HOUSTON!!! HO 3000 PROBLEMI!

Ha strangolato il suo compagno di cella

ed il corpo della vittima è stato rinvenuto incredibilmente soltanto due giorni dopo l’omicidio.


È quanto avvenuto nel carcere catanese di Caltagirone,

dove un detenuto 60enne è stato arrestato dalla polizia penitenziaria

con l’accusa di avere strangolato il compagno di cella, di 40 anni.



L’uomo è stato arrestato dopo aver confessato il delitto e dovrà rispondere di omicidio volontario.

In una nota la Procura di Caltagirone ha spiegato che dopo una preliminare ispezione cadaverica
eseguita dal consulente tecnico nominato dai magistrati, è stato evidenziato come il decesso provocato da
una forma di asfissia meccanica violenta da strangolamento”, sarebbe avvenuto
almeno 48 ore prima del rinvenimento del corpo”, scoperto l’8 dicembre.



Il procuratore Giuseppe Verzera e il sostituto procuratore Natalia Carrozzo,
che coordinano le indagini in corso, hanno richiesto la convalida dell’arresto per il presunto colpevole
e l’applicazione nei suoi confronti della misura cautelare della custodia cautelare in carcere,
sussistendo a suo carico gravi indizi di colpevolezza.


Un omicidio che fa il seguito a quello avvenuto sempre nel carcere di Caltagirone il 2 gennaio scorso.

Undici mesi fa a morire nell’istituto di detenzione fu Giuseppe Calcagno, anche lui strangolato dal compagno di cella.


Inizialmente la morte di Calcagno venne valutata come decesso naturale.

Poi, grazie alle indagini coordinate dalla Procura e condotte dai carabinieri,
oltre ovviamente agli accertamenti medico-legali, si era giunti alle vere cause della morte.


Per questo lo scorso novembre, dopo le indagini eseguite su delega del sostituto procuratore Samuela Maria Lo Martire
e coordinate dal procuratore Giuseppe Verzera, era stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il presunto omicida,
già sottoposto per altra causa agli arresti domiciliari e già condannato in passato per omicidio e tentato omicidio.
 
Brutte notizie per Assange, il famoso fondatore di WikiLeaks,
che attendeva una sentenza oggi dal tribunale londinese sulla sua estradizione.

Gli Stati Uniti hanno vinto un ricorso contro la sentenza di un giudice distrettuale di Londra
secondo cui Assange non avrebbe dovuto essere estradato perché probabilmente si sarebbe suicidato in una prigione degli Stati Uniti.

“La corte ammette l’appello”, ha detto il giudice Timothy Holroyde.


Il giudice si è detto soddisfatto di un pacchetto di assicurazioni fornite dagli Stati Uniti
sulle condizioni di detenzione di Assange, compreso l’impegno a non trattenerlo
in un cosiddetto carcere di massima sicurezza “ADX” in Colorado
e che sarebbe stato trasferito in Australia per scontare la pena se condannato.


Ma restano altri ostacoli prima che Assange possa essere inviato negli Stati Uniti:
la disputa legale rischia di andare alla Corte Suprema, ultima corte d’appello.


La fidanzata di Assange, Stella Moris, ha detto che il suo team legale farà ricorso contro la decisione.

Il futuro di Assage è appeso ad un filo.
 
Ops....ma questi non sono Italiani..........


Scoppia lo scandalo della Corte dei Conti europea,

con funzionari sospettati di aver intascato lautissime somme in modo illecito, e cosa fanno i pezzi grossi ?


Stanno minacciando di ricorrere ad azioni legali per imbavagliare i giornalisti

che, giustamente, li accusano con un’inchiesta feroce,

di cui NON vedrete quasi nulla sui giornali italiani.



Klaus-Heiner Lehne, il presidente tedesco della Corte dei conti europea (ECA), che ha sede in Lussemburgo,

è stato accusato di affittare un appartamento, condiviso con altri alti funzionari dell’UE,

che usa solo una volta alla settimana per beneficiarne degli enormi rimborsi spese che spettano ai giudici della corte europea di revisione dei conti.


