidato all’esercito, ai militari.

Chi fermato a violare il coprifuoco non subisce un semplice fermo di polizia o l’arresto,
che la magistratura ordinaria potrebbe non convalidare.

Valgano da esempio gli arresti che polizia, carabinieri, Finanza e polizie locali effettuano durante le manifestazioni:
gli arrestati vengono poi portati davanti al giudice con la presenza d’un avvocato,
e nella maggior parte dei casi il magistrato non convalida la detenzione.

Diversamente, il coprifuoco è una consegna militare, e chiunque colto a violarlo subisce la consegna in caserma, ovvero una punizione.

Il coprifuoco è un ordine imposto dall’autorità statale, obbliga i militari a farlo applicare,
quindi pone le forze di polizia in collaborazione con l’esercito.

Ed i civili, che non hanno un permesso rilasciato dall’autorità,
hanno obbligo di restare nelle proprie abitazioni durante le ore di coprifuoco, solitamente quelle notturne.

Generalmente, il coprifuoco viene utilizzato al giorno d’oggi quando sorgono problemi d’ordine pubblico,
specie se la popolazione civile corre rischi d’azioni di guerra del nemico.


Ma chi è il nemico oggi, forse il virus o c’è dell’altro?



Resta il fatto che il coprifuoco è stato decretato.

Ai trasgressori vengono applicate le norme militari, che vigono su tutto e sino a revoca del provvedimento.

Certo, in questi giorni circolano ancora voci sul fatto che vi sarebbero sanzioni pecuniarie, multe salate.

Ma i militari non girano col taccuino dei verbali, loro devono solo ottemperare a trattenere i trasgressori in caserma, nel perimetro militare.

L’articolo 1362 del codice dell’ordinamento militare non lascia scampo a dubbi,
si tratta di consegna di rigore, e si applica su chiunque violi senza permesso un ordine.

Se le massime istituzioni dello Stato ammettono e dichiarano che questo periodo va considerato come momento di guerra,
i militari possono prendere in consegna chiunque violi regole o s’opponga a governo ed organi dello Stato.

Il terzo comma del codice militare lascia al comandante del presidio o della caserma l’opportunità di far scontare le eventuali consegne di rigore
(in questo caso violazioni del coprifuoco o altro) in apposito spazio militare:

ovvero alloggi di caserma, camerate con brande ed accesso a bagni comuni e servizi di mensa.

Al comma 5 si precisa che: “I locali destinati ai puniti di consegna di rigore hanno caratteristiche analoghe a quelle degli altri locali della caserma adibiti ad alloggio”.


Il controllo sui puniti viene affidato ovviamente all’esercito, che segue le disposizioni di ciascuna forza armata:

i consegnati devono rispettare come sveglia l’alzabandiera (alle 6 del mattino), l’adunata delle 7,
l’accesso ordinato a bagni e mense, il tempo consentito per docce e lavaggio indumenti,
soprattutto non possono comunicare all’esterno della caserma con corrispondenza ed apparecchiature elettroniche (computer e cellulari).

La consegna militare in caserma di chi contravviene il coprifuoco è esecutiva dal momento del fermo del trasgressore.


Particolare, non secondario, è che il militare può sparare su chiunque tenti d’evadere dal perimetro della consegna,
e mai un giudice potrà condannare il gesto come eccesso o crimine.


Stante i fatti, i vertici dello Stato potrebbero considerare eccessivo l’uso del coprifuoco,
quindi ripiegare su italianissime mezze misure, ovvero mezzo coprifuoco
o trequarti di coprifuoco con tanto di pacca sulle spalle e ramanzina al trasgressore in maschera di Halloween.

Non mancherebbero gli eccessi, non ci sorprenderebbe vedere i governatori Vincenzo De Luca e Michele Emiliano
vestire i colori delle milizie delle rispettive regioni, ormai chiuse nei propri confini: saprebbe non poco di balcanizzazione delle politiche regionali.


Tutto questo per un virus?


Quando sappiamo che basterebbe buonsenso e prevenzione per arginarlo.


O c’è dell’altro?
 
Da settimane sui media è girata la parola d'ordine "oblio".


Musica a tutto volume, volti sorridenti, un coltello ben appuntito sventolato in primo piano.

È il video girato da un gruppo di clandestini su un barcone diretto in Italia.

All’inizio a sorridere e atteggiarsi a favore di videocamera sono in tre,
poi qualcuno si accorge di quello che sta accadendo e si offre a sua volta sorridente alle riprese.


