VI RICORDATE QUANDO SI STARNUTIVA E TI DICEVANO "SALUTE"... BEI TEMPI

La "forte raccomandazione di non dare luogo a riunioni con più di 6 persone" non appartenenti al nucleo familiare
nelle proprie abitazioni ha scatenato le immancabili, comprensibili e divertenti – molto – ironie di social e giornali.

Si tratta certamente di una norma curiosa, quasi una contraddizione in termini: una non-norma,
almeno nella lettura kelseniana del precetto giuridico, laddove la norma è norma
solo qualora dalla sua violazione discendano delle conseguenze pratiche.


Non ci troviamo quindi di fronte a una norma vincolante.


D’altronde, è evidente che, anche qualora fosse stato costituzionalmente legittimo – e non lo sarebbe stato –
prevedere una regola con l’automatica operatività di una sanzione amministrativa a partire da un fatidico “settimo ospite”,
sarebbe comunque concretamente impossibile garantire una forma di controllo tanto capillare da tradurla in realtà sul piano pratico.


Dal punto di vista del diritto pubblico, si tratterebbe peraltro di una disciplina in contrasto con un ordinamento liberale,
nel quale l’ingerenza dello Stato deve in via di principio fermarsi sulla soglia delle private abitazioni.


Un diverso significato avrebbe potuto avere una previsione in termini vincolanti, pur senza una correlata sanzione.


Al di là delle considerazioni sull’idoneità un di criterio numerico, rigido,
a tenere conto di situazioni diverse legate alle numerose variabili del caso concreto,
dalla previsione di un esplicito divieto deriverebbero delle conseguenze interessanti,
non tanto sul piano dei rapporti verticali tra il potere pubblico ed i soggetti privati,
quanto sul piano civilistico, dei rapporti paritari tra privati.


Ad oggi, infatti, il soggetto che assuma di essere stato contagiato da un altro soggetto inconsapevolmente positivo sarebbe privo di tutela;
ciò anche qualora il contagio del secondo – e la successiva trasmissione del virus ad altri –
sia la diretta conseguenza dell’adozione di comportamenti non coerenti con un canone cautela di massima cautela
che una situazione di emergenza sanitaria che si regge su un equilibrio precario imporrebbe.


Il soggetto leso non potrebbe agire in giudizio per il risarcimento del danno ingiusto a causa della mancanza di uno dei quattro requisiti della responsabilità aquilana.


Mancherebbe, infatti, proprio la violazione di una norma giuridica vincolante.
 
Questo è il livello di idiozia al quale siamo arrivati.
Pensate che è una FAQ del Ministero.
Le mascherine di comunità hanno valenza ZERO contro il covid.
In quanto al loro interno non esistono sistemi filtranti.
Tutt'al più si possono portare sopra le altre con "finalità estetiche"
Se proprio vuoi fare azione di prevenzione, specialmente per le categorie "deboli"
devi imporre l'uso delle FFP2
Portare una mascherina di comunità ed il nulla - ai fini della tasmissione del covid - è identico.


Le mascherine chirurgiche sono le mascherine a uso medico,
sviluppate per essere utilizzate in ambiente sanitario e certificate in base alla loro capacità di filtraggio.

Rispondono alle caratteristiche richieste dalla norma UNI EN ISO 14683-2019 e funzionano impedendo la trasmissione.



Le mascherine di comunità, come previsto dall’articolo 16 comma 2 del DL del 17 marzo 2020,

hanno lo scopo di ridurre la circolazione del virus nella vita quotidiana e non sono soggette a particolari certificazioni.

Non devono essere considerate né dei dispositivi medici, né dispositivi di protezione individuale,

ma una misura igienica utile a ridurre la diffusione del virus SARS-COV-2.
 
Ultima modifica:
Mascherine FFP2 e FFP3
In ordine di potere filtrante abbiamo prima, per efficenza, le mascherine
indicate ai medici o a persone a stretto contatto con malati Covid-19: FFP2 e FFP3.

Devono avere marchio CE e l’indicazione UNI EN 14683,
che è la norma per la prestazione tecnica che ne garantisce requisiti e caratteristiche.

Le FFP2 e FFP3 hanno una efficienza filtrante del 92% e 98% rispettivamente.

Devono essere indossate con precisa procedura che viene insegnata in appositi corsi.

In entrata, queste mascherine filtrano anche le particelle più piccole di virus (chiamate “aerosol”)
che spesso si producono in quantità durante alcune procedure mediche effettuate in ospedale su pazienti con insufficienza respiratoria.


Mascherine chirurgiche
Tra i DM le più note sono le comuni mascherine chirurgiche,
anch’esse regolate da marchio CE e da una norma, la UNI EN 14683:2019.

