PREFERIREI MORIRE DI PASSIONE CHE DI NOIA.

31 gennaio 2020.

Il Consiglio dei Ministri delibera lo stato di emergenza della durata di sei mesi, fino al 31 luglio 2020.

Sono i giorni in cui dalla Cina arrivano le immagini di una Wuhan deserta, coi suoi abitanti in quarantena per via del Coronavirus.

Il governo italiano, che conosceva il problema quantomeno dal 5 gennaio
(esiste un documento del Ministero della Salute che parla già in quella data di “polmonite da eziologia sconosciuta – Cina”),
non fa nulla fino a fine mese, quando delibera lo stato di emergenza e blocca i voli diretti con la Cina.



La durata dello stato di emergenza è regolato dal D. Lgs. n. 1/2018 che all’art. 24 disciplina lo stato d’emergenza di rilievo nazionale,

prevedendo che la decisione sia assunta dal Consiglio dei Ministri per una durata non superiore a dodici mesi, prorogabile per non più di ulteriori dodici mesi.



Una modifica rispetto alla previsione originaria introdotta dalla Legge n. 225/1992
che invece prevedeva la dichiarazione dello stato di emergenza per un massimo di sei mesi, prorogabile per non più di ulteriori sei mesi.


Il 29 luglio, due giorni prima della scadenza dello stato di emergenza,
il Consiglio dei Ministri ne delibera la proroga sul territorio nazionale fino al 15 ottobre 2020, facendosi “autorizzare” dal Parlamento attraverso una risoluzione di maggioranza.

Conte poteva evitare questo passaggio perché anche la proroga è di esclusiva competenza del Consiglio dei Ministri,
ma una parte di Pd e Italia Viva aveva preteso il vaglio parlamentare.

Quella risoluzione, del resto, poneva rigidi paletti al governo, come ad esempio quello di utilizzare il potere di ordinanza
solo per facilitare l’apertura delle scuole, implementare gli strumenti sanitari e rendere efficaci quelli sociali.



Ad una prima lettura del D. Lgs. n. 1/2018 parrebbe che il Consiglio dei ministri possa, a sua piacimento,
stabilire nel suo complesso lo stato di emergenza per un totale di ventiquattro mesi,
con un numero illimitato di proroghe all’interno sia dell’atto di dichiarazione che di quello di proroga.

Ma non è così.

La dichiarazione dello stato di emergenza serve, di fatto, a seconda dei diversi stadi e intensità dell’emergenza stessa,
a sospendere la legislazione ordinaria per poter utilizzare il potere di ordinanza:

c’è l’emergenza e bisogna farvi fronte, quindi il potere ordinario lascia il posto a quello straordinario.


Il punto è capire se ciò sia possibile utilizzare proroghe a proprio piacimento per un totale complessivo di due anni.


Noi crediamo che non sia possibile
.


La dichiarazione dello stato di emergenza, ed eventualmente la sua proroga, adottati entrambi con delibera del Consiglio dei Ministri,
sono atti amministrativi che possono essere emanati solo in presenza dei requisiti previsti dall’art. 7 del medesimo decreto legislativo del 2018,
vale a dire la sussistenza di:

emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo
che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento,
essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo
[…]”.


Limitati e predefiniti periodi di tempo”, su questo vogliamo insistere.


Se il Consiglio dei Ministri dichiara lo stato di emergenza per la durata di sei mesi, pur potendolo dichiarare per dodici,

si è “giocato” la possibilità di utilizzare gli ulteriori sei mesi connessi alla dichiarazione.

Medesimo discorso per la proroga, anch’essa prevista per ulteriori dodici mesi.

Nel nostro caso il Consiglio dei Ministri ha emanato la delibera di proroga – addirittura su risoluzione parlamentare –

per soli due mesi e mezzo, fino al 15 ottobre 2020, quindi si è “giocato” la restante parte prevista dalla legge.



