LO ZEN E L'ARTE DEL BOMBARDAMENTO IN PICCHIATA

Possiamo vedere ciò in una racconto su Bodhidharma scritto da Tao-yüan (Dôgen, in Giapponese) nel 1004 ca. Desiderando scegliere un "erede del dharma" e ritornare in India, Bodhidharma chiese ai suoi più intimi allievi di formulare l'essenza del suo insegnamento [queste sono le versioni Giapponesi dei loro nomi]:


Dofuku disse, "Secondo me, la verità è oltre l'affermazione o la negazione, poiché questo è il modo in cui si muove."
Bodhidharma replicò: "Tu hai la mia pelle."

La monaca Soji disse: "A mio parere, è come la vista di Ananda della terra di Buddha -- visto una volta e per sempre."

Bodhidharma rispose : "Tu hai la mia carne."

Doiku disse : "I quattro elementi di luce [fuoco], ariosità [aria], fluidità [acqua], e solidità [terra] sono vuoti [shûnya, cioè né esistenza né non-esistenza, etc.] e i cinque skandha sono non-cose. Secondo me, nessuna-cosa è la realtà."

Bodhidharma commentò: "Tu hai le mie ossa."

Infine, Eka si inginocchiò davanti al maestro -- e restò in silenzio.

Bodhidharma disse: "Tu hai il mio midollo."
[Paul Reps, Zen Flesh, Zen Bones, Charles E. Tuttle, 1967, Anchor Books, and Shambhala, 1994, pp.ix-x]
 
Buona Pasqua qualunque sia la vostra religione, la morte e la resurrezione di Cristo siano un segno di pacificazione di tutti i credenti e non-credenti.
 
Nel Buddismo, il "midollo" è una caratteristica idea Ch'an, che l'insegnamento più importante è silenzioso. Questa non è, certamente, un'idea insolita in Cina, dove il Taoismo era già stato "l'Insegnamento Silenzioso" ed il Tao Te Ching disse, "Colui che sa non parla; colui che parla non sa" [LVI:128]. Questa caratteristica idea Taoista, poi, è assimilata nel Buddismo attraverso il Ch'an. Un sottofondo Buddista a questo riguardo, tuttavia, doveva essere scoperto o....fabbricato. La leggenda che si sviluppò fu che Bodhidharma era il ventottesimo "patriarca" in una linea di successione apostolica dal discepolo di Budda, Mahâkâshyapa, che aveva sorriso debolmente e attrasse l'attenzione del Budda dopo che il Budda pronunciò un sermone e stava facendo girare un fiore di loto. Mahâkâshyapa capì che il vero insegnamento era il silenzioso rigirare del loto, ed il Budda riconobbe che lui solo lo capiva..
 
Si dà il caso che uno dei più importanti testi Buddisti nella tradizione Mahâyâna sia il Sûtra del Loto (per intero, il Saddharma Pun.d.arîka Sûtra, il "Sutra del Vero Dharma del Fiore di Loto," Miao-fa Lien-hua Ching in Cinese e Myôhô Renge Kyô in Giapponese), che ha la peculiare struttura di riferirsi a un sermone che il Budda tenne, il Sermone del Loto, benché non sia chiaro se effettivamente tenne il sermone nel testo (cf. Leon Hurvitz, Scripture of the Lotus Blossom of the Fine Dharma, Columbia University Press, 1976). Although I don't know if the claim was ever made, la tradizione Ch'an dice semplicemente che il "Sermone del Loto" fu in effetti il silenzioso rigirare del fiore, che non può essere riportato nel testo, ma che costituì l'extra-testuale "insegnamento silenzioso". Si dà il caso che l'episodio con Mahâkâshyapa si ritiene abbia avuto luogo a Gr.dhrakût.a, "Picco dell'Avvoltoio" ("Monte dell'Aquila Divina" secondo Hurvitz), che è il luogo dove il sermone del Sutra del Loto fu localizzato.
 
Perciò, il Ch'an rivendicò una speciale "transmissione separata dai testi", che doveva essere confermata in qualcuno da una persona in linea di trasmissione con Mahâkâshyapa. L'idea della trasmissione separata dai testi potrebbe essere furiosamente rifiutata da altre personalità Buddiste. Lo Zen può talvolta sembrare di fare a meno dei testi completamente, ma questa tendenza fu criticata perfino da personalità dello Zen, come Dôgen (1200-1253), che disse che senza testi il Buddismo non era nient'altro che "scimmie pelate". Davvero.
 
Dal momento che l'illuminazione di ogni persona necessita della certificazione di qualcuno che proviene dalla successione apostolica, il Ch'an contiene un elemento essenziale che potrebbe facilmente divenire autoritario e dittatoriale, a seconda dell'autorità personale del'insegnante certificato. Ma il Ch'an comprende anche la tendenza opposta, che a volte sembra in forte contraddizione, anarchica e individualista, come nel detto che se incontri il Buddha per la strada, devi ucciderlo -- in quanto l'illuminazione non deve essere trovata in qualche persona. Altri fattori determineranno quale tendenza predomini in tempi e luoghi diversi.

Colgo l'occasione per manifestare viva ammirazione per l'opera di Papa Wojtyla, anche se purtroppo il battage mediatico di questi giorni ne sta svilendo il significato.
 
La natura indiretta dell' "insegnamento silenzioso" può essere illustrata con un paio di esempi. Uno è una storia, la prima in assoluto che io abbia mai udito sullo Zen (nel lontano 1967):


Un giovane uomo viene a conoscenza che c'è un maestro Zen che vive come un eremita nella foresta. Decide di diventare suo allievo. Dopo aver a lungo cercato, trova la capanna del vecchio maestro, e lo stesso uomo è fuori davanti alla capanna e sta rastrellando le foglie. Presentandosi e spiegando il suo desiderio di diventare allievo del maestro, il giovane uomo è sorpreso di non ricevere risposta. Il vecchio uomo ha continuato a rastrellare e non guarda mai in sù e nemmeno riconosce la presenza del giovane uomo. Ciò è naturalmente molto sconcertante, ed il giovane uomo resta fermo e pensa per un po'. Poi se ne va in un'altra zona della foresta e costruisce una capanna per sé. Dieci anni dopo, mentre sta rastrellando le foglie, raggiunge improvvisamente l'illuminazione (satori). Ritorna immediatamente dal vecchio maestro Zen, si inchina, e dice, "Grazie."
 
Questa storiella mostra la più pura forma dell' "insegnamento silenzioso". Veramente, non è inferiore al "trattamento silenzioso" del vecchio maestro Zen. Pochi maestri Zen sono così reticenti. Il maestro Zen giapponese Bankei (1622-1693) era famoso per le sue letture popolari. Ma questa storia illustra molto bene l'idea che l'illuminazione non può essere trasmessa dal linguaggio. In effetti, c'è un famoso detto che niente può essere detto che possa fare meglio all'illuminazione di quanto un dito che indica la Luna possa fare per vedere la Luna. In questa similitudine, non è difficile capire che il dito non è la Luna, non ha sostanzialmente niente a che fare con la Luna, e che quando si vede la Luna, il dito diventa superfluo ed irrilevante. Chi continuasse a indicare la Luna dopo che tutti gli altri l'hanno vista verrebbe considerato stupido. Mi piace molto questa similitudine perché un tempo avevo una gatta, e ogni volta che preparavo il suo pranzo e cercavo di indicarlo, guardava sempre al mio dito. Nel Ch'an, si potrebbe dire che siamo distratti dal linguaggio nello stesso modo in cui la mia gatta era distratta dal mio dito. Con la mia gatta potevo muovere il dito verso il suo pranzo e alla fine avrebbe notato il cibo e dimenticato il dito. Con l'illuminazione, o persino con la Luna, un tale espediente non è disponibile.
 

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