Sono usate dai medici per proteggere i pazienti quando sono sul tavolo chirurgico e vanno bene per i malati,
perché limitano la diffusione nell’ambiente di particelle potenzialmente infettanti bloccando almeno il 95% dei virus in uscita.

Non hanno una funzione filtrante in fase inspiratoria,
pertanto non proteggono chi le porta dall’inalazione di particelle aeree di piccole dimensioni (aerosol)
,
ma forniscono comunque una minima protezione anche a chi le indossa da “droplets” (goccioline pesanti) nell’ordine circa del 20-30%.

Questi DPI e DM, quando li compriamo, dovrebbero avere impressi i marchi CE e delle norme relative UNI
che sono garanzia di requisiti di resistenza a schizzi liquidi, traspirabilità, efficienza di filtrazione batterica, pulizia da microbi.


Altre tipologie meno comuni
Un’alternativa alla mascherina chirurgica sono le FFP1, che hanno un’efficacia filtrante del 80%.

Proteggono gli altri, ma in buona parte anche se stessi.


Esistono infine anche maschere in elastomeri o tecnopolimeri dotate di filtro sostituibile P2 o P3
regolamentate dalla UNI EN 140 (semimaschere e quarti di maschera) e UNI EN 143 (filtri antipolvere).

L’efficienza filtrante di questi dispositivi è analoga a quelli delle FFP2 e FFP3,
con il vantaggio di una migliore tenuta sul viso ma con un maggiore disagio dovuto all’incremento del peso.



Mascherine di comunità, consigli ISS

Arriviamo alle mascherine di comunità.
L’ISS spiega che «devono essere multistrato» e che possono essere «confezionate in proprio».

Ha da poco dedicato una FAQ all’argomento sul suo sito.


Tra le risposte:
«Non sono soggette a particolari certificazioni.

Non devono essere considerate né dei dispositivi medici, né dispositivi di protezione individuale, ma una misura igienica».

«Devono essere realizzate in materiali multistrato che non devono essere né tossici né allergizzanti né infiammabili
e che non rendano difficoltosa la respirazione. Devono aderire al viso coprendo dal mento al naso».
 
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Cosa aspettarsi di meglio da una banda di idioti al comando ?
Invece che difendere l'interesse dei lavoratori - che oramai non sono più la loro base elettorale -
"pensano ???????" ad altre utopie. Tanto il loro stipendio è certo.

Il coronavirus torna a far paura. E il governo sembrerebbe pronto a un nuovo lockdown di due settimane.


Sono chiacchiere da retroscena per ora.

Il premier, Giuseppe Conte, invita a limitare gli spostamenti.

Fa capire che a breve non sono previste altre misure o nuovi Dpcm (dopo quello di domenica).

Ma quella curva dannata che rischia di rovinare tutto.

Drink bevuti in strada dai più giovani e speranze di chi quei drink li vende, ogni santa notte, sulle strade delle nostre città.

Non sono esclusi, dunque, nuovi interventi nelle prossime settimane se non caleranno i positivi.

Come riporta il Messaggero le ipotesi sul campo sono queste:

si va dalla chiusura anticipata degli esercizi pubblici,

a un lockdown di qualche settimana su scala nazionale.


Altro nodo, le scuole. C’è chi pensa al ricorso massiccio alla didattica a distanza a rotazione, quanto meno alle superiori e alle università.


Il ministero della Salute da giorni invoca con forza interventi più rigorosi.

Si vedrà nel prossimo weekend, se i nervi resteranno altrettanto saldi.

C’è un particolare che vale la pensa citare.

I tamponi eseguiti sono molti di più.

In sintesi: ogni settimana i nuovi casi raddoppiano, significa a questo ritmo che martedì ci troveremo con 30mila nuovi positivi e almeno 1.200-1.300 pazienti in terapia intensiva.

Se le previsioni sono esatte, provvedimenti come il lockdown nazionale
o la stretta di palestre e piscine potrebbero prenderebbero forza.

In questa tempesta si aspettano le indicazioni del comitato tecnico scientifico.

Gli "scienziati" vogliono un chiarimento anche con il premier Conte per definire meglio il loro ruolo.

"Non sono ancora andate a regime le disposizioni varate tre giorni fa", sostengono da Palazzo Chigi.

Nel presentare le misure era stato lo stesso Conte domenica sera a parlare di una settimana prima di vedere i primi effetti delle restrizioni.


Ciò non toglie che il governo di fatto spinge le Regioni affinché procedano in autonomia
con provvedimenti restrittivi a seconda dell’andamento della pandemia.

Intanto, al ministero degli Interni, ieri, si è discusso anche della mobilità fra Regioni,
ma ancora non sono state autorizzate chiusure.


Il ministro della Salute, Roberto Speranza, continua a essere tra i più preoccupati.
A suo sostegno c’è il ministro, Dario Franceschini, con il collega della Giustizia, Alfonso Bonafede,
sempre più convinto della necessità di chiudere.