Il video, nel quale si vedono solo giovani uomini a bordo dell’imbarcazione, è stato divulgato.

“Clandestini arrivano in Italia con coltello in mano e musica a tutto volume”, si legge nella grafica del filmato.

“Con tutti i problemi che ha l’Italia dobbiamo accogliere anche questi?
La parola d’ordine di un governo serio dovrebbe essere: porti chiusi”
 
«Ormai mi sono convinta. La ragione per la quale abbiamo un dpcm a settimana
è perché Conte non vuole rinunciare al suo programma settimanale».

Il programma del premier è «di domenica sera in prime time, alle 20.30,
così lo guardano milioni di persone nella sua grandissima telenovela Il decreto…».


«Ho sentito Conte», fa sapere la leader di FdI.

«Lui fa sempre questa telefonatina pro forma a 3 minuti dalle sue conferenze stampa.
La conferenza stampa, domenica scorsa, era convocata alle 21.30 e puntuale, come avevo previsto,
la telefonata del premier è arrivata alle 21.27.

Ed io gli ho risposto: guarda presidente, ti ringrazio, ma ti ascolto direttamente in tv,
non mi fare queste telefonatine pro forma. Non siamo tutta gente che cade dall’albero del pero».
 
Un allarme che ha iniziato a circolare in queste ore sui social, mettendo subito in fibrillazione gli utenti
già provati da settimane di restrizioni sempre più intense, con l’incubo di una chiusura generale del Paese
che continua a stagliarsi all’orizzonte.

I siti web di Italo e Trenitalia hanno reso impossibile la prenotazione dei treni a partire dal 13 dicembre 2020,
come evidenziato da diverse testate, facendo così pensare che il governo stia nascondendo qualcosa ai cittadini.

Nello specifico, un possibile lockdown a ridosso del Natale,
ipotesi d’altronde circolata nelle scorse settimane nell’esecutivo giallorosso.


Ma come stanno davvero le cose?


Se, effettivamente, si tenta di prenotare attraverso il sito di Trenitalia per una data successiva al 13 dicembre,
il messaggio che si ottiene è “Nessuna soluzione trovata”.

Italo, invece, segna direttamente in rosso le date successive a quell’arco temporale.

Si è così subito pensato a una mossa necessaria per evitare che un eventuale lockdown natalizio possa portare al caos sui mezzi pubblici,
affollati di persone desiderose di tornare raggiungere i propri cari prima dell’entrata in vigore delle limitazioni, così da poter trascorrere con loro le feste.

O ad una mossa necessaria per non dover incappare in una montagna di richieste di rimborso biglietti.


La versione ufficiale, in realtà, è che per il secondo weekend di dicembre è già in programma il cambio d’orario ferroviario,
con le aziende che stanno già riprogrammando i treni impedendo, dunque, al momento la possibilità di prenotare un viaggio.

Un semplice aggiornamento, niente di più.

Anche se i dubbi, in diversi utenti, sono rimasti.


Qualcuno si è chiesto perché, ad esempio, andare a creare tanti grattacapi a chi, semplicemente,
vuole prenotare in anticipo un viaggio per il periodo natalizio evitando così di trovarsi a fare i conti con l’esaurimento dei biglietti.

Altri sostengono quanto sia strano che finora era sempre stato possibile effettuare operazioni con larghissimo anticipo.
 
Coprifuoco in tutta Italia, come già sta accadendo nelle Regioni con i dati più preoccupanti, anticipato però addirittura alle 21.

Oppure obbligo di uscire di casa soltanto per andare a scuola, a lavoro, o per “svolgere attività essenziali”.

Non proprio un lockdown ma quasi.

Sono queste le ipotesi sulle quali sta ragionando in queste ore il governo,
che programma già un’ulteriore stretta qualora i numeri dei contagi e dei ricoveri in terapia intensiva
dovessero continuare a crescere nonostante le misure già adottate:

decisivi saranno i prossimi 7 giorni, una settimana nella quale l’esecutivo spera di riscontare i primi effetti benefici dopo le ultime restrizioni.


Conte continua a non voler prendere ufficialmente in considerazione l’ipotesi di un lockdown nazionale, come ribadito già più volte in questi giorni.

Il ministro della Salute Roberto Speranza, di contro, spera non sia necessario ma non se la sente di escludere un ritorno alla situazione di inizio anno,
quando fu necessario fermare il Paese per scongiurare il peggio.