I revisori dei conti devono vivere nel Granducato

e beneficiare di un’indennità di soggiorno supplementare pari al 15% del loro stipendio

– circa 24.000 euro al mese per Lehne – come compensazione per la vita all’estero.

Una cifra francamente enorme.


Il quotidiano francese Libération lo ha accusato di aver organizzato il lavoro dell’organo di controllo

in modo da ridurre al minimo il suo tempo in Lussemburgo, intascando almeno 325.000 euro di rimborsi spese non dovuti.



Condividendo il trasandato appartamento “duplex” con altri tre alti funzionari tedeschi dell’UE,

che sono tutti ex o attuali aiutanti senior nel suo ufficio, Lehne, 63 anni,

è stato in grado di ridurre i suoi costi di affitto permettendogli, si dice, di trarre profitto ancora di più dalle sue indennità.


“Tutti hanno diritto a un’indennità di soggiorno. Senza condizione. È una regola contabile”,
ha detto questa settimana a un comitato interno dei deputati, sottolineando di non aver infranto le regole sulle spese.
“È la mia attività privata.”


L’ex eurodeputato è anche accusato di aver utilizzato la sua auto di grossa cilindrata con autista,
con targa diplomatica, per raggiungere la sua città natale, Düsseldorf, dove è attivo nella politica locale come democristiano.

In base alle norme attuali, ai revisori dei conti dell’UE è consentito l’uso personale illimitato dei loro autisti

e delle auto di lusso al costo di soli 100 euro al mese, un vantaggio che ne vale migliaia.


Per 100 giorni all’anno, Lehne ha un secondo lavoro

come partner dello studio legale commerciale Taylor Wessing

e, secondo il quotidiano tedesco FAZ, ha cercato di fare pressione sulla Commissione europea per conto dei suoi clienti
.


Un portavoce dell’ECA ha dichiarato:
“La corte e il suo revisore interno hanno intrapreso una rigorosa revisione dei sistemi di controllo.
Tale riesame ha stabilito che non sono stati rilevati casi di irregolarità”.


Durante una sessione di emergenza della commissione per il controllo del bilancio del Parlamento europeo la scorsa settimana,

Lehne ha affermato di aver consultato degli avvocati, a spese pubbliche,

per imbavagliare Libération il quotidiano francese che sta conducendo l’inchiesta.


“Siamo in contatto con un avvocato a Parigi e stiamo verificando le opportunità legali”,
ha detto, aggiungendo che è “impossibile, inaccettabile” che vengano avanzate le accuse.


La sua richiesta di azione legale è stata ripresa da Monika Hohlmeier,

presidente della commissione per il controllo del bilancio del Parlamento europeo,

un altro osservatore della spesa dell’UE, che, durante i colloqui di questa settimana,

si è lamentata del fatto che era troppo difficile citare in giudizio i giornalisti.



“Questo è un problema con le conseguenze della libertà di stampa”, ha detto.


L’ECA non è estranea a scandali sleali.

Alla fine di settembre un ex revisore dei conti dell’UE
è stato privato di due terzi dei suoi diritti a pensione per aver abusato dei suoi vantaggi.

Karel Pinxten, 69 anni, ex ministro belga, che guadagnava più di 17.000 euro al mese
ha abusato di spese per circa 570.000 euro mentre era membro dell’ECA tra il 2006 e il 2018


Le “irregolarità” includevano la messa in spesa di 332 cosiddetti viaggi di lavoro,
tra cui una vacanza di due settimane a Cuba con sua moglie e fino a 40 battute di caccia con gli amici.

Si diceva anche che avesse chiesto delle spese per aiutarlo a comprare una vigna in Borgogna.



Quindi le spese folli si annidano proprio nell’organo europeo

che dovrebbe controllare le spese,

il quale poi usa i propri poteri per far tacere le critiche.


Uno scandalo enorme , colossale, assurdo,

ma di cui NON leggerete nulla in Italia.

Del resto chi foraggia la comunicazione ?



Senza contare che al centro della cospirazione c’è il potentissimo PPE, nella sua conformazione tedesca.
 
Vi ricordate che "qualcuno" ha detto che la proprietà privata "deve essere abolita" ?



l'Unione Europea impone la più grande cancellazione della ricchezza italiana in tremila anni di storia.




