VI RICORDATE QUANDO SI STARNUTIVA E TI DICEVANO "SALUTE"... BEI TEMPI

L’Unione europea?

Una cosa fantastica, parola di Alberto Quadrio Curzio.

L’eminente economista e accademico dei Lincei si iscrive alla categoria degli euroentusiasti.

E ne spiega le ragioni nell’articolo pubblicato ieri sull’Huffington Post, dal titolo
Cosa rivela il successo dei sure-bond”.

La premessa è che nel XXI secolo l’Europa comunitaria stia acquistando una solidità tale
da essere in grado di assicurare agli Stati membri e ai cittadini “benefici che mai avrebbero potuto singolarmente avere”.

Presumibilmente il professore, nel giudicare l’incidenza della Ue nella vita delle sue comunità,
è stato influenzato dalle teorie gestaltiste – siamo nei domini della psicanalisi – per le quali

Il tutto è più della somma delle singole parti” (Zerbetto, 1998),

nel senso che la totalità del percepito vale più delle singole attività sensoriali.

Come direbbe il mitico Antonio Di Pietro: che c’azzecca la Gestalt con le decisioni prese a Bruxelles?

In fondo, è di sensazioni che stiamo parlando visto che, al momento,
se si eccettua la funzione drenante del Debito sovrano degli Stati membri svolta dal programma di acquisto titoli della Banca centrale europea,
di fatti concludenti dalla Ue se ne sono visti pochi.

Ma stiamo al gioco.


Per l’autorevole opinionista la Commissione, presieduta dalla presidente Ursula von der Leyen (aristocratica tedesca),
ha delineato un programma di sviluppo, strutturato in investimenti per l’innovazione, che ha una chiara impronta sociale.

La prova definitiva del cambio di passo dell’entità sovranazionale continentale in direzione della riduzione delle diseguaglianze
sarebbe l’emissione massiccia dei sure-bond, destinati a finanziare le politiche di sostegno alla Cassa integrazione
per i lavoratori dell’Ue colpiti dalle ricadute economiche negative della pandemia.

Il programma, con valenza etico-civile, volto a “riaffermare il livello di civiltà dell’eurodemocrazia
sarebbe piaciuto talmente al mercato finanziario da provocare un autentico boom di acquisti degli euro-titoli,
collocati con le prime due emissioni da complessivi 17 miliardi di euro su un plafond di 100 miliardi.

Riferisce Quadrio Curzio che, a fronte dell’offerta collocata, il mercato ha risposto con un portafoglio ordini combinato di 233 miliardi di euro
(suddiviso tra 145 miliardi su 10 anni e 88 miliardi su 20 anni): “Il più grande mai raccolto nella storia delle emissioni Sovereign e Supranational”.


Da praticanti del vivere quotidiano, ci permettiamo di suggerire un’altra spiegazione in ordine all’ipotetica eccitazione dei mercati per i “bond” europei.

Gli investitori internazionali non sono educande del monastero delle Orsoline.

Hanno fatto i loro calcoli e, nel valutare quali economie fossero in grado in futuro di restituire i prestiti ricevuti,
hanno ritenuto che quelle del contesto europeo restassero tra le più affidabili per la capacità di essere leader di mercato
grazie alla qualità performante e all’alto contenuto tecnologico delle proprie manifatture.

Altre potenze globali sono indietro anni luce dagli standard produttivi raggiunti in Europa.

Un esempio, per intenderci.

La Turchia lo scorso anno mise in subbuglio la Nato con la decisione di acquistare dalla Federazione Russa i sistemi d’arma S-400.

Peccato però che quei missili non li possa usare.

Perché, come ha spiegato l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte in un’intervista rilasciata a Formiche.net:

La Turchia ha acquistato l’S-400 ma si è ritrovata con un sistema che non funziona
e che quindi non è competitivo rispetto alla controparte occidentale, per via di difetti e scarsa affidabilità
”.

Al contrario, la Grecia, per fronteggiare la minaccia turca, ha acquistato 16 caccia multiruolo Dassault Rafale francesi.

Si pensa che mercati e agenzie di rating queste cose, apparentemente di dettaglio sulla scena geopolitica, non le osservino con la massima attenzione?

