PREFERIREI MORIRE DI PASSIONE CHE DI NOIA.

Il colosso pubblico del credito KfW (Kreditanstalt für Wiederaufbau,

cioè Istituto di Credito per la Ricostruzione, 80% dello stato tedesco 20% dei Lander)

entra nello scandalo Wirecard.



Come reso noto da Reuters i pubblici ministeri di Francoforte stanno indagando su una filiale dell’istituto di credito statale
per una linea di credito di 100 milioni di euro alla società tedesca di pagamenti fallita Wirecard WDIG.DE.


In una dichiarazione di martedì, i pubblici ministeri nella capitale finanziaria tedesca
hanno affermato che un prestatore con sede a Francoforte aveva concesso a Wirecard il credito nel 2018
e lo aveva esteso nel 2019 senza richiedere garanzie collaterali per proteggersi dalle perdite.


I pubblici ministeri non hanno nominato la banca, ma KfW ha affermato separatamente che la sua controllata IPEX-Bank era oggetto dell’indagine.


“Confermiamo che la polizia e l’ufficio del pubblico ministero hanno condotto indagini presso i locali della KfW IPEX-Bank in relazione al nostro finanziamento di Wirecard”, ha detto un portavoce.


Questa notizia viene a seguire quella, diffusa dal diversi siti, secondo la quale nel settembre 2019,
il principale consigliere economico di Angela Merkel, Lars-Hendrik Röller, avrebbe incontrato
una delegazione del gruppo di pagamenti Wirecard, che all’epoca era ancora considerato una delle società tecnologiche di maggior successo della Germania.


Uno dei visitatori del signor Röller in cancelleria a Berlino era Burkhard Ley,
un consigliere strategico di Wirecard e il suo ex direttore finanziario successivamente arrestato per frode.



L’incontro ha messo in luce i collegamenti fra la società, nota per l’enorme frode in Bilancio, ed i poteri esecutivi tedeschi,

con tanto di promozione all’estero durante le visite ufficiali.


Una situazione talmente imbarazzante che il Bundestag ha deciso di istituire

una commissione d’inchiesta sulla materia, per andare in fondo ai legami del gruppo.
 
1601490124280.png
 
Il Tempo ci rivela una vicenda che sarebbe comica se non fosse tragica,

e che indica come la Presidenza del Consiglio, che a parole dovrebbe guidare l’Italia,

in realtà non sappia neanche comprarsi il gel per disinfettare le mani.




Una rapida cronistoria:


  • fine febbraio – Palazzo Chigi, al motto di “Prima Conte, poi gli italiani” decide di fare ampia scorta di mascherine, gel per le mani, guanti e dpi ad uso interno;

  • per il gel si cerca NON una grande azienda del settore, ma una micro-azienda che, casualmente, è del foggiano,
  • la Cherichem Biopharm di Cerignola, azienda da 750 mila euro di fatturato.
  • Che sia della stessa provincia di provenienza di Conte è puramente casuale…

  • la Cherichem sarebbe di proprietà di due persone che, con il fisco, non vanno d’accordo
  • tanto che le quote sono congelate dall’Agenzia delle Entrate.

  • Comunque i fatturati della PdC aiutano anche in questo, a permetterne lo sblocco.
  • Poi Conte va in TV a tuonare contro gli evasori;

  • il 5 marzo viene inviato il gel disinfettante, seguito da altri ordini il 17 aprile ed il 4 giugno;

  • il 9 aprile il gel Cherichem viene sequestrato dalla Guardia di Finanza perchè non certificato.

  • La certificazione arriverà , ma solo il 21 settembre.

  • Fatto sta che la Presidenza del Consiglio si è rifornita di un Gel non certificato dalla ASL e che, in teoria , non doveva comprare….

Una storia ridicola, che non spiega come mai la Presidenza del Consiglio, al grido di “Prima Conte, poi gli Italiani”,

non si sia rivolta a canali più ordinari per comprare il gel disinfettante.

Ha dovuto aspettare che qualche parente lo avvertisse dell’esistenza della Cherichem?

Misteri foggiani..
 
Intervista complessa e lunga di Alberto Bagnai, che affronta molti temi.


Prima di tutto il fatto che altri paesi difendono, anche in modo sbagliato e violento, i propri interessi.