Può dunque Conte, come ha già fatto sapere , effettuare una nuova proroga fino al 31 gennaio?




A nostro parere, no.

I “limitati e predefiniti periodi di tempo” di cui all’art. 7 del D. Lgs. n. 1/2018 includono il “principio di tassatività” proprio dell’atto amministrativo che,
come ha stabilito la terza sezione del Consiglio di Stato, per essere valido deve risultare conforme al paradigma legale circa gli elementi essenziali,
le finalità da perseguire ed i moduli di azione da utilizzare, per cui non sono concepibili norme di azione derogabili (sentenza n. 4364/2013).


Ciò vuol dire che, all’interno del raggio di azione della dichiarazione dello stato di emergenza e della sua proroga,
non possono essere compiute azioni di deroga, neppure temporali.



Certo, si dirà che il Consiglio dei Ministri può dichiarare un nuovo stato di emergenza, cioè un atto amministrativo ex novo come quello del 31 gennaio,
ma a quel punto devono sussistere i requisiti per la dichiarazione così come stabiliti dall’art. 7 del D. Lgs. n. 1/2018.

Da febbraio ad oggi sono più che raddoppiati i posti letto in terapia intensiva (che da cinquemila sono passati a più di undicimila),

è stata scoperta l’efficace cura del plasma,

sono state individuate terapie che evitano le morti dei primi giorni di marzo .

Ma non solo.

Ad oggi vi sono poco più di duecento persone ricoverate in terapia intensiva e i morti sono al di sotto delle trenta unità al giorno, quindi non sussiste più una emergenza da Covid19.


E’ pur vero che negli ultimi sette mesi il governo ha potuto fare tutto ciò che ha voluto derogando allo stato di diritto

senza che né il Quirinale né il Parlamento fiatassero, ma è anche vero che il Parlamento può adesso

– in assenza di un’emergenza con le caratteristiche delineate dal D. Lgs. n. 1/2018 –

svolgere il suo ruolo di controllo sul governo impedendogli di agire a suo piacimento.
 
sarebbe il caso che riempi le pagine pensando a chi sta in difficoltà,,,,,,,,mentre pensi a fare della gente di tutta un'erba un fascio per via del rdc preso da gente che non ne ha diritto ,,, vedi un attimo che tocca tutti la :eek::eek:
Vedi l'allegato 576282

INSISTO.........dopo tridico che si triplica stipendio + 80k rimborso spese per arrivare al limite soglia max dipendenti p.a. anche questa RAPINA?


ma come quando sale oil ci dicono è motivo aumento bollette e ora scende.........aumentano lo stesso?

non quadra,......eh no...proprio NO
In rosso i petroliferi: greggio sui minimi da metà settembre
02/10/2020 10:21
 
Ultima modifica:
praticamente, i gestori essendo SUPER indebitati, DOVENDO RIPAGARE CON DVD soci, TRA CUI LO STATO CON CDP,,,, si rifanno sulla pelle dei cittadini........alla faccia del governo che dice di volere la ripresa,,che auta le famiglie........azzo colpiscono proprio aziende e i più disagiati:mad:

enel trimestrale marzo: Indebitamento finanziario netto a 47.097 milioni di euro
eni: A fine giugno 2020 l’indebitamento netto di ENI era salito a 19,97 miliardi di euro

riassumendo, , , , da un lato con qe hanno portato tassi negativi TOGLIENDO dal sistema le rendite al popolino...........non sazi hanno ordinato di NON DARE DVD SOTTRAENDO ALTRI MILIARDI CHE AVREBBERO PORATATO INOLTRE ENTRATE FISCALI MA LORO SI PARANO IL CULO CON I DVD DELLE LORO PARTECIPAZIONI SULLA NOSTRA PELLE....................GOVERNO DI SERVI DEI POTENTI ECCO CHE ABBIAMO

eccone la dimostrazione
.
 
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Ai governanti CECHI E SORDI

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è arrivata l’ufficialità di Nicola Zingaretti con una nuova ordinanza regionale vengono introdotte norme più severe - a partire da sabato 3 ottobre - sull’utilizzo della mascherina che diventa obbligatoria anche all’aperto, in qualsiasi orario della giornata. E l’obbligo vige anche per coloro che passeggiano da soli.

gnafa ad arrivarci il poareto...è del pd= politica da masochismo

ci metto il simbolo.
solo LORO potevano arrivare a sanzionare se stessi......:wall::wall::wall::wall::wall::wall::wall:
pd z unnamed.jpg
 
un giorno uscirà che dietro i produttori di mascherine ci stanno parenti amici dei politici di oggi.ci potete giurare
fankulo a tuto chiudo. ...mi fanno troppo schifo per seguire questo andazzo

:tristezza::vado:
 
La storica azienda Rifle & co. di Barberino di Mugello (Firenze) è fallita.

Con diversi negozi in tutta Italia l’azienda conta, in tutto, 96 dipendenti.

Aperta nel 1958 dai fratelli Fratini, Giulio e Fiorenzo, ben presto divenne un simbolo del made in Italy nel settore della moda.

Non sono bastati, a risollevarla, gli investimenti degli ultimi anni dei fondi esteri, subentrati nel 2017.

“L’azienda non ce l’ha fatta a uscire dal tunnel – sottolineano i sindacati – certamente reso ancora più buio dalla pandemia mondiale”.


Il Tribunale di Firenze ha disposto l’esercizio provvisorio per 45 giorni.

L’azienda era già in cassa integrazione per il Covid-19, tramite gli ammortizzatori sociali straordinari previsti in questi casi.

“Sarebbe riduttivo – spiegano i sindacalisti Filctem Cgil e Femca Cisl – addebitare la crisi solo alla pandemia
e cercheremo anche di verificare tutte le possibilità di salvaguardia occupazionale
qualora ci fossero manifestazioni di interesse per il marchio e quindi per l’attività aziendale”.


Come nacque l’impresa

Nel dopoguerra fu Giulio Fratini a buttarsi per primo nell’avventura, comprando a peso i vestiti dei soldati americani, rivendendoli come stracci a Prato.

Fu toccando con mano questi capi di abbigliamento che scoprì i jeans prodotti da Coney Mills, una ditta del North Carolina.

Con il fratello Fiorenzo si imbarcò per gli Stati Uniti e bussò alla porta della sede della Coney Mills, a Greensboro (North Carolina).

Siglato l’accordo commerciale i due fratelli toscani iniziarono a importare i jeans.

E nel 1949 fondarono la loro azienda, con sede a Prato: Confezioni Fratini.


Arriviamo alla fine degli anni Cinquanta e l’azienda si sposta a Barberino di Mugello, cambiando nome: Super Rifle s.p.a. e, in seguito, Rifle s.r.l.

Il nome Rifle fu scelto perché evocava il mondo del West.

A livello commerciale, però, furono utilizzati anche altri marchi, sempre con un forte richiamo al West americano: Colt, Winchester, Giant.


IL grande successo arrivò negli anni Ottanta, quando l’azienda raggiunse il massimo livello di espansione,
vendendo oltre che in Italia anche in Svizzera, Regno Unito, Israele e Paesi Bassi,
ma anche nell’ex-Unione sovietica, in Bulgaria, Polonia, Cecoslovacchia e nel resto dell’Europa orientale.

La prima crisi arrivò alla fine degli anni Novanta.

All’inizio degli anni Duemila si cercò il rilancio puntando su alcuni storici marchi, tipo Americanino, e puntando sugli outlet.

Nonostante il restyling del logo, le nuove produzioni e un nuovo assetto societario, per cercare di ridurre gli sprechi e limare i costi fissi,
l’azienda non è riuscita a ritrovare lo slancio auspicato, e nel 2017 è entrata nel capitale una holding di partecipazioni svizzera
che nel giro di pochi mesi ha preso la maggioranza.
 

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