E non scelgano con cura le economie da premiare?

La molla che muove gli investitori è il profitto, non la morale.

Che poi, associare l’etica ai mercati finanziari sarebbe una novità rivoluzionaria.


Per l’economista, il programma comunitario “Sure” sarebbe solo l’antipasto di un ben più ricco banchetto
che sarà servito con l’implementazione del Next Generation Eu attraverso il quale l’Unione detta le linee guida
per le economie nazionali alle quali i Paesi membri saranno vincolati fino alla metà del secolo.

E quali saranno le filiere che verranno sostenute dalle risorse comunitarie?

Ecocompatibilità,

iper-ingegneria digitale,

biomedicina.

Magnifico! E il resto?

Cosa accadrà alle produzioni tradizionali che non rientreranno nei settori sussidiati?

Non è la malevola curiosità dell’euroscettico di turno ma una ragionevole preoccupazione per le sorti di quei sistemi produttivi,
tra cui spicca quello italiano, che dall’innovazione mirata al digitale e alla transizione ecologica riceverebbero vantaggi limitati a fronte di molti danni.

Mettiamola giù in modo alquanto prosaico: che faranno tanti onesti produttori italiani?

Mangeranno ecocompatibilità e iper-ingegneria digitale?

Se non si risponde adeguatamente a questa domanda si rendono vacuamente retoriche
le solenni affermazioni sulla natura etico-sociale delle politiche programmatiche messe a punto a Bruxelles.



A maggior ragione, se gli Stati membri, oggi temporaneamente liberati dal cappio del rispetto delle regole del bilancio,
in particolare di quelle sul rapporto deficit-pil, finita la pandemia dovranno tornare a rispettarle
anche se quelle norme-capestro, a parere di Quadrio Curzio, non saranno uguali a prima.

Ciò però resta un auspicio che non ha alcun fondamento di certezza.

Il ricorso al programma “Sure” frutterà all’Italia un risparmio sugli interessi stimato in 5,5 miliardi di euro nell’arco dei 15 anni,
che è il tempo di restituzione del prestito.

Quadro Curzio pone in evidenza tale aspetto per sollevare una non troppo velata critica al Governo sull’ostinazione a non accedere anche al Mes.

Su quel capitolo sarebbero disponibili per il nostro Paese circa 36 miliardi
da destinare alle spese e agli investimenti in campo sanitario, connessi alla crisi pandemica.

Il ragionamento è lineare: l’accesso al meccanismo europeo di stabilità consentirebbe di contrarre un prestito decennale a tassi agevolati,
con un risparmio sulla spesa per interessi di circa 3 miliardi complessivi.

Perché rinunziarvi?

Già, perché?


Il professore non entra nelle argomentazioni di coloro che in Italia si dicono contrari ad accettarlo.

Quadrio Curzio, in coda al suo articolo, pone una domanda senza offrire la risposta che servirebbe a sciogliere,
seppure parzialmente, alcuni degli interrogativi sorti in merito all’utilizzo dello strumento Mes.

Scrive l’economista:

A ciò si aggiunge una curiosità: cosa succederebbe oggi sui mercati di fronte a una emissione da 36 miliardi a 10 anni di titoli di Stato italiani?!


Professore, così non ci aiuta.

Il punto è proprio la valutazione d’impatto del cosiddetto “effetto stigma”.

Ammettendo che l’Italia prenda a prestito quei quattrini gravati della clausola di credito privilegiato
rispetto agli altri titoli di Stato collati sul mercato, quanto peserebbe in termini di aumento del saggio d’interesse sulle emissioni ordinarie?



Se non si acquisisce questo dato nessuna decisione potrà essere presa.


Abbiamo letto con attenzione e senza pregiudizi l’opinione autorevole di Quadrio Curzio
ma è come se l’eminente accademico avesse fatto dono ai lettori di un thriller in cui, però, non svela il nome dell’assassino.

Va bene la suspense, ma qualcuno dovrà pur farsi carico di mettere il bugiardino nella scatola del Mes.