Senza se e senza ma.
 
Lo scenario disegnato dai decreti delle tre Regioni rischia di andare a sbattere contro una valanga di ricorsi di cittadini multati:

«E saranno ricorsi vittoriosi - assicura l'avvocato milanese Mauro Sandri, già protagonista delle battaglie contro il lockdown della primavera scorsa -
perché tutti questi decreti difettano di un requisito essenziale per qualunque norma:

la chiarezza, la precisione che faccia capire bene al cittadino cosa può o non può fare. Sono divieti generici, e come tali inapplicabili».

Nel mirino c'è la norma, comparsa in extremis nel decreto lombardo,
che consente di compiere senza incorrere in sanzioni il tragitto dal locale a casa anche dopo l'orario del coprifuoco.

In sostanza, basta uscire dal ristorante alle 23, e poi avviarsi verso la propria abitazione.

Ma chi stabilisce la velocità dell'andatura e il tragitto da percorrere?

«Sono valutazioni inevitabilmente arbitrarie - spiega Sandri - che rendono inapplicabili i decreti.
Oltre ad essere devastanti per il sistema economico, questi divieti sono impossibili da ottemperare».

Che consiglio darebbe a un nottambulo impenitente fermato in flagrante dai vigili?

«Fare ricorso. Le contravvenzioni sono tutte nulle perché il provvedimento che sta alla loro base è viziato».
 
E' come nel calcio che diventano un po’ tutti tecnici della Nazionale.

Certo, la pretesa di molti di offrire soluzioni, più o meno spicce, all’offensiva del Covid è scusabile
in nome del desiderio sempre più acuto di uscirne.

E della paura che domina.

Ma in questi ultimi giorni questa voglia si sta progressivamente trasformando in una diffusa protesta interiore,
in una rabbia che non può non avere come obiettivo il Governo Conte.


Su questo sfondo, nel quale latitano misure effettive e provvedimenti rapidi e incisivi,
la inevitabile grancassa dei media martella quotidianamente, ora dopo ora,
un’opinione pubblica la cui attesa di scelte concrete è resa vana,
producendo un surplus di ansia mentre il sovraccarico mediatico ne aumenta la paura di fondo.

Le prime pagine dei quotidiani e lo spettacolo in diretta tv sono uno specchio
nel quale si sommano e si moltiplicano le impennate di positivi e vittime,
le previsioni contrastanti sulla soglia del lockdown, le proteste di commercianti e imprenditori,
il numero dei contagiati nelle famiglie e fra gli anziani

di modo che ognuno, come si dice, le spara più grosse.


Il Governo non impone un metodo e così non si sa cosa stia succedendo e cosa succederà, se non il coprifuoco,
una parola del tempo di guerra che abbinata al lockdown si spalma sui mezzi di comunicazione,
la cui forza spettacolare potenzia non solo la realtà in mostra ma rende spasmodica quell’ansia o speranza
per una fuoriuscita sulla cui data, ad aumentarne la crescita, si differenziano le previsioni di medici e scienziati.


Non vi è dubbio che la pressione mediatica giuochi un ruolo di fondo,
e le sue frequenti esagerazioni offrono il destro a critiche motivate.


Le Regioni alle quali il Dpcm di Giuseppe Conte ha per molti aspetti delegato compiti spiacevoli e opzioni impopolari,
sapendole prive delle forze e dei poteri per farle rispettare, con un Governo che non ha voluto assumere scelte più rigorose,
giacché il metodo del premier è quello della indecisione, della incertezza, delle infinite mediazioni, dei rinvii.

E che di fronte ad una pandemia a livello mondiale, il presidente del Consiglio
abbia ritenuto di affidare importanti interventi alle Regioni, la dice lunga sulle velleità e, soprattutto, sulla impreparazione.


Il fatto è che il tempo dei rinvii e dei ritardi è finito per sempre per un Conte

che si era ritagliato un ruolo speciale, quasi esterno alla dinamica politica,
legato a una funzione istituzionale accresciuta dallo stato di emergenza
e dalla impossibilità per l’opposizione, con i veti del Quirinale, di una crisi al buio.


Un disamore da parte dei cittadini che nei sondaggi testimoniano una discesa dei consensi
alla quale il ricorso alle pluriquotidiane conferenze stampa rende ancor più evidente un inseguire i problemi di volta in volta.

E si resta in attesa del passaggio dal coprifuoco mediatico a quello vero.
 
"Stop alla corsa ai tamponi".

La frenata, come spiega l'esperto, è d'obbligo, per "evitare il sovraccarico delle strutture che fanno tamponi".

In queste ultime settimane, infatti, c'è stata una corsa ai test:

"Si va dal medico e gli si chiede di prescriverlo, ma così il dottore si trova tra l'incudine e il martello,
perché ha tante persone che chiedono la stessa cosa.