La notizia pubblicata ieri dal Messaggero è riportata da tutti gli altri quotidiani italiani è epocale.

Si viene a prospettare la più grande spoliazione di ricchezza dell’Italia

dai tempi della fondazione di Roma punto.


A nessun Barbaro che ha invaso il nostro paese nei secoli precedenti

era mai venuto in mente di cancellare il valore di una larga fetta degli immobili

con un semplice tratto di penna punto.


Eppure la commissione Europea è in grado di fare questo.

Metà della ricchezza, diffusa, degli italiani praticamente azzerata.



La commissione Europea,

in linea con la demenziale norma della transizione energetica voluta non pugno di burocrati

viene da qui al 2027 a cancellare la possibilità di vendere o affittare gli immobili delle classi energetiche più basse a partire da G D ed E.

I proprietari di questi immobili potranno dire addio a qualsiasi reddito, e non è neppure sicuro che questi beni potranno essere ottenuti in eredità .


Senza utilizzare troppa fantasia, le ricadute economiche saranno pesantissime:

la bozza choc non è ancora stata pubblicata ma, da quanto ha appreso Il Messaggero,

il rischio è di un boomerang negativo sui mercati immobiliari di tutti i Paesi dell’Unione europea.


L’operazione inizierà gradualmente dal 2027 e, entro il 2050, tutti gli edifici dovranno essere “a emissioni zero”, cioè nelle classi A e B.


La direttiva stabilita dall’Ue vorrebbe che dal 2027 tutti gli immobili siano standardizzati sulla classe energetica E

che dovrà diventare D dal 2030

e C dal 1° gennaio 2033.

Infine, entro il 2035, un ulteriore efficientamento fino ad arrivare alle classi A e B,
quelle che “consumano” meno e rispettano l’ambiente.


I proprietari che si rifiuteranno di adeguarsi a questi standard

non potranno più affittare o vendere quanto posseduto dal 2027,

una cosa ad oggi impensabile.



Prima di tutto bisogna chiedersi se è economicamente possibile, tollerabile,
per qualsiasi società vedere azzerare il valore degli immobili nell’arco di 5 anni
solo perché questo viene scritto su un pezzo di carta.


Pensare di poter aggiornare alle classi energetiche A e B tutti gli immobili da qui al 2027 è semplicemente demenziale.


Secondo Fiai Enea 85% dei monolocali e il 74% delle villette a schiera è in classe G o D.

Cosa facciamo buttiamo tutti per strada e demoliamo tutto?


Il disegno della Commissione è chiaro e evidente:

con il pretesto del chiarimento climatico si vuole distruggere la ricchezza degli italiani.

La nostre classe politica appare imbelle o, nel caso del PD e della sinistra , complice, a reggere il sacco.


Del resto l’idea parte dal commissario socialista Timmermans,

uno della stessa cricca privilegiata dei vari Letta e Speranza.


Gli italiani possono o essere pelati, o dire un secco , totale, no.


Non c’è via di mezzo.
 
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Una foto recente di Del Potro, che fa sempre buonumore.

Se non prevedessimo nei primi 100 giorni del Governo Warning

un provvedimento che condanni a 30 giorni di carcere

chi usi la parola resilienza ecco, noi la useremmo per definirlo.
 
Così come scritto nero su bianco nelle ultime linee guida delle Regioni,

il vaccino difende dalle forme gravi del Covid-19,

ma non impedisce affatto la trasmissione del contagio.



Stando così le cose,

l’unica ragione per il rafforzamento

di uno strumento abominevole qual è il Green pass è di natura prettamente politica.



Con essa si tende a segregare chi,

non vaccinandosi per i più disparati motivi,

sembra incrinare il coacervo di interessi,

politici, economici e professionali,

che si cela dietro una infinita pandemia.
 
La gallina/Non è un animale/Intelligente/Lo si capisce/Lo si capisce/Da come guarda la gente”.

È la strofa di una canzone del cabaret surrealista di Cochi e Renato, scritta con Enzo Jannacci nel 1972.

Per mezzo secolo è stata considerata un’espressione alta della cultura musicale alternativa.

