HOUSTON!!! HO 3000 PROBLEMI!

Ahahahahah mai porre un fondo alla incompetenza.
Ma come ?
Ma se il "vaccino salva tutti" ed il tampone sbagliava........



È bastata una (assurda) firmettina di Di Maio e Speranza
per mandare in fumo le vacanze natalizie di migliaia di persone.


Si entra solo col tampone, anche se vaccinati.


Ne paga le conseguenze il settore del turismo, che secondo Federturismo vedrà moltiplicarsi il numero di disdette.

Ma anche gli italiani che vivono all’estero e che sarebbero volentieri tornate nel Belpaese per passare le feste insieme alle famiglie di origine.

Tutto da rifare, probabilmente.

Sia per chi vive nei Paesi Ue, e che dovranno organizzarsi tra quarantene di 5 giorni (se non vaccinati) e test rapidi (se immunizzati).

Ma anche per chi vive in altri Stati non comunitari.

Tra questi ci sono 4mila connazionali a Singapore che dovranno rinunciare alle loro vacanze,
e che devono essere particolarmente infuriati se l’Ambasciatore italiano
s’è preso la briga di storcere il naso pubblicamente contro le decisioni del ministro Speranza.



Nell’ultima ordinanza del ministro, infatti,
è stata modificata anche la lista dei Paesi da cui si può arrivare in Italia senza effettuare la quarantena.

Si tratta dell’elenco D.

Fino a ieri Singapore era inclusa, e dunque chi arrivava dall’isola asiatica non doveva sottostare a particolari quarantene.

Ora invece non c’è più.


“Voglio credere che l’assenza sia frutto di un errore materiale o di un refuso”,
dice all’Adnkronos l’Ambasciatore d’Italia, Mario Vattani.
“Singapore ha un numero bassissimo di contagi, qui Omicron è praticamente assente,
e la popolazione è vaccinata quasi al 100%.
Che io sappia nessun altro paese europeo sta applicando queste restrizioni”.


La mossa del ministero ha provocato malumori, e non pochi, tra i residenti.

“Siamo stati informati, come Camera di commercio italiano
dell’obbligo di quarantena per chi da Singapore va in Italia
– spiega all’Adnkronos Alberto Maria Martinelli, presidente dell’Iccs, la Camera di commercio italiana nella città Stato – Siamo molto perplessi”.

Intanto perché “i numeri non lo giustificano in termini di decessi e contagi,
considerevolmente inferiori, e vaccini, che hanno percentuali superiori, incluso il booster”.

E poi perché Singapore ha “volutamente aperto una Vtl (Vaccinated travel line) con l’Italia e altri paesi,
perché riconosce la sua posizione di hub logistico, finanziario, legale.

Vale a dire che stanno rientrando verso l’Italia non solo cittadini di Singapore per fare le vacanze ma anche imprenditori. E questa cosa non aiuta”.


Sulla stessa linea anche il nuovo presidente del Comites di Singapore,
secondo cui l’ultima trovata del duo Speranza-Di Maio è “inspiegabile”.


“Il poco preavviso mette in difficoltà sia persone che aziende – attacca Andrea Monni –
gli italiani che in questi giorni stanno partendo con le famiglie e rischiano di rovinarsi le vacanze,
i turisti che da Singapore avrebbero voluto viaggiare in Italia
ma cancelleranno con conseguenti danni d’immagine per il paese ed economici per gli operatori.
Chiediamo la revisione della misura restrittiva”.
 
È il giorno dello sciopero generale.

Lo hanno voluto la Cgil e la Uil, ma non la Cisl che si è chiamata fuori.

Si protesta contro la legge di Bilancio 2022, in discussione in Parlamento.

Per Cgil e Uil la manovra finanziaria predisposta dal Governo è insoddisfacente
riguardo agli interventi su fisco, pensioni, scuola, politica industriale e lotta alle disuguaglianze.

Nel mirino dei due sindacati c’è il mancato accordo con il Governo sull’utilizzo degli 8 miliardi di euro stanziati per il taglio delle tasse.

La parte sindacale che oggi sciopera avrebbe voluto una distribuzione in stile “comunismo degli stracci
dei benefici prodotti dall’alleggerimento fiscale:

nulla ai redditi medio-alti,

tutto alle pensioni e ai redditi più bassi.


Potrebbe sembrare una proposta tesa a restituire maggiore equità sociale
a un sistema segnato da una marcata divaricazione tra i ceti forti e dei garantiti
e un segmento importante del ceto medio precipitato appena sopra o, nei casi peggiori,
sotto la soglia di povertà.

Ma non lo è.


La prospettiva di penalizzare i redditi più alti non aiuta la coesione sociale, piuttosto la deprime.

Ragioniamoci su:

se si continua a mortificare il profitto,
perché sperare che i privati ricomincino a credere nell’intrapresa?

Perché dovrebbero investire nella produzione, abiurando la rendita finanziaria,
se lo Stato si rivolta contro i produttori di ricchezza (e di lavoro)
peggio di quanto non faccia con una tassazione insostenibile,
una burocrazia pachidermica
ed una giustizia che per lentezza è una non-giustizia?

Maurizio Landini, segretario generale della Cgil,
ha spinto perché il Governo inserisse in manovra, a carico dei più ricchi,
il famigerato “contributo di solidarietà”, che è una patrimoniale presentata sotto mentite spoglie.

E l’ha presa male quando la proposta è stata bocciata dalla maggioranza delle forze politiche che sostengono Mario Draghi.


Se fosse stato approvato, l’intervento, secondo le stime del ministero dell’Economia,
avrebbe portato nelle casse dello Stato circa 250 milioni di euro.



Domande: sarebbero bastati a finanziare tutte le cose belle di cui parlano Landini e compagni?

Davvero il segretario della Cgil pensa che gli italiani abbiano l’anello al naso?

Era il caso di provocare lo scontro sociale?


Vogliamo essere chiari:

Riteniamo che i due leader sindacali siano disperati e cerchino,

attraverso l’arma della protesta più dura,

di riconquistare una centralità nel Paese, da tempo perduta.



Smascherare la loro posticcia intransigenza è semplicissimo.

É sufficiente che gli si chieda:

dove eravate negli anni di Governo della sinistra

che ha tenuto alta la tassazione ma non ha ridotto gli squilibri sociali?


In cambio di cosa siete ammutoliti?



Adesso vi preoccupate dei dipendenti e dei pensionati che bene o male una base reddituale garantita l’hanno,
ma non vi importa niente di coloro che hanno pagato a caro prezzo le crisi che si sono succedute negli ultimi dieci anni ?


Precari, lavoratori autonomi e micro-imprenditori non vi competono, perciò le loro sorti non sono affare vostro.

La verità è che la lotta per la difesa del lavoro non appartiene da tempo all’odierno modello sindacale
e le battaglie che la “triplice” conduce sono derubricabili a rivendicazioni di stampo corporativo.

Dello stesso tenore di quelle sostenute dalle vituperate lobby.


Parliamoci chiaro:

lo sciopero di oggi non c’entra un bel nulla con le istanze dei lavoratori.


La prova di forza di quest’oggi mira esclusivamente a raggiungere il piano della politica
sul quale Maurizio Landini in particolare prova a ritagliarsi uno spazio.

Lo ha confessato in un’intervista a “Il Fatto Quotidiano”:

Il sindacato ha il dovere di rappresentare il disagio e scongiurare lacerazioni sociali,
ha il compito di tutelare il lavoro e rafforzare la democrazia
”.


Il segretario generale della Cgil ci sta dicendo di volersi intestare l’opposizione di piazza,
extraparlamentare, a questo Governo e all’ampia maggioranza che lo sostiene,
non volendone lasciare l’esclusiva a Giorgia Meloni quale esponente dell’unica forza partitica
che non vota, e non santifica, l’operato di Mario Draghi.

È umano che una persona, non riuscendo più a trarre soddisfazione dall’attività che svolge, ne cerchi un’altra.

Ma appare un tantino esagerato che, per ritagliarsi uno strapuntino sulla scena politica,
Maurizio Landini abbia pensato di scatenare un finimondo con lo sciopero generale.
Esistono modi meno tossici con cui trastullarsi.


Se la protesta non avesse i numeri auspicati,
in un Paese normale i promotori dovrebbero fare le valigie e tornare a casa.

Ma siamo in Italia, dove la locuzione “passo indietro” si ascrive alla categoria filosofico-concettuale dell’utopia.

E visto che il sole su questo nostro mondo tornerà a sorgere anche domani,
consigliamo ai nostri valorosi sindacalisti un accorto cambio di registro.

Vogliono essere d’aiuto al Paese?

Comincino con l’affrontare seriamente i nodi che il contesto economico ci mette davanti.

C’è un problema delocalizzazioni che sta desertificando il nostro tessuto produttivo.

Non lo si risolve con leggi e leggine studiate per mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole andarsene.


Funziona l’esatto contrario:

creare le condizioni ambientali e di sistema per essere più accoglienti con i potenziali investitori, esteri e nostrani.



C’è un macigno gigantesco che ostruisce la strada della ripresa economica e si chiama: assenza di un piano industriale nazionale.

Ciò di cui abbiamo certezza è che oggi i denari ci sono. E tanti.

Li ha la mano pubblica, grazie al Programma europeo di sostegno alla ripresa economica post-pandemica;
li hanno i privati che, spendendo e investendo meno durante il lungo periodo di confinamento domiciliare, hanno incrementato il risparmio.


Cosa si aspetta a stabilire da che parte si voglia andare nei prossimi cinquant’anni?

Quali produzioni privilegiare, sinergie attivare, infrastrutture costruire?

Oppure abbiamo in mente di comprare tutto all’estero, per la gioia dei Paesi nostri concorrenti?


Al riguardo, la politica e il sistema mediatico italiani sono fenomenali:
tutti concentrati allo sfinimento sul pelo
e nessuno che abbia la benché minima contezza della trave che gli pende sulla testa.


La trave è l’indice della produttività che negli ultimi 25 anni è rimasto fermo sullo zero.


Nel periodo 1995-2019 (fonte Istat) si è avuta una variazione leggermente positiva della produttività del lavoro (+0,3 per cento)
e una leggermente negativa della produttività del capitale (-0,7 per cento).

Capirete che sono numeri da default per un sistema economico.

Produrre, è l’imperativo categorico che dovrebbe vederci tutti uniti come un sol uomo ad affrontare lo sforzo della ripartenza.


Invece, lo sciopero generale di oggi è un errore e, insieme, una debolezza.

Tuttavia, serve a poco recriminare.

Bruciata questa giornata di ordinaria follia sindacale, voltiamo pagina.

A Maurizio Landini, dopo aver esploso una salva dal cannone del Gianicolo per segnalare al popolo il mezzodì,
non resta che decidere se essere o no della partita.

Non che ci importi dei suoi personali destini ma è giusto che gli italiani sappiano.

E soprattutto lo sappiano i lavoratori che in questi tempi bui stanno decidendo se continuare o meno a fidarsi del sindacato.
 
Cinque persone in studio, più Massimo Giletti.

Tutti ben distanziati ad almeno due metri l’uno dall’altro.

Nessun assembramento, distanziamento rispettato.

Eppure Sandra Amurri se ne sta lì con la sua mascherina in tinta col vestito.

Il motivo?

Durante l’ultima puntata di Non è l’Arena ha “scoperto” che Zeno non è vaccinato.
“Allora mi metto la mascherina”, dice la giornalista che appare quasi sconvolta manco avesse visto un appestato.
Il tatuatore leader dei no vax e no green pass milanesi replica con garbo,
facendo notare che per entrare in studio s’è fatto un tampone dunque lui è certamente negativo.

Ma la lite scoppia lo stesso.



Non siamo ai livelli della faida tra Scanzi e il prof no green pass da Bianca Berlinguer, ma poco ci manca.

In studio restano tutti sorpresi dalla scelta di Amurri di coprirsi maso e bocca, visto che la puntura se l’è fatta.

Ma soprattutto per il fatto che tutti i presenti non vaccinati, Zeno compreso,
prima di sedersi nel salotto di Giletti si sono fatti un tampone.

Quando Zeno lo fa notare alla giornalista, la Amurri se ne esce con questo ragionamento qui:
Lei potrebbe essere già positivo e il tampone non lo rileva“.

Dunque, visto che lei il Covid non se lo viole “pigliare”, si è messa la mascherina.
“Se me lo prendo, lo prendo in forma lieve perché sono vaccinata. Ma non lo voglio neppure in forma lieve”.


Per carità, scelta legittima.

Ma che nasconde una gaffe incredibilmente antiscientifica.

La Amurri forse dimentica che anche i vaccinati, seppur con minor probabilità (Omicron permettendo),
possono infettarsi e contagiare a loro volta.

Anche lei, insomma, potrebbe essere già positiva e non saperlo.

Dunque se il Covid non se vuol “pigliare” nemmeno in forma lieve,
dovrebbe tenere la mascherina anche quando è in studio solo con vaccinati.

Perché nessuno, e men che meno il super green pass da vaccino, può garantirle di essere in presenza di persone negative.


L’unico modo per avere questa certezza è che tutti i presenti, vaccinati e non,
si sottopongano prima di entrare ad un tampone molecolare.

Il gold standard dei test anticovid.

Lo sa bene Martina Colombari, ipervaccinata, che s’è beccata il virus e per diversi giorni è andata in giro grazie al suo green pass
prima di scoprire la propria positività.

L’ha capito anche il ministero della Salute, che nella pazza idea di contenere la trasmissione di Omicron,
un paio di giorni fa ha decretato di fatto la morte del green pass europeo:

per entrare in Italia, anche i vaccinati devono farsi un tampone.


E ora pure Locatelli, membro del Cts, chiede che la stessa norma venga allargata ai grandi eventi.

Perché?

Semplice: solo il test “garantisce” la negatività istantanea.

Chiaro?

Non il vaccino.
Che protegge dall’infezione, abbatte il rischio di malattia grave, ridurrà magari anche la trasmissione.
Ma non dà alcuna certezza scientifica sul non essere infetti.



Ha avuto allora ragione Giletti a dire alla Amurri :

“Ma togli ‘sta mascherina, stai a due metri e mezzo”.


Perché delle due l’una:

o il Dpi lo indossi con tutti, ed è ovviamente lecito, oppure con nessuno.


Additare solo i no vax di essere possibili untori, beh: questa sì che è una gaffe antiscientifica.
 
Come siamo messi ? Per i contagi sembra male,
ma la chiave di lettura sta nel fatto che vengono fatti
centinaia di migliaia di tamponi ogni giorno.
Lo scorso anno non esistevano, praticamente.


Attualmente in Italia sono poco più di 7.000 i ricoverati per Covid.

Di questi, 863 sono in terapia intensiva.

E’ possibile dunque parlare di emergenza?

Eppure non è la prima volta che un virus mette ‘in ginocchio’ il sistema sanitario nazionale,
almeno stando a quanto riportavano i giornali in passato.

A fare una panoramica delle precedenti ‘emergenze’ è La Verità,
che produce un elenco puntuale relativo alla vera emergenza,
quella dei posti in terapia intensiva che diminuiscono sempre di più.



Già a gennaio 2015 Guido Frascaroli,
alla guida della rianimazione cardiologica del Sant’Orsola Malpighi di Bologna dichiarò al Corriere della Sera:

“Le terapie intensive sono intasate da pazienti che sono appena usciti dall’Ecmo”
il macchinario che si sostituisce ai polmoni,
“o sono talmente gravi da poterne avere bisogno”.

«C’è un’attività così elevata che facciamo fatica a far fronte a tutte le richieste»,
era poi la comunicazione urgente inviata dall’ospedale San Gerardo di Monza ai centri di rianimazione italiana.

Sempre a gennaio 2015 l’Ansa riportava:

«Un picco di casi gravi legati all’influenza
si sta registrando in moltissimi Pronto soccorso italiani, dal Nord al Sud del Paese.

Ad affermarlo è il presidente della Società italiana di medicina di emergenza urgenza (Simeu), Alfonso Cibinel,
che definisce la situazione “preoccupante”».

«In alcuni ospedali i codici rossi sono aumentati fino al 100%.
I casi di polmonite sono aumentati dal 3 al 10%,
con pari aumento dei casi che richiedono respirazione artificiale.
Tra le cause, il calo delle vaccinazioni».


«Ancora un anno nero per le morti in Italia.
Nell’inverno che si sta concludendo c’è stato un altro boom dei decessi dopo quello del 2015.

Vittime, in particolare, gli ultra sessantacinquenni.
La scarsa diffusione del vaccino tra gli anziani e un’influenza molto aggressiva
hanno condizionato pesantemente il dato epidemiologico»,

scriveva la Repubblica il 18 marzo 2017.


«Possiamo stimare un dato nazionale di morti in eccesso tra 15 e 20.000»,
parola dell’allora presidente dell’Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi.


A dicembre 2016, l’influenza aveva creato il caso nelle strutture sanitarie del Piemonte.

«Ospedali torinesi al collasso», scriveva Torinotoday,
«alla Città della Salute mancherebbero persino dei posti letto in rianimazione, neurologia e medicina generale.

La situazione non migliorerà nelle prossime ore.

Anzi alcuni dei 400.000 malati stimati negli ultimi sette giorni
raccontano di giornate passate in un corridoio, nell’attesa che si liberi un posto per loro»
.

Secondo InfluNet-Epi, erano circa 5,5 milioni di persone affette dal virus all’inizio quell’anno: un italiano su 10.


In Lombardia nel gennaio 2018 la situazione non era migliore:

«Le complicazioni dell’influenza, soprattutto le polmoniti, mandano in crisi le rianimazioni:
48 i casi di malati gravi ricoverati da Natale a oggi nelle terapie intensive
di Policlinico, San Raffaele, San Gerardo di Monza e San Matteo di Pavia,
gli ospedali di riferimento in Lombardia per l’uso dell’Ecmo,
il macchinario che si sostituisce ai polmoni», scriveva il Corriere della Sera.

Giuseppe Foti, alla guida dell’emergenza urgenza del San Gerardo di Monza, era assai preoccupato:

«Da questa settimana siamo costretti a sospendere le prenotazioni dei letti in terapia intensiva
per i pazienti chirurgici con interventi programmati»
.

Giorgio Antonio Iotti, a capo della medicina intensiva del San Matteo di Pavia, affermava che
«i pazienti con polmonite grave e complicazioni importanti determinate dal virus dell’influenza
stanno occupando ben un quarto dei nostri 21 posti letto».


Dunque anche senza ‘stato di emergenza’ l’influenza collassava le rianimazioni.

Ma il ministero della Salute non corse ai ripari con vaccinazioni obbligatorie o screening quotidiani a carico dei pazienti.


L’Immediato scriveva:
«Oltre 250 accessi al giorno al Pronto soccorso degli Ospedali riuniti di Foggia.
Dopo la “valutazione fisica” dell’assenza di disponibilità di posti letto,
si è deciso per lo stop dei ricoveri programmati»
.

Era il 5 gennaio 2018 e si era «in attesa del picco previsto nelle prossime settimane».

«Non sappiamo fino a quando possiamo reggere in queste condizioni», dichiarò l’allora direttore sanitario, Laura Moffa.

«Oltre 271.000 malati, 50 casi gravi e 7 morti.
È il preoccupante bollettino di guerra dell’epidemia influenzale in Emilia Romagna»
, titolava invece il Resto del Carlino.

E parlava «ospedali presi d’assedio» nella Regione.


A Pordenone, in Friuli Venezia Giulia, gli 820 posti letto dell’intera provincia
risultarono occupati da pazienti con gravi sintomi influenzali,
da qui la decisione dell’Azienda sanitaria per
«la sospensione degli interventi chirurgici programmati per liberare disponibilità in previsione del picco del virus, previsto nelle prossime ore»,
riportava la Stampa a gennaio del 2018.


Non sarà che l’emergenza vera in Italia è la mancanza di terapie intensive?
 
Un anno fa.

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E veniamo a quest'anno.

La differenza fondamentale è qui :

In Lombardia sono 5.304 i nuovi contagi a fronte di 162.728 tamponi effettuati.

I contagi sono aumentati del 77% - MA I TAMPONI DEL 432%


E poi qui :

Ecco nel dettaglio la situazione all'interno degli ospedali lombardi:

nei reparti di area medica sono ricoverati 1.185 pazienti Covid, 4 in meno di ieri quando se ne contavano 1.189.

Nelle terapie intensive degli ospedali lombardi, secondo il bollettino della Regione, sono invece ricoverati 146 degenti Covid: ieri erano 145.


Cosa leggo io ?

Che l'anno scorso i positivi si "mimetizzavano" perchè non c'era la necessità di tamponarsi.

Chi aveva sintomi blandi conduceva la sua vita nella normalità.


E poi che il virus è più simile ad un'influenza stagionale, d'altra parte il "virus"
vuole vivere e con le varianti si adatta all'individuo.
 
Cambiamo argomento.


La BCE segnala il ritorno al Business as Susal,
cioè a una posizione mediana fra quello che ci vorrebbe per i paesi del Sud
e quello che funzionerebbe per la Germania e che poi, in pratica, non va bene per nessuno.

Però non esiste Piano B…

Comunque passiamo alle notizie.

Nel primo trimestre del 2022, il Consiglio direttivo prevede di effettuare
acquisti netti di attività nell’ambito del programma di acquisto di emergenza pandemica (PEPP)
a un ritmo inferiore rispetto al trimestre precedente.

Cesserà gli acquisti netti di attività nell’ambito del PEPP alla fine di marzo 2022.

La pandemia deve chiudersi, lo dice la BCE.


Burioni seguirà…


Il Consiglio direttivo ha deciso di estendere l’orizzonte di reinvestimento per il PEPP.

Ora intende reinvestire i pagamenti principali dei titoli in scadenza acquistati nell’ambito del PEPP almeno fino alla fine del 2024.

In ogni caso, il futuro roll-off del portafoglio PEPP sarà gestito per evitare interferenze con l’orientamento di politica monetaria appropriato.


Tradotto in lingua volgare: dopo il 2024 potrebbe anche incassare i soldi degli interessi
e non reinvestirli se riterrà eccessiva la spinta inflazionistica.

Oppure potrà essere adattato per acquistare anche altri classi di attività.

Insomma dal 2024 resta una sorta di borsellino nella mano della BCE per la propria politica monetaria
e potrà anche essere utilizzato diversamente.

Il direttivo si tiene le mani libere, con soldi che pagherà soprattutto l’Italia.


Programma di acquisto di titolo (APP Asset Purchase Program)
In linea con una graduale riduzione degli acquisti di attività
e per garantire che l’orientamento di politica monetaria rimanga coerente
con l’inflazione che si stabilizza al suo obiettivo nel medio termine,
il Consiglio direttivo ha deciso un ritmo di acquisto netto mensile di € 40 miliardi nel secondo trimestre
e 30 miliardi di euro nel terzo trimestre nell’ambito del programma di acquisto di attività (APP)
.

L’idea sarebbe quella di non mandare dall’oggi al domani gli spread alle stelle.

A partire da ottobre 2022, il Consiglio direttivo manterrà gli acquisti netti di attività
nell’ambito dell’APP a un ritmo mensile di 20 miliardi di euro per tutto il tempo necessario
a rafforzare l’impatto accomodante dei suoi tassi ufficiali.

Questo programma non è eterno e terminerà prima del prossimo aumento di tassi della BCE, se mai ci sarà..

Il Consiglio direttivo intende inoltre continuare a reinvestire integralmente il capitale dei titoli in scadenza
acquistati nell’ambito dell’APP per un lungo periodo di tempo oltre la data d’inizio dell’aumento dei tassi di riferimento della BCE
e, in ogni caso, fino a quando necessarie per mantenere condizioni di liquidità favorevoli e un ampio grado di accomodamento monetario.


Principali tassi di interesse della BCE
Il tasso d’interesse sulle operazioni di rifinanziamento principale
e i tassi d’interesse sulla linea di rifinanziamento marginale
e sulla linea di deposito rimarranno invariati rispettivamente allo 0,00%, 0,25% e -0,50%.

Qui non cambia nulla.

A sostegno del suo obiettivo di inflazione simmetrica del 2% e in linea con la sua strategia di politica monetaria,
il Consiglio direttivo prevede che i principali tassi di interesse della BCE rimangano ai livelli attuali o inferiori
fino a quando non vedrà l’inflazione raggiungere il 2% ben prima della fine della sua proiezione orizzonte temporale
e durevolmente per il resto dell’orizzonte di proiezione, e giudica che i progressi realizzati nell’inflazione sottostante
siano sufficientemente avanzati da essere coerenti con una stabilizzazione dell’inflazione al 2% nel medio termine.

Ciò può anche implicare un periodo transitorio in cui l’inflazione è moderatamente al di sopra dell’obiettivo.


Operazioni di rifinanziamento
Il Consiglio direttivo continuerà a monitorare le condizioni di finanziamento delle banche
e ad assicurare che la scadenza delle operazioni TLTRO III non ostacoli la trasmissione regolare della sua politica monetaria.

Il Consiglio direttivo valuterà inoltre regolarmente come le operazioni di prestito mirate
stiano contribuendo alla sua posizione di politica monetaria.

Come annunciato, prevede che le condizioni speciali applicabili nell’ambito della TLTRO III termineranno nel giugno del prossimo anno.

Il Consiglio direttivo valuterà inoltre l’adeguata calibrazione del suo sistema a due livelli (two tiers)
per la remunerazione delle riserve in modo che la politica dei tassi di interesse negativi
non limiti la capacità d’intermediazione delle banche in un contesto di ampia liquidità in eccesso.

Insomma si riserva di valutare quando rivedere il sistema di punizione, non di remunerazione delle riserve bancarie.


Si torna al “Business as usual” al solito giro di affari, e infatti lo spread BTP-Bund è iniziato a decollare, per poi riaggiustarsi leggermente:

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Se vediamo in una prospettiva trimestrale notiamo che lo spread era in crescita da tempo:

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Quindi bambini sono finite le vacanze covid-19 e si torna alle solite contraddizioni.


L’Eurozona è divisa in una parte a bassa inflazione, Italia in testa,
che necessiterebbe di stimolo fiscale e monetario e non può averlo,

e una a inflazione più alta che quindi verrebbe ad aver bisogno di una stretta monetaria.


Perché poi è facile ridurre il debito pubblico e privato con l’inflazione al 5%, come ha la Germania.


Invece siamo sempre al punto di partenza,

e Scholz ha messo in chiaro che non ci saranno correttivi rilevanti al “Patto di stabilità”,

cioè alle regole che ingabbiano l’Unione.



L’unico freno alla soluzione finale sta nella insensatezza di una parte della popolazione.


Però adesso inizieranno a toccarle maggiormente le tasche.
 
Cosa non riescono ad inventare pur di tenere uno di loro a capo del governo.


A Bruxelles va in scena l'ultimo Consiglio europeo dell'anno,
in un clima per certi versi simile a quello che si respirava solo 24 ore prima a Roma.

Quando Mario Draghi si è presentato davanti a Camera e Senato, infatti,
in molti lo hanno ascoltato pensando all'eventualità che potesse essere il suo ultimo intervento in Parlamento.

E lo stesso dubbio lo hanno avuto alcuni dei leader presenti al Consiglio Ue,
preoccupati dalla possibilità che un cambio della guardia a Palazzo Chigi
possa provocare instabilità in un momento così delicato.

Anche nel governo tedesco guidato da Olaf Scholz non nascondono i timori.

Tanto che la neo ministra dell'Ambiente, Steffi Lemke, in privato ha auspicato che Draghi possa «restare al suo posto il più a lungo possibile».


D'altra parte, che l'ex numero uno della Bce abbia la legittima ambizione di traslocare al Quirinale a fine gennaio non è ormai un mistero per nessuno.

Tanto che ieri persino The Economist ha trattato l'argomento.

Il settimanale britannico ha eletto l'Italia «Paese dell'anno», riconoscendo buona parte del merito proprio a Draghi.

Il cui passaggio al Colle, scrive The Economist, sarebbe però rischioso visto che l'ex banchiere potrebbe
«essere sostituito da un primo ministro meno competente». E, forse, non solo per questa ragione.


Draghi ha deciso di tirare dritto con le restrizioni,
a partire dalla decisione unilaterale di imporre tamponi anche ai vaccinati che viaggiano verso l'Italia da Paesi dell'Ue.

Il fatto che Francia e Germania non si siano pronunciate non è un dettaglio.

Non una parola da Emmanuel Macron e Scholz.


Grecia e Irlanda, invece, hanno già seguito il nostro esempio.

Omicron rischia di cambiare l'orizzonte.

È evidente, infatti, che in questa situazione la via che porta Draghi al Quirinale si fa più stretta.

Anche perché il voto per il Colle sarà verso il 24 gennaio, quando la curva dei contagi sarà quasi certamente salita ancora.

Così come l'emergenza, magari con regioni in rosso.

In questa situazione sanitaria, con l'economia che rischia di tornare in affanno
e con i prezzi delle materie prime alle stelle, diventerebbe più complicato per l'ex numero uno Bce giocarsi la partita del Quirinale.

Soprattutto se, come è probabile, continueranno gli appelli alla stabilità dell'Italia da parte delle cancellerie europee.

Non a caso, proprio negli ultimi giorni i diversi leader di partito che stanno da mesi ragionando sullo scenario del Colle
hanno iniziato a manifestare qualche perplessità sull'opportunità di un trasloco di Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale.
 
Lotte intestine........qualcuno avrà la diarrea ?



Il direttore di Libero Alessandro Sallusti ha convocato la redazione
rientrando d’urgenza da Forte dei marmi dove ormai vive e scrive
per capire il motivo del declino del quotidiano degli Angelucci e possibilmente contrastarlo.


Ma la redazione darà battaglia.

Si aspettava la rivoluzione con l’arrivo dal Giornale dell’ex compagno della Santanchè
al posto della male assortita coppia Feltri-Senaldi, ma lo si vede poco in redazione, due o tre giorni a settimana.


Feltri ha mollato candidandosi al consiglio comunale di Milano,
Senaldi declassato a condirettore è tornato in sella e in tv riprendendosi le redini del giornale,
la concorrenza de La Verità di Maurizio Belpietro si fa sentire
e pesa pescando nel elettorato di Centrodestra e portando via copie e inserzionisti.


Bisognerà ora vedere quale sarà la ricetta di Sallusti e degli Angelucci
(che hanno provato invano a comprare anche la Gazzetta del Mezzogiorno).

Mentre Belpietro che piano piano sta portando a casa tutti i periodici moribondi della Mondadori
potrebbe perdere il vicedirettore Francesco Borgonuovo, ex affaritaliani.it,
intenzionato a scalare il cuore di Giorgia Meloni per portarsi a casa la direzione del Secolo d’Italia.
 
Le bollette di luce e gas in arrivo con le fatture emesse da gennaio ad aprile 2022
potranno essere rateizzate dalle famiglie in virtù dell'emendamento del governo alla manovra.

In caso di inadempienza dei clienti domestici, secondo quanto si legge,
le imprese saranno tenute ad offrire un piano di rateizzazione senza interessi.





L'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) definirà nel limite di 1 miliardo,
gli anticipi da riversare alle imprese per compensare le rate e le modalita' di restituzione delle imprese stesse
per consentire il recupero da parte della Cassa per i servizi energetici del 70% dell'anticipazione entro il 2022 e della restante quota entro il 2023.


Arrivano 1,8 miliardi di euro per ''il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi
del settore elettrico e del gas naturale e rafforzamento del bonus sociale e del gas''.

La misura è contenuta nell'emendamento alla legge di bilancio che il governo presenterà nella commissione Bilancio del Senato.

La norma ha l'obiettivo di ''contenere per il primo trimestre 2022 gli effetti su famiglie e imprese derivanti dagli aumenti dei prezzi del gas
che hanno raggiunto livelli senza precedenti e determinato consistenti incrementi dei prezzi dell'energia elettrica'', si legge nella relazione tecnica.
 

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