Con le Regioni si lavora intanto al rafforzamento delle attività territoriali per la diagnostica e la prevenzione,
nel tentativo di dotare i medici di base di una strumentazione “più efficiente per la presa in carico del paziente”
e far respirare di più, di conseguenza, le strutture ospedaliere.


Speranza ha già annunciato il via della sperimentazione per i test rapidi nelle farmacie,
mentre in queste ore si va delineando un bando per selezionare duemila operatori da mettere in campo
per effettuare tamponi e informare gli italiani sulle procedure.

Le strette, però, restano inevitabili agli occhi del governo.

In particolare si ragione sulla limitazione degli spostamenti tra Regioni nel weekend: in alcune i supermercati restano aperti, in altre no.

Da qualche parte c’è il coprifuoco, non ovunque.

La paura, così, è che si registrino troppi “sconfinamenti”, ipotesi che preoccupare e potrebbe spingere l’esecutivo a imporre un nuovo stop.


Tra i capitoli sospesi ci sono le sale giochi, che vanno verso la chiusura, e palestre e piscine.

Per queste ultime i rappresentanti di categoria hanno presentato al ministro dello Sport Vincenzo Spadafora
le linee guida che rendono obbligatorie le prescrizioni fin qui facoltative, come misurazione della febbre ai clienti,
ingressi contingentati, percorsi differenziati negli spogliatoi.

L’ultima parola, però, ora spetta a Conte.

Un quadro tutt’altro che roseo, con sullo sfondo un punto di ritorno già segnato sul calendario: 2.300 posti in terapia intensiva.

Se si dovesse raggiungere quella soglia, il governo sarebbe concorde nell’imporre il lockdown su tutto il territorio.
 
Il comune di Roma conta ben 23mila dipendenti, ma ce ne fosse uno che abbia la voglia
o l’ordine, di mettere a posto le scrivanie o la cancelleria.

Così Virginia Raggi non ha trovato altra soluzione
se non quella di pagare ben 653 mila euro a una ditta esterna per compiere queste semplici operazioni.


Questo è lo scoop del Tempo, che nell’edizione del 21 ottobre scrive:

“L’ultima beffa in Campidoglio. Appalti per incollare etichette”.


A parere dell’amministrazione capitolina non ci sono infatti dipendenti idonei al compito.


“E’ tutto annotato in una determina firmata dalla Centrale unica degli appalti di Roma Capitale,
la numero 434 del 2020” si legge nell’articolo del quotidiano romano.

“Ci sono 635.703 euro e 56 centesimi messi a bilancio per il servizio integrato di ausilio agli uffici,
all’archiviazione e alle attività dedicate al pubblico”.


Gli addetti a questo difficilissimo compito,
“passeranno il turno tra la consegna copie di atti,
la sistemazione di documenti, la distribuzione di moduli o di materiale di cancelleria
ed appunto l’applicazione di etichette su documenti ed a fini inventatoriali”.


In pratica, più di 600mila euro dei contribuenti vengono distribuiti a società il cui compito è quello di etichettare faldoni e mettere le penne nei porta penne.


Diciamo che in una città piena di problemi, ancor più piegata dalla crisi economica derivante dal Covid,
questi erano soldi che potevano essere a dir poco investiti meglio.

Ma si sa che la Raggi all’inventario ci tiene molto … e forse 600mila euro per tenere la cancelleria in ordine
è una di quelle spese che lei e il suo partito puntano a mantenere.
 
Come tutti sanno, il M5S è in crisi ormai da mesi.

Anzi, a dirla tutta, il lento declino è iniziato pochi mesi dopo la formazione del governo giallorosso.

In circa un anno, infatti, i grillini sono riusciti a dimezzare i propri voti e a passare da primo a terzo partito d’Italia

Di qui le varie voci su possibili scissioni in un movimento alla canna del gas: il primo indiziato è sempre stato Alessandro Di Battista,

Eppure, le quotazioni di «Dibba» sono attualmente in ribasso.

Ecco perché inizia a circolare un’ipotesi: e se fosse Di Maio a farsi un proprio partito, quanto prenderebbe?


Questa è la domanda che si è posto il quotidiano La Notizia, che ha quindi commissionato un sondaggio all’Istituto Lab21 diretto dall’esperto Roberto Baldassari.

Ed i risultati sono stati sorprendenti: un ipotetico partito di Di Maio varrebbe addirittura il 9,2%.

Si tratta di numeri potenziali e ipotetici, certo, ma tutt’altro che irreali.