Quindi occorre evitare di usare i tamponi quando non sono appropriati, altrimenti si creano file e attese".


E il rischio è che, durante l'attesa, che può essere molto lunga, il virus si diffonda, in caso sia presente un positivo:

"Pensiamo a tante persone che stanno 6-7 ore in coda negli ospedali. Si crea un ambiente dove potrebbe avvenire un calo di attenzione
nelle misure di prevenzione e se c'è un positivo ci può essere il rischio anche di potenziali contagi".

Per questo, è fondamentale rimanere a casa:

"Io ho passato mesi a chiedere di attrezzarci e, soprattutto,
a dire alla gente che questa è un'infezione che si può gestire a casa".


E, in un post su Facebook, ribadisce:

"Nei mesi estivi andava spiegato alla gente che l'infezione da Covid,
nella stragrande maggioranza dei casi, decorre in maniera lieve e si poteva gestire a casa.
Questo non è stato fatto e i risultati si vedono nei nostri ospedali".

L'errore è stato quello di dire alle persone

"che il Covid era sempre una malattia devastante, che dava sempre complicazioni perpetue

e che buona parte dei contagiati sarebbe finito intubato o morto,

così, non appena qualcuno ha un sintomo,

corre in ospedale a farsi curare e ricoverare per paura di non avere cure adeguate a casa".


"La paura era che la gente, allarmata da una comunicazione schizofrenica fatta di terrorismo e di sensazionalismo,

in autunno/inverno potesse riversarsi negli ospedali al primo sintomo influenzale",


per paura di aver contratto il virus.

Ed ora, con la corsa ai tamponi, sembra che questo timore si stia avverando.

Per questo, adesso diventa necessario che ogni cittadino si responsabilizzi:

"Chi ha avuto contatti diretti, per più di 15 minuti, con casi positivi si deve quarantenare".

Non deve uscire di casa, né recarsi in ospedale.


"Altro che dirmi (come fa qualcuno in malafede...e sono tanti) che non dovevo dire che la malattia era più gestibile"

ricordando gli attacchi subiti da "certa stampa e certi colleghi", che "hanno solo tentato di ammazzarmi mediaticamente e di linciarmi".


Così, mesi fa, "nessuno mi ha ascoltato".


E ora, la paura spinge le persone a riversarsi in ospedale,
senza sapere che l'infezione da nuovo coronavirus può essere anche gestita a casa, se si presenta in forma lieve.


Infine, rivolgendosi a chi lo ha accusato nei mesi precedenti, scrive:

"Che siano loro a farsi un esame di coscienza e a pensare che disastro hanno combinato.

I danni rischiano di essere devastanti.

La politica della paura non serve a nessuno".
 
Le probabilità di cambio della guardia alla Casa Bianca si fanno sentire e gli imprenditori
iniziano ad assumere le prime, necessarie, contromisure.

Joe Biden prevede una riforma fiscale che aumenterebbe l’aliquota massima per la tassazione delle plusvalenze portandola dall’attuale 20%
(23,8% quando si tiene conto dell’imposta ACA aggiuntiva del 3,8%, voluta per coprire l’Obamacare) fino al 39,6%,
per chi guadagna oltre $ 1 milione o per i proventi di una vendita aziendale superiore a $ 1 milione.

Un aumento del 60% nell’aliquota , o del 19,6% rispetto alla base imponibile, che ha cambiato l’atteggiamento e le decisioni dei CEO e CFO aziendali.



Il risultato è semplice: le banche d’affari ed i consulenti stanno informando, ed adeguatamente spaventando
i propri clienti che hanno investito in start-up o iniziative finanziarie non, per loro “Tipiche d’azienda”,
per fare si che si sbrighino a cedere le proprie quote aziendali ora, nel 2020, prima che eventualmente subentri il nuovo presidente.


Questa strategia sembra avere effetto: secondo Dealogic,
le vendite di quote di società statunitensi private hanno totalizzato un record di $ 253 miliardi nel terzo trimestre 2020,
cinque volte più rispetto al secondo trimestre e un aumento del 51% rispetto al terzo trimestre del 2019.


Ciò nonostante la pandemia COVID-19 abbia soppresso la capacità di fare delle corrette valutazioni aziendali per alcuni settori, come, ad esempio, quello della ristorazione.
private-MA.jpg

In questo gioco abbiamo dei vincitori e dei perdenti.

Molte piccole aziende sono costrette vendersi o a cambiare gestione perchè gli investitori principali,
i portatori di capitale, hanno deciso di vendere prima di venire eventualmente supertassati da Biden.

Quindi se i portatori di capitale magari non vengono a realizzare il massimo dal proprio investimenti,
l’imprenditore puro rischia di rimetterci le penne.

Il tutto grazie ai democratici.
 

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