Roba da élite del pensiero; materia per circoli intellettuali;
ghiottoneria distribuita nelle cantine e nei sottoscala dove si facevano musica e spettacolo
per la borghesia “intelligente” mentre il popolo-bue si sfamava con dosi massicce di io tu e le rose, dispensate dal piccolo schermo.



Ufficio facce/La gallina” finora sarebbe stata definita una canzone cult.

Oggi non più, da quando l’Associazione italiana per la difesa degli animali e dell’ambiente (Aidaa) sul proprio blog
ne ha proposto la modifica abolendo la negazione “non”
come forma risarcitoria per quello che sarebbe un “inaccettabile insulto agli animali”.



Pensate sia uno scherzo?

Nient’affatto: è tutto vero.


È l’ennesimo frutto avvelenato di un revisionismo culturale autolesionista

che mira a demolire le fondamenta della civiltà occidentale.



Per farlo, ha ingaggiato una guerra senza quartiere alla nostra Storia e al nostro linguaggio.


C’è una minoranza definita da Luca Ricolfi nel libro scritto a quattro mani con Paola Mastrocola
dal titolo “Manifesto del libero pensiero:

autoproclamati legislatori del linguaggio

che vuole riplasmare il mondo a sua immagine ricorrendo all’intimidazione e all’isolamento sociale per chi non vi si adegui.



Tale minoranza veste i panni dell’establishment progressista:

proconsoli e centurioni delle legioni del “Bene”.



Il suo vessillo è l’egualitarismo,

realizzato mediante la violenza “razzista” delle minoranze sociali

aggregate su basi di genere, ideologiche ed etnico-religiose.



La gabbia nella quale dovremmo infilare tutti il cervello

è il “politicamente-corretto”,

che non significa mettere una parola giusta al posto di una sbagliata.




La neo-lingua mira dritto al cuore della libertà di parola, connessa a quella di pensiero.


Ma se la libertà di espressione è negata dall’esigenza di non offendere altrui sensibilità, cosa ne è del pensiero critico?


Ciò che non è conforme, è scorretto.

Gli scorretti vanno emarginati, non possono stare nelle prime file della “buona” società.


Questa “nobile” dottrina ci costringe, per quieto vivere,

a mozzare le desinenze di genere alle parole

e a sostituirle con un asterisco che sa di lapide funeraria.

Sindaco o sindaca? Meglio sindac*;

Avvocato o avvocata? Avvocat*

e passa la paura.


Dovremmo essere decisamente impazziti se accettassimo una tale follia.


Eppure, questa robaccia è la minestra che passa il convento progressista.



Si è fatto un gran parlare dell’ultima trovata della “stupidocrazia” di Bruxelles

sulle linee guida della corretta comunicazione, emanate dalla Commissione europea

e subito ritirate per l’eccesso di comicità che avrebbero prodotto se applicate.




Attenti, però:

non è stata la trovata geniale, rivelatasi una cantonata, di qualche super-burocrate
ma l’esito di un lungo percorso di revisione indirizzato, in campo comunitario,
alla sterilizzazione del linguaggio.

Sono patetici a Bruxelles se pensano di colmare il secolare gap di genere i
mponendo sanzioni a chi osi dare dell’avvocato a un’avvocata.

Forse che l’adozione di un linguaggio non sessista e inclusivo
impedisca le discriminazioni di genere e ci faccia essere migliori?


Aveva visto giusto Natalia Ginzburg che negli anni Ottanta
denunciava l’ipocrisia di una svolta linguistica
che ripiegasse sulla pretesa di cambiare il linguaggio
non avendo la capacità di cambiare le cose.

Il linguaggio è un’arma a doppio taglio.

Se, per un verso, conferisce significato alla realtà,
per altro verso il linguaggio è un “mezzo per ordinare, consigliare, comandare”.


L’attitudine del linguaggio alla manipolazione è il grimaldello

di cui l’establishment progressista si serve per scassinare le certezze nelle nostre esistenze.

E distruggerle.
 
Renato Cristin lo ha definitonichilismo del XXI secolo”.

Un piano ben studiato per demolire la "Tradizione" :

l’immenso terrapieno sul quale le precedenti generazioni hanno edificato la civiltà che abitiamo.



La strategia nichilista è di renderci confusi, apolidi, smemorati, parricidi,

incatenati al presente da una connessione emotiva malata,

in tutto simile a quella che lega il tossicodipendente alla sostanza stupefacente.



Se ci abbandonassimo ai gorghi di una modernità disancorata da ogni riferimento valoriale del passato,
in cosa o in chi poi dovremmo avere fede?

Umberto Eco sosteneva che quando si smette di credere in Dio
non è che non si creda più in niente ma si comincia ad avere fede in qualcos’altro.


E l’annientamento di tutto ciò che siamo stati, come vorrebbero i fautori del nichilismo, a cosa o a chi dovrebbe condurci?


Pur ammettendo l’esistenza di una relazione diretta tra linguaggio e realtà
non dobbiamo cedere alla tentazione di considerare il linguaggio rappresentazione pedissequa della realtà.

La differenziazione tra i due insiemi concettuali, che necessita di chiavi interpretative, misura il nostro grado di libertà.


Chiediamoci allora:

è libera una società in cui una parte (minoritaria) imponga a tutte le altre componenti codici di scrittura “corretti”?



Luca Ricolfi
segnala una stortura del sistema editoriale ignota al pubblico:

la presenza nelle case editrici dei sensitivity readers.

Sono gli esperti dediti a censurare nei manoscritti in fase di pubblicazione

tutte le espressioni o le idee che potrebbero urtare la sensibilità dei lettori.



Siamo alla narcotizzazione delle masse,

su scala talmente vasta che neanche la fantasia visionaria di George Orwell avrebbe osato tanto.



C’è un linguaggio unico sostenuto da un pensiero unico

che si dirama in tutti i settori della vita pubblica ed entra prepotentemente nelle vite private.



C’è il linguaggio unico della pandemia;

c’è il linguaggio unico dell’europeismo;

c’è il linguaggio unico dell’immigrazionismo;

c’è il linguaggio unico del mito resistenziale che divide ontologicamente quelli che stavano dal lato giusto della storia da quelli che ne presidiavano la sponda sbagliata;

c’è il linguaggio unico del presente, rappresentazione della realtà invariabile, forma archetipica del migliore dei mondi possibili.




Chi non è in linea,
chi non si conforma
è fuori dalla grazia provvidenziale e salvifica del “Bene”,
che ha detronizzato il Dio di Abramo e dei Profeti proclamandosi esso stesso Dio.


Pensate davvero che la lotta dei progressisti contro liberali e conservatori

si giochi sul piano inclinato di qualche “riformicchia” sbilenca?



É in ballo la sopravvivenza di una civiltà.


Ci sarà da combattere.



E chi intenda rispondere alla chiamata alle armi cominci a essere politicamente scorretto nelle parole, nei pensieri, nelle idee, nei gesti.

Remi controcorrente e affronti con coraggio i marosi del conformismo.

Per quanto ciò appaia triste e disarmante, dopo secoli di sangue e guerre siamo ancora qui a guadagnarci la nostra libertà.

Che non è gratuita.

E non è mai scontata.

Cosicché ogni nostro anelito, che aspira a farsi argine all’oppressione del politicamente-corretto,

lo custodisce, in prezioso scrigno, la strofa del poeta che la invoca:



E in virtù d’una Parola/Ricomincio la mia vita/Sono nato per conoscerti//Per chiamarti/Libertà” (Paul Éluard, Libertà, 1942).
 
Secondo i Giudici amministrativi per lo svolgimento della pratica osteopatica

non è necessario, ad oggi, differentemente da quanto previsto per la pratica medica, un titolo abilitativo:

in quanto consistente in una disciplina terapeutica incentrata sulla manipolazione dell'apparato muscoloscheletrico
al fine di trattare patologie o disfunzioni ad esso pertinenti,
l’osteopatia non può infatti essere assimilata alla professione medica
che si estrinseca nell'individuare e diagnosticare le malattie, nel prescriverne la cura e nel somministrare i rimedi.


Questo è quanto chiarito dal Tar Sicilia-Catania, sezione IV, con la sentenza 27/29 luglio - 30 agosto 2021, n. 2684 (testo in calce).