In pratica, l’attuale ministro degli Esteri prenderebbe molti più voti di Italia viva di Renzi.


Analizzando il bacino elettorale del partito, l’83% dei suoi potenziali elettori verrebbe dal M5S, com’era facile attendersi.
In sostanza, Di Maio da solo andrebbe di fatto a svuotare il già traballante movimento fondato da Beppe Grillo.

Per il resto, l’ex vicepremier raccoglierebbe 10,4% dall’area di centrosinistra, di cui l’8,3 direttamente dal Pd.

Solo il 4,2% varrebbe invece la fetta soffiata al centrodestra.


Secondo il sondaggio, insomma,

«la squadra del Ministro farebbe un salto in avanti rispetto ad un qualsiasi partito nascente
ma allo stesso tempo andrebbe ad indebolire notevolmente, per non dire decretarne la morte, l’attuale Movimento 5 Stelle.
Perché è proprio da quel bacino che proverrebbero oltre l’80 per cento degli elettori di Di Maio».

I risultati del sondaggio sono quindi stati commentati da Francesco D’Uva nello studio di RaiNews24:

«Questi dati – ha detto il deputato M5S – ci dicono quanto sia importante la leadership di Luigi Di Maio,
che al di là del ruolo o dell’incarico resta un leader nel Movimento.
Le posizioni prese finora, il fatto che ci ha portato in Parlamento con il 32%
o che abbiamo vinto il referendum con un suo impegno in prima persona, dimostrano proprio questo».

Per ora, naturalmente, stiamo parlando di fantapolitica, e la strategia di Di Maio rimane quella di riprendersi la leadership del movimento.

Ma se il M5S dovesse affondare, chissà che il ministro degli Esteri non possa davvero farci un pensierino…
 
La Lombardia non è Milano.
Lo facciano là il coprifuoco alle 23.00
Qui abbiamo il diritto di andare a putt... (anche dopo le 23.00)
senza sottostare ad uno stato di polizia.

Giovedì 22 ottobre, ore 22.50.
Una leggera pioggerellina – qualcuno la definirebbe inglese – inumidisce i marciapiedi e le strade di Lecco.
I minuti finali della partita di Europa League tra Celtic e Milan scorrono sui maxischermi dei pochi locali aperti,
a favore degli altrettanto pochi avventori che cercano di godersi l’ultima birra della serata.
Con calma e serenità, nonostante i minuti a disposizione siano ormai pochi.
Già, perché stasera, come in tutta la Lombardia, anche qui scatta il coprifuoco voluto da Attilio Fontana, governatore della Regione.

Sono le 23.
È sera tardi, quindi non c’è nessuna campana che suona per avvisare dello scatto dell’ora.
Una pattuglia della Polizia Locale si ferma in Piazza Cermenati.
In giro poche anime, rari passanti che, imbacuccati per ripararsi dalla pioggerella e dal venticello freddo,
si affrettano a tornare verso casa o verso l’automobile.
Stessa situazione nella vicina Piazza XX Settembre: deserti i tavolini dei locali, deserta la strada.
I gestori dei bar si scambiano un rapido saluto vicendevole mentre chiudono la serranda, ma non ci sono clienti da esortare ad andarsene.

Spostandosi sul lungolago, la situazione cambia di poco.
Le 23 sono ormai alle spalle da qualche minuto.
A piedi non c’è anima viva, ma qualche auto è ferma ai semafori.
Per strada i mezzi sono più che altro della RAI e del Giro d’Italia:
oggi c’è stata la “tappa regina” della corsa, da Pinzolo fino ai Laghi di Cancano, in Valdidentro,
passando dal Passo dello Stelvio, e terminata con la vittoria dell’australiano Hindley.

Con l’avanzare dei minuti, in modo inversamente proporzionale diminuisce il numero di veicoli in transito.
Ormai circolano solo camion.
E una volante della Polizia.
E poi ancora la Polizia, ferma all’incrocio tra il lungolago e Capodistria, pronta a fermare le auto e ad effettuare i controlli di rito.

Sono ormai le 23.15 e i lecchesi a quanto pare sembrano aver preso molto sul serio il coprifuoco:
un silenzio surreale è sceso sulle strade della città, i passi rimbombano tra le pareti dei palazzi.
Sembra quasi di stare dentro a un quadro metafisico di De Chirico.

Eppure, qualcuno potrebbe obiettare che non ci siano grandi differenze rispetto a un qualsiasi altro uggioso giovedì sera di fine ottobre.