Ad esempio la Bafin Tedesca non ha avuto problemi a fare causa a due giornalisti del Financial Times
che avevano detto la verità sui traffici dei controllori di Bafin sui vertiti Wirecard.
Ora i giornalisti avevano pienamente ragione, ma Bafin si è autodifesa lo stesso,
mostrando come gli interessi forti in certi paesi siano disposti a tutto pur di autodifendersi.
E la stessa Merkel sapeva tutto, ma continuava a promuovere Wirecard all’estero,
anche se sapeva benissimo che fosse una grandissima sola.

Perchè certi paesi sono disposti ad offrire anche le sole, se necessario.


Perchè il Sud riesce a “Tirare” poco dal bilancio europeo?

Perchè c’è un problema di co-finanziamento previsto dagli schemi europei
che viene ad essere estremamente vincolante, ma il sud, sempre affamato di risorse, non ha questi soldi…


Ora in realtà le stanze che contano hanno già deciso tutto , anche sulla politica italiana.

Ad esempio gli olandesi hanno deciso che Quota 100 dovesse terminare?

Bene , ora quota 100 terminerà.. con buona pace di tutti…

Poi ci sarà la SUPER IMU legata alla revisione degli estimi catastali, che già si profila.

Ormai i nordici hanno preso le misure del nuovo governo italiano,e quindi sono pronti ad imporci le loro politiche di austerità.
 
Il Governo Conte bis è saldo sulle sue intrinseche fragilità.

Si tratta di un bizzarro fenomeno fisico che si produce nel mondo della politica.

Più sono vulnerabili i protagonisti di un patto di potere, maggiore ne è il grado di resilienza.

Tuttavia, anche l’arroccamento più granitico può avere un punto debole.

È la buccia di banana che, per definizione, non è prevedibile.

Finirci sopra e capitombolare è un evento inaspettato.

Quando accade ci si domanda come sia stato possibile cascare.

Difficile trovare una risposta che non coinvolga l’ignota trama del Fato.


Ora, non è dato di sapere preventivamente se e quale sarà la buccia di banana su cui Giuseppe Conte si romperà il coccige, ma un’ipotesi la si può azzardare.

Più che una sarebbero 18 le bucce di banana, quanti sono i malcapitati pescatori, in maggioranza italiani di Sicilia,
sequestrati dalla banda armata di Bengasi che fa capo al sedicente ras della Cirenaica, Khalifa Haftar.

La vicenda finora non ha fatto gran rumore.

Oggi però il fattaccio non può essere nascosto all’opinione pubblica perché le famiglie dei pescatori, arrabbiatissime,
sono andate a Roma a protestare contro l’incapacità del Governo italiano a risolvere la crisi.

Ricostruiamo l’accaduto.


Il primo di settembre unità navali libiche che rispondono agli ordini del generale Haftar hanno sequestrato,
a 36 miglia al largo delle coste della Cirenaica, due imbarcazioni della flotta peschereccia di Mazara del Vallo e tratto in arresto i rispettivi equipaggi.

I pescatori sono stati trasferiti nel carcere di El Kuefia a 15 chilometri a sud est di Bengasi.

Altri due pescherecci italiani presenti in zona sono riusciti a sfuggire all’aggressione.

È passato un mese e non si hanno notizie del rilascio dei pescatori fermati.

In realtà, la situazione si è parecchio complicata perché è apparso chiaro
che non si trattasse di un’ordinaria prova di forza nell’ambito della vexata quaestio
sulla pretesa libica di rivendicare come acque della propria zona di interesse economico esclusivo,
istituita unilateralmente nel 2005 e che si estende per 62 miglia oltre le 12 miglia convenzionali delle acque territoriali nazionali,
quelle in cui sono stati catturati i pescherecci.

Si è temuto che l’aggressione potesse avere un movente politico.

Il sequestro, infatti, è avvenuto a poche ore dalla conclusione della visita a Tripoli del ministro degli Esteri Luigi Di Maio,
seguita all’annuncio dell’accordo per il cessate il fuoco tra le parti in conflitto: Tripoli e Bengasi.