Come con i farmaci: vi si elencano la composizione, le indicazioni, il dosaggio, le avvertenze
ma anche le controindicazioni e gli effetti collaterali.

Quel foglietto stampato, colmo di parole scritte a caratteri microscopici è importante.

Chiunque, acquistando un farmaco, non lo trovasse ripiegato all’interno della confezione sospetterebbe di aver avuto una fregatura.


Perché col Mes dovrebbe essere diverso?
 
Edit by moderazione
Perche' INFORMARE ora non e'lavorare?
A proposito.....state a casa...chiudete strade e piazze....chiudete locali....CHE GLI ANZIANI E PERSONE FRAGILI SONO A RISCHIO... maaa...visto primi campano di pensione e secondi saranno accuditi...stassero loro chiusi fino a vaccino no Chi e' sano o asintomatico e puo' condurre una vita normalissima
 
Ultima modifica di un moderatore:
C'è poco da dire.
Affollamento sui mezzi pubblici.
Mascherine di comunità.

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Mentre si avvicina il rischio di un secondo lockdown il governo di Sua Maestà decide di entrare in azione
in favore delle piccole aziende e Rishi Sunak, cancelliere dello Scacchiere, annuncia il raddoppio degli aiuti per le partite iva ed i lavoratori autonomi.

Il governo quindi stanzierà 3,1 miliardi di sterline in più, pari a 3,5 miliardi di euro,
che andranno in aiuti diretti alle piccole aziende o alle ditte individuali.


Annunciando queste misure Rishi Sunak ha affermato

“Questo è un potenziale aiuto per ulteriori £ 3,1 miliardi di sostegno ai lavoratori autonomi solo da novembre a gennaio,
con un’ulteriore sovvenzione che seguirà da febbraio ad aprile”.

“Finora durante questa crisi abbiamo ora fornito oltre 13 miliardi di sterline di sostegno a lavoratori autonomi,
ditte individuali, piccole imprese e lavoratori autonomi sono il cuore imprenditoriale dinamico della nostra economia.
E questo governo è dalla loro parte.”


Sembra quasi l’Italia, non è vero ?

In Italia hanno raddoppiato gli aiuti ai lavoratori autonomi, oppure no ?

Mi sa che sia più probabile la seconda.

Il Covid-19, a richiesta del sistema sanitario e della pubblica opinione ,
viene a rendere necessarie delle chiusure che danneggiano specifici settori.
 
Le motivazioni della semplificazione del lavoro agile sono chiari:
diminuire al massimo i contatti e rischi di contagio nei luoghi di lavoro.

Esistono, infatti, moltissime attività lavorative che possono svolgersi in remoto comodamente da casa
senza il bisogno di recarsi obbligatoriamente nella sede di lavoro contrattualmente stabilita.

In precedenza, affinché il datore di lavoro potesse utilizzare il lavoro agile,
era necessario fare apposita comunicazione telematica sul portale Cliclavoro.


Ora, invece, con il D.L. n. 18/2020 (cd. “Decreto Cura Italia”), convertito con modificazioni in L. n. 27/2020,
i datori di lavoro possono – mediante atto unilaterale, quindi senza il preventivo consenso del dipendente
adottare la modalità di lavoro a distanza, senza preavvisare i ministeri.


Man mano che la pandemia avanzava, lo smart working è stato di volta in volta prorogato.

Infatti, il recente differimento della proroga dello stato di emergenza, fino al 31 gennaio 2021,
interviene indirettamente anche sullo smart working.

Questo perché fino alla predetta data, i datori di lavoro – sia privati che pubblici – possono utilizzare il lavoro a distanza in maniera “semplificata”.


Ultimo intervento in ordine cronologico sullo smart working è il Dpcm del 18 ottobre 2020
che interviene in particolar modo sulle Pubbliche Amministrazione.

Ma andiamo in ordine e vediamo nel dettaglio cosa prevede il predetto decreto sullo smart working dei dipendenti pubblici.


La prima raccomandazione prevista dal Dpcm in commento è legata alle riunioni lavorative nell’ambito della Pubblica Amministrazione.
Queste dovranno essere svolte obbligatoriamente in maniera telematica, salvo la sussistenza di motivate ragioni.