E forse non sbaglierebbe di molto.

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Francamente non capisco come mai un papa così "avanti", non abbia ancora
messo in pratica le sue enunciazioni, regalando le varie proprietà al popolo,
iniziando da Castelgandolfo sino alle palazzine acquistate di recente.........
Eh già....c'è un detto : armiamoci e partite.

Tra i molti e imperituri valori della Dottrina sociale della Chiesa,
l’intangibilità della proprietà privata,
l’incentivo all’imprenditoria privata,
la sussidiarietà e la conseguente critica dell’accentramento statalista
sono tra i principali, tra i più radicati nello spirito cristiano
e tra i più coincidenti con i fondamenti del sistema economico-sociale dell’Occidente.

Per quanto si voglia deformare questa Dottrina secondo interessi politico-sociali,
questi capisaldi (ovviamente insieme ai cardini teologici che li presiedono) non possono essere stravolti.


Può pertanto stupire che la Pastorale sociale che promuove la Dottrina sociale della Chiesa in Argentina
abbia invitato come relatore d’onore l’attuale presidente argentino, il quale, più di ogni altro prima di lui,
ha – nei relativamente pochi mesi dal suo insediamento – fatto del contrario di quei princìpi il fondamento della sua azione di governo.

Stupisce cioè che la Chiesa sostenga un’azione, ormai diventata dilagante,
di distruzione, di requisizione e di denigrazione della proprietà privata e dei beni personali (e spesso anche pubblici),
di intimidazione e ricatto nei confronti di imprenditori (piccoli o grandi che siano) e singoli cittadini,
di centralizzazione e di statalizzazione dell’economia e della società in tutti i suoi aspetti,
dall’educazione all’informazione.


Ma lo stupore svanisce
non appena si pensi al rapporto strettissimo, organico direi, fra la Conferenza episcopale
il che significa fra il vertice del Vaticano (anche la minima azione della Chiesa argentina avviene con il placet di Papa Bergoglio) –
e il movimento neocomunista oggi al governo.

Certo, l’invito al presidente Alberto Fernández è istituzionalmente legittimo, ma il suo significato politico è:

la Chiesa appoggia, in senso sostanziale e concreto, l’azione del Governo peronista-kirchnerista e la sua ricetta economico-sociale.


La Chiesa ovvero il suo vertice vaticano fornisce sostegno e collabora attivamente
all’elaborazione del programma di statalizzazione dei mezzi di produzione


(il piano ideologico di requisire e statalizzare aziende in difficoltà si realizza con il tentativo fraudolento
di indebolire le imprese sane proprio per poterle poi “recuperare”
(espressione diabolica, che si avvicina per sadismo al “lavoro rende liberi” di nazionalsocialistica memoria)

assegnandole a strutture statali o a gruppi di attivisti che potrebbero ritrovarsi a gestire una proprietà senza alcuna competenza
e soprattutto senza alcuno scrupolo morale, di collettivizzazione di quante più attività industriali e artigianali possibile.

I cosiddetti “movimenti popolari” o “sociali”, che Bergoglio ha sempre ardentemente appoggiato,
che si organizzano in quelli che in Italia vengono definiti lavori socialmente utili o che nel migliore dei casi
diventano pseudo-imprenditori abusivi e proprio perciò destinati a fallire e a ritornare, inesorabilmente, a percepire i sussidi statali:
questo è il circolo malefico e distruttivo dell’economia socialista argentina oggi in vigore,

di requisizione della proprietà privata

(sono in crescita vertiginosa i casi di occupazioni abusive di terreni privati da parte di gruppi che in nome di fantomatici diritti ancestrali
– delle cosiddette “popolazioni originarie” – violano i più basilari diritti di proprietà, contando sul sostegno esplicito del Governo,
che a sua volta li utilizza come teste d’ariete per scardinare princìpi giuridici e realtà di fatto).


E sullo sfondo si staglia l’epidemia da Coronavirus, che il Governo, per palese incapacità, non riesce a gestire
(da marzo sta costringendo il paese a un lockdown totale con il risultato
di aver messo la pietra tombale sull’economia senza essere riuscito a contenere il dilagare dei contagi)
e che anzi, per strumentalismo politico, non vuole risolvere,
perché ha preso a pretesto l’epidemia per smantellare il tessuto produttivo e sociale del Paese,
tenere sotto scacco i cittadini, affondare la classe media e facilitare la diffusione di un’ideologia del terrore
(secondo la vecchia modalità staliniana) che paralizzi le persone e che, al tempo stesso,
plasmi le giovani generazioni secondo i dettami ideologici di questo abborracciato ma caparbio tentativo totalitario.


Ora, con linguaggio demagogico di impronta sindacale e di tipo spiccatamente sinistrorso,
il documento ufficiale della Pastorale sociale argentina mira, usando una formula tipicamente populistica
(e caratteristica anche del politicamente corretto), a “una cultura dell’incontro, a un paese per tutti”,
e, seguendo una linea ideologica anti-occidentale e terzomondista, auspica un progetto socio-economico
“che ci allontani da un modo neoliberale di produzione” e che, di conseguenza,
elabori esperimenti collettivistici apparentemente innovativi ma in realtà vecchi e marci come l’ideologia bolscevica.


Il nemico è dunque il liberalismo, mentre il comunismo sarebbe la soluzione.



Ma ciò fa strame della Dottrina sociale della Chiesa, che non può difendere la propria verità,
perché è ostaggio di un potere – pur legittimo e sacrosanto – come quello papale,
che è la massima autorità nel campo ecclesiastico in generale.

Vilipesa da Conferenze episcopali più simili a soviet che a organismi religiosi,
sequestrata da autorità apicali vaticane che ragionano in termini ideologici,
l’autentica Dottrina sociale della Chiesa non ha voce, se non quella del testo,
che però è esposto a interpretazioni tendenziose.


Ma facciamo un passo indietro:

come è accaduto che in Argentina si instaurasse un Governo comunista?

I quattro anni del Governo centrista di Mauricio Macri sono passati infruttuosamente,
scanditi da slogan progressisti, senza alcuna riforma economica in senso liberista,
senza una vera ricostruzione liberale della società
e senza una effettiva affermazione dei valori tradizionali in senso conservatore.

Un quadriennio sprecato in una retorica politicamente corretta, tanto vacua da risultare fastidiosa,
e soprattutto inutilizzato dal punto di vista dei rapporti di forza politici:
un Governo che in quattro anni non agisce affinché venga rinviata a giudizio l’ex-presidente Cristina Kirchner,
accusata di appropriazione indebita e perfino toccata dal sospetto di mandante morale dell’omicidio del magistrato Alberto Nisman,
è connivente con il kirchnerismo oppure è inetto, e non si sa quale delle due opzioni sia peggiore.


Si è trattato di una parentesi fallimentare, che ha portato all’attuale Governo.

Infatti, quando in una situazione catastrofica come quella argentina si adotta una politica economica insipiente,
che imita quella peronista, mirando a galleggiare e senza quel piglio liberista necessario a rivitalizzare il mondo produttivo
e ad attrarre investimenti dall’estero, il crack è scontato, ma più ancora si genera un cortocircuito nella mente dei cittadini:

gli elettori che volevano una svolta liberista in economia e conservatrice nei valori sono rimasti non solo delusi ma anche sconvolti,

mentre quelli che la temevano si sono galvanizzati, con il risultato che la coalizione centrista-progressista di Macri ha perso

una parte del suo elettorato e quella di estrema sinistra di Fernández-Kirchner ha ripreso forza,
secondo la più elementare ma anche la più ferrea logica politica: un voto in meno da una parte e il medesimo voto in più dall’altra non fa uno ma due.

Se poi trasferiamo questa logica aritmetica alla logica storica, il danno causato dall’ignavia del macrismo è colossale,
perché ha oggettivamente favorito l’avvento di un Governo che, emulo del chavismo e del castrismo,
sta tentando la più feroce e, come spiegherò, più lucida operazione neocomunista degli ultimi decenni in Occidente.


Così il variegato sottobosco peronista, che va dai giustizialisti ortodossi agli eredi dei montoneros
(il corrispettivo argentino delle Brigate Rosse), passando per il fronte sindacale e per caudillos locali
che assomigliano più a capibastone che a leaders politici, ha vinto le elezioni (esattamente un anno fa)
imponendo quella svolta comunista e pauperista gradita anche dalla Chiesa argentina
con poche eccezioni che possiamo ben definire eroiche, e soprattutto da Papa Bergoglio.


Dice bene l’attuale Pontefice, quando afferma che “questa economia uccide”, ma sbaglia nell’identificarla:
non è l’economia capitalistica, nelle sue varie versioni, dal liberismo statunitense all’economia sociale di mercato tedesca, a uccidere,
bensì quell’economia che Bergoglio auspica e, laddove realizzata, difende.

A uccidere è il sistema social-comunista, come appunto quello argentino, il quale soffoca le libertà personali,
paralizza l’iniziativa privata, distrugge la classe media e massacra quella più abbiente,
stroncando letteralmente vite umane, portando alla disperazione i produttori senza così riuscire a togliere dalla miseria gli indigenti totali,
e infine creando una casta – il partito o il movimento al governo – di autentici parassiti che si autoriproducono a spese di coloro che
– nonostante tutto – producono ricchezza e – culmine della perversione – a scapito dei poveri autentici,
che vengono blanditi ma non fattivamente aiutati a uscire dalla povertà.

Questa è l’economia malata e ammorbante, quell’economia perversa che nonostante la lunga scia di disastri e di crimini
che ha lasciato in molte aree del mondo continua a riprodursi, come un virus-chimera, malattia mortale della mente e della società.


La nuova enciclica bergogliana Fratelli tutti, che non solo nel titolo

ma pure nei contenuti rappresenta l’adattamento teologico-politico dell’agghiacciante motto marxiano

“proletari di tutto il mondo unitevi”, è la più recente sinossi di questa teoria economica, sociale e religiosa.

Se la sfrondiamo dalle molteplici implicazioni di carattere teologico e culturale,

vediamo che possiede un compatto nucleo teorico e un preciso obiettivo:

decostruire il concetto di proprietà privata, depotenziandolo e modificandolo in senso collettivistico e anti-capitalistico.



Se si condiziona la validità e l’esistenza della proprietà privata a obiettivi estrinseci, generici e potenzialmente strumentalistici,
allora essa perde il valore di intangibilità che deve avere per restare tale, proprietà appunto:
ciò che è proprio non può essere alienato, se non per mezzo di una violenza estorsiva.

Ed è proprio questa inviolabilità, che in altre epoche e in altre prospettive, anche nella Chiesa,
aveva un senso di sacralità che preservava la proprietà da qualsiasi aggressione, ad essere oggi calpestata.


L’enciclica in questione si premura infatti di dichiarare che

“la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata”
.


Intaccato il principio della proprietà, si può passare ad enunciare e a imporre il suo opposto:

“Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale, è un diritto naturale, originario e prioritario”.



Qui la proprietà privata viene subordinata a obiettivi che appaiono celesti e quindi, in sé, superiori ma che sono meramente strumentali.

Affermando infatti che :

“tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro,
non devono intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione”,

si teorizza la collettivizzazione della proprietà, alla quale viene concesso uno spazio residuale:

“Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto secondario
e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete,
che devono riflettersi sul funzionamento della società”,

la quale dunque si organizzerebbe meglio senza il fardello della proprietà privata.


La “realizzazione integrale delle persone” è infatti una banalità utile a qualsiasi demagogia,
un fumogeno per confondere la ragione e mimetizzare le finalità.

Subordinare il diritto di proprietà a uno scopo così anodino e manipolabile significa annullarne la validità, piegandolo a qualsiasi arbitrio ideologico.

L’avvertimento che segue chiarisce questa intenzione obliqua:

“Accade frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica”.

Ossia accade che la proprietà privata non accetti di farsi sopprimere o ridimensionare,
e che dunque debba essere eliminata, con ogni mezzo necessario,
per instaurare la giustizia sociale corrispondente al diritto prioritario della socializzazione dei beni.



Ma la proprietà privata invece è un diritto originario:
dal punto di vista antropologico, sociale e perfino ontologico è il diritto fondamentale, perché perimetra l’identità come sfera di proprietà.

La Dottrina sociale della Chiesa infatti non la difende solo perché San Tommaso l’ha stabilita come un punto fermo teologico-morale,
in quanto diritto naturale, ma anche perché l’evoluzione storica della Chiesa è intrecciata – in un rapporto di causalità reciproca –
con la civiltà occidentale che ha nel diritto di proprietà uno dei suoi principali criteri.


Solo con una grande mistificazione si può oscurare questa posizione storica tradizionale della Chiesa e arrivare alla conclusione che

“il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri”.

Come se la difesa di un principio fondamentale come la proprietà fosse un arbitrio
o una prevaricazione nei confronti di altri diritti suppostamente superiori
o come se tale difesa fosse in contrasto con la devozione verso Dio e il rispetto delle Scritture.


Così si struttura anche la strategia del neocomunismo argentino, frutto di incroci teorici e di mescolanze operative,
nel quale si condensano le istanze della teologia della liberazione con quelle del peronismo,
il comunismo cristiano e il marxismo culturale, in un calderone in cui il Vangelo e il Capitale sono empiamente uniti.

Se a forgiare materialmente la pentola è stato il variegato movimento peronista di sinistra,
la chiave di questo grande contenitore è nelle mani, eminentemente, di Papa Bergoglio,
e il pensiero di Bergoglio è a sua volta la chiave per comprendere genesi,
meccanismi e sviluppi di questo esperimento sociale, economico e religioso.



Il programma socioeconomico del Papa e di quella parte della Chiesa che lo segue
coincide con l’obiettivo del governo Fernández-Kirchner:

riformulare anche legislativamente la struttura della proprietà privata per poi abolirla come oggetto
o almeno abrogarne le caratteristiche essenziali concrete.

Tutto però dovrà essere fatto con una doppia velocità, in vista di un’ulteriore sintesi (sempre papale).

Per un verso accelerando sul terreno propagandistico e militante, favorendo e incentivando azioni contro la proprietà privata
(dall’attività di quei “movimenti sociali” che sotto il manto dei lavori socialmente utili creano lavori economicamente inutili,
fino alle recenti occupazioni, soprattutto in Patagonia, da parte di gruppi di delinquenti che si autodefiniscono mapuches
ma che in realtà sono predoni sociali sobillati da astuti ideologi appartenenti ai mai scomparsi “montoneros”);

per un altro verso in modo lento sul piano politico e legislativo
(gli espropri ammantati da nazionalizzazione come quello che il governo ha tentato di fare con l’industria agroalimentare Vicentin
hanno, per il momento, subìto un rallentamento, per opportunità contingente e non per convincimento teorico,
in attesa di una situazione più favorevole che il governo stesso sta appunto preparando,
con l’aiuto benedicente di grandi autorità morali e religiose).


Ma queste differenze di velocità servono a raggiungere meglio lo scopo.


Oggi molti peronisti criticano il comunismo spinto dei kirchneristi
(ma si tratta in ogni caso di lotte fra bande appartenenti al medesimo sinistro orizzonte),
del quale denunciano alcuni eccessi nell’azione senza però criticarne i presupposti teorici anti-liberisti, anti-occidentali, nazional-autarchici,
ma domani, quando l’ombrello protettivo di Bergoglio si farà più ampio e incisivo, anche questa conflittualità interna alla sinistra si stempererà.


Come si aprirà questo ombrello?

A quasi otto anni dal suo insediamento, Bergoglio non ha mai visitato il suo Paese natale,
pur avendo effettuato oltre trenta viaggi apostolici in tutti i continenti.

Non lo ha fatto, perché non voleva dare il benché minimo avallo alla presidenza Macri
(avversario dei peronisti filo-comunisti e quindi sgradito all’orientamento papale),
ma ora con il ritorno di un governo kirchnerista le condizioni si sono realizzate:
la paralisi degli spostamenti causata dalla pandemia non gli ha consentito di recarvisi quest’anno
ma sembra ormai sicuro che nella prima metà del 2021 farà questo atteso – e per molti aspetti storico –
viaggio apostolico in Argentina, che sarà allora già diventata una Repubblica socialista.


Sarà l’apoteosi della dottrina sociale di Bergoglio (ma l’umiliazione della Dottrina sociale della Chiesa)

e la consacrazione dell’esperimento socio-economico-religioso neocomunista,
nel quale la teologia della liberazione può unirsi al neomarxismo senza dover rinunciare alla religione,
e il marxismo può mescolarsi con la religione senza dover rinunciare all’odio di classe,
che perdura e viene alimentato in attesa di deflagrare, come dimostra un recente episodio dalle sfumature quasi freudiane,
quando un alto esponente del Governo ha sostenuto, con un abominevole disprezzo di classe,
che il milione di argentini scesi qualche giorno prima nelle strade delle principali città del paese per protestare
contro gli abusi del Governo “non sono il popolo”, come se ci fosse un popolo autentico e uno falso
:

da un lato i peronisti-kirchneristi e dall’altro i loro avversari.


Sembra incredibile che ci sia ancora qualcuno al mondo ad avere l’impudenza di riproporre il vecchio ritornello leninista e maoista:

il popolo siamo noi comunisti, e tutti gli altri sono nemici di classe,

ma è ancor più inquietante che vi sia qualcuno che pur di raggiungere il proprio obiettivo cavalchi l’onda di questa criminale follia ideologica.
 

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