Nella circostanza, Di Maio ha omaggiato il premier tripolino Fayez al-Sarraj ed elogiato la controparte,
il presidente del Parlamento di Tobruk (Cirenaica) Aguila Saleh, snobbando platealmente Khalifa Haftar,
capo dell’esercito che combatte il Governo di Tripoli per conto del Governo della Cirenaica.

Tuttavia, col passare dei giorni anche questa motivazione è parsa insufficiente a spiegare il comportamento del ras di Bengasi.


Se il motivo dell’aggressione si fosse limitato allo sgarbo, percepito come tale da Haftar,
la questione si sarebbe potuta risolvere con una dichiarazione del titolare della Farnesina
volta a riconoscere il ruolo del generale nel futuro della Libia.

Invece, alcune settimane orsono è circolata la notizia che Haftar avrebbe deciso di usare i nostri connazionali come merce di scambio con l’Italia.

Dal 2015 sono ospitati nelle galere italiane alcuni pendagli da forca libici accusati di esseri gli scafisti della tristemente nota “strage di Ferragosto
che causò la morte di 49 immigrati soffocati nella stiva di un’imbarcazione in rotta verso le coste italiane.

Tre degli arrestati sono stati riconosciuti colpevoli e condannati con sentenza definitiva ciascuno a vent’anni di reclusione
per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e omicidio.

Altri cinque presunti componenti dell’equipaggio, a processo con rito ordinario davanti la Corte d’assise d’appello di Catania,
sono stati condannati in primo grado a 30 anni di reclusione.

Una pena esemplare che non è piaciuta ai libici i quali sostengono che gli aguzzini non sarebbero tali
ma solo bravi ragazzi desiderosi di fare fortuna nel calcio europeo e finiti per caso a bordo del barcone della morte.


In disaccordo con le sentenze, evidentemente il capobanda di Bengasi ha pensato di sequestrare i nostri concittadini per costringere Roma a uno scambio:
la consegna dei criminali in cambio della libertà di diciotto onesti lavoratori italiani.

Roma ha giocato alla sua maniera, andando per le lunghe.

Haftar allora ha deciso di alzare la posta.

Il 22 settembre scorso l’Agi (Agenzia giornalistica italiana) è venuta in possesso di foto che mostrano,
messi in bella vista sulla banchina dov’è attraccato il peschereccio sequestrato “Medinea”,
alcuni involucri di colore giallo che si presume contengano droga.

La mossa è chiara: per costringere l’Italia a cedere, incastrano i pescatori catturati con l’accusa di trasporto di sostanze stupefacenti.

Il che vorrebbe dire tenerli in galera e buttare via la chiave.

In condizioni ordinarie, la crisi non dovrebbe preoccuparci.

Non è una novità che nel mondo vi siano feroci predoni abituati a ricattare i Paesi dell’Occidente: è il loro modo di negoziare.

Il fatto è che il nostro Governo ha dimostrato di non avere una politica estera e, peggio, di non avere alcuna capacità di reggere prove di forza.

Dopo l’atto violento del capobanda Haftar sarebbe stata necessaria una risposta muscolare
per convincere i sequestratori che non si fanno trattative con l’Italia puntandole una pistola alla tempia.

Un’esercitazione aeronavale di alcune unità della nostra Marina militare a largo delle coste di Bengasi sarebbe servita a chiarire i rispettivi ruoli e pesi in campo.


Purtroppo, l’unico modo che questo Governo conosce di fare politica estera è di non prendere alcuna decisione

e di lasciare che le cose accadano nella speranza che si risolvano da sole
.


È stata l’insipienza dei Governi della sinistra e, a ruota, del Conte double face a consentire che la Libia ci venisse sfilata dalle mani
e che nella partita entrassero praticamente tutti e, in ultimo, anche la temutissima Turchia che ha portato il suo apparato offensivo fuori l’uscio di casa nostra.

Se anche in quest’occasione Roma decidesse di non decidere potrebbe divampare un incendio di collera
tra la popolazione che Conte, il temporeggiatore, non riuscirebbe a spegnere.

Pensate alla Sicilia, a Lampedusa,
al sovraffollamento degli hotspot che spaventa le comunità locali,
allo sbracamento del Governo sulla questione dell’immigrazione,
al tentativo di eliminare il nemico politico (Matteo Salvini) per via giudiziaria proprio sul contrasto agli sbarchi di clandestini,
alla desolante dichiarazione della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese che, intervenuta lo scorso 7 settembre al Forum Ambrosetti a Cernobbio,
ha candidamente affermato: “Non possiamo certo bloccare i barchini affondandoli. Non devono partire”.