Dopo l’entrata in vigore della Legge n. 3/2018,
che ha ricondotto l’osteopatia tra le professioni sanitarie,
prevedendo l’istituzione della laurea triennale in osteopatia,
il Ministero della Salute aveva diramato alcune linee di indirizzo alle Autorità sanitarie locali,
che avevano portato all’inibizione all’esercizio della professione
nei confronti di molti professionisti osteopati ed alla denuncia per esercizio abusivo della professione.


In particolare, la Direzione generale delle professioni sanitarie del Ministero della Salute
aveva evidenziato che con l’entrata in vigore della Legge n. 3/2018
l’attività professionale dell’osteopata non poteva essere esercitata,
a meno che il professionista non fosse già in possesso della laurea in medicina e chirurgia
e successiva abilitazione o della laura abilitante in fisioterapia.


Sulla scorta delle predette indicazioni,
molte Aziende sanitarie hanno diffidato parecchi osteopati dal proseguire l’esercizio dell’attività
in mancanza della laurea in medicina e relativa abilitazione o della laurea in fisioterapia,
denunciando chi ne fosse privo per il reato di esercizio abusivo della professione.


Uno degli osteopati destinatari della diffida,
ha quindi impugnato innanzi al Tar Catania il provvedimento di inibizione alla prosecuzione dell’attività professionale,
censurando l’operato dell’Azienda sanitaria, ed indirettamente le stesse indicazioni del Ministero della Salute,
ritenendole illegittime per violazione, tra l’altro, degli articoli degli articoli 35 comma 1 e 41 Cost.


Con sentenza del 30 agosto 2021, condividendo le tesi difensive del ricorrente,
il Tar Catania ha accolto il ricorso annullando la diffida emessa dall’Azienda sanitaria,
in quanto ritenuta illegittima.



Secondo i Giudici amministrativi, in particolare,
in quanto consistente in una disciplina terapeutica incentrata sulla manipolazione dell'apparato muscoloscheletrico
al fine di trattare patologie o disfunzioni ad esso pertinenti, l’osteopatia non può essere assimilata alla professione medica
che si estrinseca nell'individuare e diagnosticare le malattie, nel prescriverne la cura e nel somministrare i rimedi;
ne consegue che per lo svolgimento della pratica osteopatica non è necessario, ad oggi,
differentemente da quanto previsto per la pratica medica, un titolo abilitativo.


Di contro, prosegue la sentenza, se è vero che con la Legge 11 gennaio 2018, n. 3,
la professione dell’osteopatia è stata ricondotta nell’ambito delle professioni sanitarie,
tuttavia, condividendo a pieno sul punto la tesi difensiva del ricorrente,
il Tar ha rilevato che trattasi di una disposizione legislativa che si limita a delegare l’individuazione della disciplina di dettaglio,
nonché l’istituzione del nuovo corso universitario di formazione e di corsi integrativi,
da un lato alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
e, dall’altro, al Ministro dell'istruzione, dell’Università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute,
con il parere del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità.


Quella di cui all’art. 7 della Legge n. 3/2018 non è quindi una disposizione legislativa immediatamente precettiva,
bensì meramente programmatica, come confermato peraltro anche dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 209/2020).


L’istituzione della figura professionale sanitaria dell’osteopata
potrà pertanto ritenersi completata solo a conclusione del primo ciclo dell’istituendo corso di laurea triennale in osteopatia,
momento a partire dal quale l’osteopata, per poter esercitare la professione,
dovrà possedere sia la laurea triennale specifica, che l’iscrizione all’istituendo albo professionale
(salve restando le determinazioni dell’Amministrazione in ordine all’equipollenza dei titoli pregressi).


Non è necessario il possesso di alcun titolo specifico

In conclusione, fin quando non verranno istituiti i corsi di laurea triennale in osteopatia ed istituiti i relativi albi professionali,

per i Giudici amministrativi nessun titolo specifico potrà essere richiesto per l’esercizio dell’attività di osteopata,

che resterà libero e regolato esclusivamente dalla Legge n. 4/2013.

TAR CATANIA, SENTENZA N. 2684/2021 >> SCARICA IL TESTO PDF
 

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