Anche nel settore privato sono raccomandate le riunioni a distanza, utilizzando applicazioni quali Skype o Zoom.


Altre interessanti novità sono state previste per i dipendenti e professionisti.

Per questi ultimi, il Governo raccomanda di limitare al minimo gli spostamenti per finalità lavorative.
Dunque, s’intende incrementare la quota di smart working per evitare assembramenti nei luoghi di lavoro.


L’orientamento dell’Esecutivo, quindi, è quello di utilizzare sempre le modalità di lavoro a distanza laddove sia possibile.
Questo evita che il lavoratore rischi di essere contagiato.


Come accennato poc’anzi, lo smart working “semplificato” è strettamente correlato allo stato di emergenza.
Quindi, fin quando perdura la pandemia in Italia è possibile ricorrere al lavoro a distanza senza inviare specifiche comunicazione ai ministeri.


Infatti, fino alla predetta data i datori di lavoro possono avviare lo smart working, attualmente disciplinato dalla L. n. 81/2017
(cd. “Statuto dei Lavoratori autonomi”) in maniera unilaterale.
Ciò significa che non c’è neanche il bisogno che il dipendente manifesti la volontà di lavorare da casa.


Lo scopo del Governo è quello di raggiungere la quota consigliata dal Comitato tecnico scientifico,
che è del 70% ma si è discusso sull’alzare asticella ad un possibile 75%.


Intanto, nella Pubblica Amministrazione il Dpcm ha prorogato, fino al prossimo 31 dicembre,
il lavoro agile per almeno il 50% dei dipendenti con mansioni che possono essere svolte da casa.


Gli enti, tenendo anche conto dell’evolversi della situazione epidemiologica,
assicurano in ogni caso le percentuali più elevate possibili di lavoro agile,
compatibili con le loro potenzialità organizzative e con la qualità e l’effettività del servizio erogato.


In tema di smart working, ampio spazio è stato dedicato ai genitori con figli disabili, ai caregivers e ai lavoratori disabili.


Innanzitutto, per tutti i genitori che abbiano un figlio under 14
che è risultato positivo dopo essere stato contagiato a scuole e messo in quarantena dall’Asl, è possibile ricorrere al lavoro agile.

Ma non solo.

In luogo del lavoro a distanza, possono optare per un congedo indennizzato, con importo pari al 50% delle retribuzioni.

In particolare, il congedo può essere fruito da uno solo dei genitori conviventi con il figlio, oppure entrambi, ma alternativamente.


Per quanto riguarda, invece, i caregivers – ossia i lavoratori che assistono persone disabili – ovvero persona portatori di handicap,
i datori di lavoro possono stipulare degli accordi aziendali con le rappresentanze sindacali aziendali (RSA/RSU) o territoriali che regolamentino il ricorso allo smart working.


Quanto alle modalità di organizzazione del lavoro agile, le P.A. effettuano valutazioni di performance,
verificando anche i feedback che arrivano dall’utenza e dal mondo produttivo.

Inoltre, vengono monitorate anche le prestazioni rese in smart working da un punto di vista sia quantitativo sia qualitativo.


Quanto alle apparecchiature di utilizzo, la P.A. ha il compito di mettere a disposizione dei dipendenti
tutti i dispositivi informatici e digitale che servono per l’espletamento della prestazione.

In ogni caso, i datori di lavoro possono comunque usare gli strumenti informatici propri.


Nella scelta del personale da collocare in smart working, la P.A. tiene conto:


  • delle condizioni di salute dei componenti del nucleo familiare del dipendente;
  • della presenza di figli minori di 14 anni;
  • della distanzatra la zona di residenza o di domicilio e la sede di lavoro;
  • del numero e della tipologia dei mezzi di trasportoutilizzati e dei relativi tempi di percorrenza.
 
Perche' INFORMARE ora non e'lavorare?
A proposito.....state a casa...chiudete strade e piazze....chiudete locali....CHE GLI ANZIANI E PERSONE FRAGILI SONO A RISCHIO... maaa...visto primi campano di pensione e secondi saranno accuditi...stassero loro chiusi fino a vaccino no Chi e' sano o asintomatico e puo' condurre una vita normalissima

questo lavora solo ed esclusivamente per mandarti gratuitamente tutti i sabati a far ginnastica ..............................................................................................................................................................................................................................................................
vestito in divisa da balilla.
 
ops.......


Nella sede romana di Invitalia è arrivata la Guardia di Finanza.

Il motivo?

Acquisire documenti sui super stipendi di Domenico Arcuri, attuale commissario straordinario per l’emergenza Covid.

A darne notizia è Nello Trocchia con un approfondito articolo pubblicato su Domani.

Arcuri, nonostante il delicato incarico che gli ha affidato Conte,
è ancora anche amministratore delegato di Invitalia, società del Ministero dell’Economia.


Arcuri ricopre tale carica dal 2007 e oggi la Corte dei Conti del Lazio
vuole fare chiarezza sull’ammontare degli stipendi percepiti in questi anni dal manager.




Arcuri-finanza.jpg



Secondo le norme che fissano un tetto agli stipendi dei manager pubblici,
Invitalia avrebbe dovuto adeguare il compenso di Arcuri a 192 mila euro.

Al contrario, in base a quello che riporta Domani, Arcuri avrebbe percepito

764mila euro nel 2013,

617mila nel 2014

e avrebbe superato il tetto dei 192mila euro anche nel 2015, 2016 e 2017.



Arcuri ha offerto la sua totale collaborazione alla Corte dei Conti per fare chiarezza sull’intera vicenda.

Scrive Nello Trocchia:

“A fine settembre, il 29 per l’esattezza, mentre Domenico Arcuri tesseva le lodi del nostro paese nel contrastare il virus
e, implicitamente, le sue come commissario all’emergenza, a Invitalia arrivava la Guardia di finanza”.


“Noi tutti siamo più bravi degli altri a gestire la tragedia”, diceva il commissario.

Nel frattempo i militari entravano nella sede della società per acquisire documenti e materiale
su delega della procura della Corte dei conti del Lazio, in una vicenda che riguarda proprio Arcuri.

Gli accertamenti, avviati nel 2016, riguardano un possibile danno erariale.

Ma la svolta è arrivata lo scorso luglio quando i finanzieri hanno notificato ad Arcuri
un atto di costituzione in mora per interrompere gli effetti della prescrizione che incombeva sul fascicolo”.



“Secondo la ricostruzione della Corte dei conti, da manager di Invitalia,
Arcuri e gli altri membri del consiglio di amministrazione avrebbero per alcuni anni
percepito stipendi più alti di quelli stabiliti dalla legge che ne aveva disposto la riduzione.


La cifra non è stata restituita, il commissario ha ricevuto 1.467.200 euro in più rispetto ai limiti di legge”.


Nel 2014 Arcuri a Repubblica spiegava che guadagnava “300mila euro.
Se non avessi ritenuto giusto il taglio al mio stipendio me ne sarei andato”…
 
C'è poco da dire.
Affollamento sui mezzi pubblici.
Mascherine di comunità.

Vedi l'allegato 579100

I numeri cosi sparati quotidianamente fanno solo terrorismo in quanto asintomatico non equivale a malato e tra i malati devono distinguere meglio.....secondo LA LOGICA DI DE LUCA BARISTI CAMERIERI E COMMERCIANTI VARI DOVREBBERO ESSERE TUTTI AMMALATI.
di quei numeri dicano anche eta' professione ed eventuali patologie pregresse se vogliono essere credibili
 
C'è stato un tempo in cui smettevo la cravatta e il panciotto da preside e vestito da Babbo Natale (con pancia FINTA)
passavo in rassegna le classi della Scuola dell'Infanzia e, a dire il vero, anche quelle della Primaria e delle Medie, distribuendo sorrisi, caramelle e "oh-oh-oh".

Oggi indossavo camicia a bastoncino azzurro, cravatta a pois rosa glicine, panciotto di alpaca blu,
quando invece ho fatto ai miei alunni gli scaramantici auguri di Buon Natale.