Con ciò palesando l’assoluta mancanza (si sospetta voluta) di uno straccio di strategia di contrasto al fenomeno dell’immigrazione clandestina.


All’inverarsi dell’incidente imprevisto, della buccia di banana, tutti insieme gli eventi richiamati
confluirebbero a formare una miscela esplosiva sotto la poltrona del premier.

Ecco perché dovendo scommettere su uno scivolone inaspettato della traballante maggioranza,
più che ai grandi temi che dividono i Cinque Stelle dagli alleati, sui quali un accordo al ribasso pur di restare in sella si trova sempre,
puntiamo sulla vicenda dei 18 ragazzi prigionieri a Bengasi.

La loro storia, per come procede e per come finirà, potrebbe fare ruzzolare malamente l’inquilino di Palazzo Chigi e tutta la combriccola governativa.
 
Dopo mesi di propaganda a reti unificate sui “fantastilioni” generosamente messi a disposizione dall’Europa,

e che a breve si materializzeranno nelle tasche di tutti gli italiani (oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente),

comincia ad apparire qualche crepa nella narrazione di regime sul Recovery Fund.

Per quanto uno possa essere bravo a mistificare la realtà, infatti,

a volte i fatti cozzano a tal punto con la propaganda da risultare impermeabili alle solite operazioni di maquillage.



Ne è un esempio l’articolo uscito sul Corriere della Sera a firma di Federico Fubini,

in cui il giornalista ammette senza mezzi termini che il Recovery Fund,

vendutoci dal governo e dai media come panacea di tutti i mali, rischia di rivelarsi un buco nell’acqua.



Fubini sottolinea due punti essenziali (che noi andiamo dicendo da mesi):

il primo è che la quota di prestiti del Recovery Fund (tecnicamente Next Generation EU) riservati all’Italia, per circa 127 miliardi

– sempre che il piano veda effettivamente la luce del giorno, giacché deve essere approvato da tutti i parlamenti nazionali e la strada è lunga e tutta in salita –

non serviranno a finanziare investimenti in più (rispetto a quelli già previsti dal 2019) ma solo a

«sostituire con debito verso l’Unione europea il debito verso il mercato che lo Stato italiano avrebbe comunque contratto per finanziare vecchi progetti che esistevano già».



Un’operazione, insomma, che non darà alcuno stimolo alla ripresa
ma che serve solo – anche se Fubini non lo dice – a vincolare ulteriormente l’Italia alla UE attraverso la catena del debito.


I fondi del Recovery Fund destinati agli investimenti aggiuntivi, nelle intenzioni del governo,

dovranno invece essere finanziati quasi per intero attraverso la parte da 82 miliardi dei trasferimenti diretti dal bilancio europeo.



«Solo quella infatti non andrebbe ad aumentare il debito, se utilizzata, proprio perché lo Stato non deve rimborsarla», sottolinea il giornalista.

Peccato però – e questo è il secondo punto evidenziato da Fubini, il più dolente –

che si tratti di una cifra del tutto insufficiente per arginare l’impatto della crisi determinata dalla pandemia.



CATENAGRANDE_shutterstock_1231942255-1024x580.png



Scrive Fubini:

«Dopo un crollo del fatturato di 156 miliardi nel 2020, l’anno prossimo dovrebbero affluire da Next Generation EU appena dieci miliardi per investimenti aggiuntivi,

l’anno dopo altri quindici miliardi e il resto gradualmente fino al 2026.

Sarebbe senz’altro un aiuto, ma non una svolta dopo una caduta dell’economia di quasi il 10 per cento».


Una decina di miliardi (l’anno prossimo), a fronte di un crollo di più di 150 miliardi.



A questo si riduce il “bazooka” dell’Europa.

E per questa manciata di miliardi – che se fossimo ancora un paese economicamente sovrano
non avremmo avuto nessun problema a mobilitare autonomamente facendo ricorso alla nostra banca centrale
(ma che anche adesso potremmo “alzare” domani stesso sui mercati a tassi bassissimi) –
abbiamo sacrificato quel poco di autonomia e di democrazia che ci erano rimaste,
sottoscrivendo un accordo, quello sul Recovery Fund, che prevede il commissariamento de facto dell’Italia.


