Val
Torniamo alla LIRA
E se si incazzano questi ....hai voglia.
Non c’è solo la Sardegna a ribellarsi per il prezzo del latte.
Sono anni che gli allevatori e pastori infiammano le campagne e le città d’Europa.
E l’Italia conosce il problema sin dai tempi delle prima rivolte contro le quote latte imposte dell’Unione europea.
La questione è estremamente profonda.
Profonda come l’Europa che si sta rivoltando in questi decenni.
Perché è dalla parte rurale del Vecchio Continente che arrivano da molto tempo le grandi proteste che poi incendiano l’Europa.
E non è un caso che siano proprio i contadini, gli allevatori, i pastori e i lavoratori della terra
a essere coloro che più violentemente, e spesso con maggiore vigore,
scendono in strada per protestare contro l’operato dei governi o , più in generale,
contro un sistema economico e giuridico che ha negli anni voluto dimenticare l’importanza fondamentale del settore primario.
Un malcontento che si scontra con due grandi temi:
la globalizzazione imperante e
la contemporanea marginalizzazione del mondo rurale dalle politiche dei governi.
Il mondo sembra spesso dimenticarsi dell’importanza del settore primario.
Ma resta ancora oggi un pilastro non solo della nostra economia, ma anche della nostra stessa esistenza.
E le sfide che attendono questo settore non sono poche,
con giganti economici che premono e con accordi internazionali e sul libero scambio
che preoccupano una parte molto preoccupata dagli sviluppi dell’agricoltura e degli allevamenti mondiali.
I contadini europei sono da sempre, insieme agli allevatori,
uno zoccolo duro della resistenza a un sistema economico e politico che è incarnato dall’Unione europea.
E l’errore più grande che ha commesso Bruxelles, e che hanno commesso i vari governi,
è quello di non aver fatto comprendere ai proprietari e ai lavoratori del settore le prospettive (vantaggiose ma anche rischiose)
L’esempio perfetto di questo scontro fra lavoratori della terra e allevatori e globalizzazione arriva proprio dalla Sardegna.
La questione del “Pecorino romano” è fondamentale perché fa capire in maniera semplice
un problema estremamente complesso, e fa così riflettere sullo squilibrio fra produttori locali e commercio internazionale.
I pastori sardi infatti protestano contro il prezzo del latte eccessivamente basso,
ma il “convitato di pietra” di questo scontro è dato da chi produce nel resto del mondo
(e distribuisce) formaggi che sono la copia taroccata del Pecorino romano dop.
Un esempio è il Romano Cheese di cui sono piene le forme di formaggio che occupano le tavole degli Stati Uniti.
I caseifici del Wisconsin, che costituscono una lobby estremamente importante nella politica agricola Usa,
continuano a produrre formaggi con bandierine italiane, nomi legati in qualche modo all’Italia,
e marchi che ricordano il Made in Italy.
Morale: i produttori fanno concorrenza sleale ai nostri. E lo vendono non solo in America del Nord, ma anche in America latina.
Questo scontro fra produttori locali italiani e giganti dell’industria casearia internazionale è solo uno dei tanti che infiammano l’Europa.
E non è un caso che nella stessa Francia di Emmanuel Macron, altra potenza agricola europea,
siano stati proprio loro a unirsi per primi alla protesta dei gilet gialli.
La protesta che ha paralizzato la Francia e che ha gettato Macron è infatti nata proprio dalle province,
da quella Francia rurale e periferica che i governi francesi hanno via via abbandonato
per far posto a un mondo completamente rivolto all’industria e al settore terziario.
E quella carbon tax che ha colpito gli agricoltori e gli allevatori
è sembrata l’ennesima mossa di un governo che deciso di snobbare una parte molto rilevante del Paese profondo,
sostituita da un’economia votata alla globalizzazione alle grandi concentrazioni industriali.
Questa parte di mondo è stato molto spesso dimenticata.
Si è imposto un sistema di quote, ma nel frattempo, a una parte di Europa,
si è comunque chiesto di produrre tanto affinché i prezzi fossero bassi.
E nel frattempo, gli Stati non hanno fatto il possibile per proteggere le eccellenze dei rispettivi Paesi
né a sostenere l’inter mondo della filiera agricola e zootecnica.
L’Unione europea sta procedendo, speditamente, verso il sostengo ai giganti dell’industria agricola,
ma dimentica quella parte rurale ma utilissima fatta dei piccoli agricoltori e allevatori.
Un mondo dimenticato ma che ancora oggi rappresenta una parte fondamentale del nostro presente e del nostro futuro.
Non c’è solo la Sardegna a ribellarsi per il prezzo del latte.
Sono anni che gli allevatori e pastori infiammano le campagne e le città d’Europa.
E l’Italia conosce il problema sin dai tempi delle prima rivolte contro le quote latte imposte dell’Unione europea.
La questione è estremamente profonda.
Profonda come l’Europa che si sta rivoltando in questi decenni.
Perché è dalla parte rurale del Vecchio Continente che arrivano da molto tempo le grandi proteste che poi incendiano l’Europa.
E non è un caso che siano proprio i contadini, gli allevatori, i pastori e i lavoratori della terra
a essere coloro che più violentemente, e spesso con maggiore vigore,
scendono in strada per protestare contro l’operato dei governi o , più in generale,
contro un sistema economico e giuridico che ha negli anni voluto dimenticare l’importanza fondamentale del settore primario.
Un malcontento che si scontra con due grandi temi:
la globalizzazione imperante e
la contemporanea marginalizzazione del mondo rurale dalle politiche dei governi.
Il mondo sembra spesso dimenticarsi dell’importanza del settore primario.
Ma resta ancora oggi un pilastro non solo della nostra economia, ma anche della nostra stessa esistenza.
E le sfide che attendono questo settore non sono poche,
con giganti economici che premono e con accordi internazionali e sul libero scambio
che preoccupano una parte molto preoccupata dagli sviluppi dell’agricoltura e degli allevamenti mondiali.
I contadini europei sono da sempre, insieme agli allevatori,
uno zoccolo duro della resistenza a un sistema economico e politico che è incarnato dall’Unione europea.
E l’errore più grande che ha commesso Bruxelles, e che hanno commesso i vari governi,
è quello di non aver fatto comprendere ai proprietari e ai lavoratori del settore le prospettive (vantaggiose ma anche rischiose)
L’esempio perfetto di questo scontro fra lavoratori della terra e allevatori e globalizzazione arriva proprio dalla Sardegna.
La questione del “Pecorino romano” è fondamentale perché fa capire in maniera semplice
un problema estremamente complesso, e fa così riflettere sullo squilibrio fra produttori locali e commercio internazionale.
I pastori sardi infatti protestano contro il prezzo del latte eccessivamente basso,
ma il “convitato di pietra” di questo scontro è dato da chi produce nel resto del mondo
(e distribuisce) formaggi che sono la copia taroccata del Pecorino romano dop.
Un esempio è il Romano Cheese di cui sono piene le forme di formaggio che occupano le tavole degli Stati Uniti.
I caseifici del Wisconsin, che costituscono una lobby estremamente importante nella politica agricola Usa,
continuano a produrre formaggi con bandierine italiane, nomi legati in qualche modo all’Italia,
e marchi che ricordano il Made in Italy.
Morale: i produttori fanno concorrenza sleale ai nostri. E lo vendono non solo in America del Nord, ma anche in America latina.
Questo scontro fra produttori locali italiani e giganti dell’industria casearia internazionale è solo uno dei tanti che infiammano l’Europa.
E non è un caso che nella stessa Francia di Emmanuel Macron, altra potenza agricola europea,
siano stati proprio loro a unirsi per primi alla protesta dei gilet gialli.
La protesta che ha paralizzato la Francia e che ha gettato Macron è infatti nata proprio dalle province,
da quella Francia rurale e periferica che i governi francesi hanno via via abbandonato
per far posto a un mondo completamente rivolto all’industria e al settore terziario.
E quella carbon tax che ha colpito gli agricoltori e gli allevatori
è sembrata l’ennesima mossa di un governo che deciso di snobbare una parte molto rilevante del Paese profondo,
sostituita da un’economia votata alla globalizzazione alle grandi concentrazioni industriali.
Questa parte di mondo è stato molto spesso dimenticata.
Si è imposto un sistema di quote, ma nel frattempo, a una parte di Europa,
si è comunque chiesto di produrre tanto affinché i prezzi fossero bassi.
E nel frattempo, gli Stati non hanno fatto il possibile per proteggere le eccellenze dei rispettivi Paesi
né a sostenere l’inter mondo della filiera agricola e zootecnica.
L’Unione europea sta procedendo, speditamente, verso il sostengo ai giganti dell’industria agricola,
ma dimentica quella parte rurale ma utilissima fatta dei piccoli agricoltori e allevatori.
Un mondo dimenticato ma che ancora oggi rappresenta una parte fondamentale del nostro presente e del nostro futuro.