Prima di tuffarmi in auto per correre a casa a pranzare col mio maggiore, quarantenato in DAD per "contatto con positivo",
sono passato a salutare la segretaria, ho scambiato due chiacchiere in amministrazione e col bidello, che mi ha aperto il cancello,
e ci siamo augurati le meglio cose per Natale, Capodanno e Befana compresa.

Anche loro erano mascherati come me, ma nessuno da Babbo Natale.

C'era nell'aria stamattina, sin dal rito della misurazione della febbre in accesso alla prima ora, una specie di magone,
e non era il clima uggioso di una giornata autunnale.

Ne parlavo con i ragazzi di quinta superiore: "Ci hanno già fregato l'anno scorso", mi dicevano.
"Hanno detto una settimana, poi due, poi un mese, poi fino a giugno.
Così fanno anche adesso: prima fino a metà novembre, poi fino al ponte dell'Immacolata, poi Natale è lì dietro l'angolo."

"Fregàti" hanno detto, testuale.

Ma non come i bambini dell'asilo, che gli anni scorsi mi tiravano la barba e mi dicevano:
"Non ci freghi: tu non sei Babbo Natale, sei il preside!",
perché loro lo dicevano con un sorriso complice e divertito, strizzandomi gli occhi.

Mai avrei creduto di arrivare a quarantacinque anni a difendere l'operato di un politico di provenienza leghista,
eppure non riesco a dare torto al governatore Fontana.


Non riesco più a fidarmi di un ministro dell'Istruzione che ha gettato denari in banchi semoventi,

che in primavera ha inalberato il vessillo della DAD e adesso la vitupera,

che dimostra un'impreparazione imbarazzante ogni volta che esterna le sue opinioni.



Non riesco a fidarmi di un presidente del Consiglio in perenne ricerca di capri espiatori e visibilità mediatica,

che emana decreti come fosse alla fiera dell'Est, che dà sette giorni di tempo a palestre e piscine

come faceva mia mamma con me da piccolo quando mi avvertiva: "alla prossima le prendi".



Io e i miei alunni vogliamo essere trattati da esseri pensanti.

Ed essere salvaguardati da chi si è assunto la responsabilità di governare il Paese.

Non ci fregheranno da qui alle prossime settimane: ci hanno già fregati nei mesi scorsi, persi tra inattività e scelte sbagliate.


Si sono ingineprati in una selva di decisioni contradditorie e scomposte, come un passero invischiato che più si agita più si impastoia.

Lo scriveva già Ariosto nel "Furioso": "come l'incauto augel che si ritrova / in ragna o in visco aver dato di petto,
/ quanto più batte l'ale e più si prova / di disbrigar, più vi si lega stretto" (XXIII, ott. 105),
ma evidentemente nell'emergenza non c'era tempo per abbeverarsi alla sapienza dei classici.


Per questo ha ragione il governatore Fontana: ci si fermi. Punto.

Per colpa di Tizio e per insipienza di Caio, i dati di realtà non permettono altro.


E si dica una buona volta la verità agli studenti, senza lasciarli con quella sensazione traballante
che consiglia, nel dubbio, di camminare rasomuro per evitare spiacevoli fregature.

Non so se mi sono spiegato.

Ci sono eventi e periodi che rappresentano nel continuum storico delle cesure epocali.

Ne parlavo a pranzo con mio figlio che stava studiando storia:

"Se il Medioevo inizia nel 476 e finisce nel 1492 - mi diceva - e l'Età Moderna finisce nel 1789, l'Età Contemporanea quando finisce?
Perché noi non siamo mica contemporanei dei rivoluzionari francesi...".

E io a spiegargli che le date così secche sono solo delle sommarie facilitazioni didattiche,
che il passaggio da un'età all'altra è fluido, opaco, spesso in divenire.

E a pensare che nei libri di storia (ci saranno ancora i libri?) fra tre-quattrocento anni il 2020 costituirà il nuovo discrimine tra un prima e un dopo.

Si dica ai nostri giovani che stanno vivendo, non per scelta, un momento epocale, si colga la visione più ampia,
di fronte alla quale qualche mese di DAD non sarà la fine del mondo.


E se non ci vediamo più (dal vivo), buon Natale.
 

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