Sempre Fubini, infatti, qualche mese fa spiegava che le condizionalità del Recovery Fund sono molto più stringenti di quelle del MES.


Complimenti vivissimi a chi ha portato a casa questo capolavoro politico.
 
Questi non sono marziani, ma gente che si da da fare......sarà un caso che sono della lega ?


«In un momento come l’attuale è necessario sostenere la scuola e le famiglie, per questo abbiamo deciso di dare una mano concreta.
Per tutto l’anno scolastico sarà il Comune a pagare i piatti che servono per servire il pranzo,
e considerato che costano 30 centesimi l’uno arriveremo sui 10 mila euro, ai quali aggiungere 40 mila euro per il personale in più
così da assicurare un servizio mensa preciso, sicuro con quattro addetti in più, due per la materna e due per la primaria – spiega il sindaco Giovanni Bussola -.
Inoltre in attesa delle nomine da parte del Miur che dovrebbero incrementare il numero di insegnanti e operatori scolastici
abbiamo una persona che si occupa della sorveglianza».

Un investimento di oltre 50 mila euro che è un segnale importante sul fronte della scuola.


Alla scuola materna “Pianeta bimbi” il preside Tiziano Secchi è riuscito a far quadrare i conti, o perlomeno in buona parte,
anche se la coperta purtroppo è corta e non è possibile arrivare ovunque, con due classi a tempo pieno e due a orario ridotto.

«Fino a venerdì le sezioni A e B fanno orario dalle 7.45 alle 16 - spiega il dirigente Secchi -
mentre le sezioni C e D, in attesa delle nomine per il completamento dell’organico fanno l’orario più corto dalle 8 alle 13 con l’uscita dei bambini dalle 12.40 alle 13».


Assicurato l’orario pieno alla scuola elementare,
considerato che tutte le primarie che fanno capo al comprensivo “Lecco 2” entrano alle 8.30 e fanno lezione fino alle 12.30,
per poi avere un’ora di mensa dalle 12.30 alle 13.30, con rientro pomeridiano dalle 13.30 alle 15.30.
 
Poi ci sono questi......A casa mia 800.000 euro sono 1 miliardo e 500 milioni. Per i lavori sotto elencati ?
Ci saranno da fare i conti, alla fine ........

Adeguare alle nuove regole antisismiche la scuola elementare Pertini di via Cesare Battisti,
cambiare gli infissi e sistemare la copertura costerebbe troppo.

Così il Comune di Mandello ha deciso di cambiare rotta e di abbattere la struttura per ricostruirla daccapo.


«Stiamo per affidare lo studio di fattibilità così da avere il progetto esecutivo nei prossimi mesi
ed essere pronti a partecipare ai bandi che stanno per essere pubblicati dal Ministero
- spiega l’assessore ai Lavori pubblici Andrea Tagliaferri - in questo periodo l’attenzione verso le scuole è molto alta
e sono previsti notevoli aiuti finanziari.
Potremmo anche riuscire a coprire, se non tutta la spesa, almeno una buona parte.
Per sistemare l’edificio ci vorrebbero 800 mila euro, mentre con 2 milioni avremmo una scuola nuova».
 
Una bella impresa portare a terra quel "cisterna" con i soli 2 motori di sinistra.

Un caccia F35B dei Marine USA si è schiantato a terra, esplodendo,
dopo essersi scontrato con una aero-cisterna KC-130J con cui doveva effettuare un’operazione di rifornimento in volo.

Tutto questo è avvenuto sopra la Imperial County, in California, zona desertica.

Ecco un video dello schianto del cacciabombardiere:


F-35B Crashing Ground After Mid-Air Collision With KC-130J pic.twitter.com/dPBdVjokJ9
— vlad vlad (@vladwlad777) September 30, 2020

Un bel 100 milioni di euro che prendono fuoco dopo essersi schiantato.






I marines stanno indagando sulle modalità e le cause dell’incidente.

Ricordiamo che gli F35B vtol/stol sono anche utilizzati dalla Marina Militare Italia sulle nostre portaerei Garibaldi e Cavour.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto