PREFERIREI MORIRE DI PASSIONE CHE DI NOIA.

Naturalmente sul TG1 non una parola sul fatto che gli incontri a Bruxelles stanno andando male.
Non c'è accordo ed il finanziamento tanto spaparanzato andrà alla fine del prossimo anno.......BUFFONI


Pian piano cominciamo a capire come il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri pensi di utilizzare le risorse del Recovery Fund.

Ci viene incontro un ottimo articolo di Federico Fubini apparso il 30 settembre sul Corriere della Sera.

La parte di prestiti di Next Generation Eu (Recovery Fund) riservata all’Italia, per circa 127 miliardi, precisa Fubini,
non deve essere assorbita dal Governo se non in piccole parti; oppure se quei soldi sono presi,
questa parte di prestiti europei non viene usata per finanziare investimenti in più rispetto a quelli già previsti dal 2019.

Al contrario, questa porzione di finanziamento deve servire principalmente per sostituire con debito verso l’Unione europea
il debito verso il mercato che lo Stato italiano
avrebbe comunque contratto per finanziare vecchi progetti che esistevano già;
in sostanza la spinta addizionale alla ripresa garantita dal Recovery Fund, in base ai piani attuali,
vale circa la metà dei 209 miliardi assegnati al Paese nel negoziato di Bruxelles.

Il resto è sostituzione di debito con altro debito a condizioni meno onerose per pagare gli stessi piani di prima.



Già in precedenza ho avuto modo di distinguere l’utilizzo dei prestiti e dei trasferimenti a fondo perduto,
infatti i circa 38 miliardi di risorse da destinare ad investimenti in infrastrutture nel Mezzogiorno dovevano essere reperiti dalla quota a fondo perduto,
mentre i circa 41 miliardi del centronord potevano essere assicurati dalla quota a prestito pari a circa 127 miliardi.

Questa distinzione teneva conto del fatto che la maggior parte delle opere del centro nord è già avviata a realizzazione o
lo sarà nei prossimi mesi e quindi, come precisa Fubini, sarà possibile sostituire debito con altro debito.


Ho voluto riportare queste informazioni proprio nella esigenza ormai diffusa di un vero bagno di verità

che giorno dopo giorno inseguiamo e per cui giorno dopo giorno restiamo esterrefatti nello scoprire la serie di informazioni inesatte

o completamente diverse dai vari comunicati ufficiali degli organi di governo.



L’unico beneficio è un abbattimento del tasso di interesse sul prestito di circa 100 miliardi di euro da assegnare ad interventi, ripeto, già programmati.

Questa scelta emerge chiaramente nel Nadef e comparirà in modo ancor più chiaro nel Disegno di Legge di Stabilità 2021;
come riportato in più comunicati stampa,

“lo sforzo di Gualtieri dovrà essere quello di spiegare alla maggioranza che i vincoli di bilancio si sono allentati, ma non sono saltati del tutto”.


Questa ampia ammissione delle informazioni inesatte (dico false) consente automaticamente due distinte considerazioni:


1) Tutte le certezze sulle coperture e sulle disponibilità di cassa anticipate dalla ministra Paola De Micheli,
quelle che garantivano 130 miliardi di euro del Programma Italia Veloce, più volte da me dichiarate inesistenti, oggi diventano inequivocabilmente inesistenti;


2) Il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri denuncia chiaramente che la esplosione del debito fa davvero paura
e ciò non solo perché prima o poi tornerà di nuovo il Patto di Stabilità ma anche perché non sarà facile andare sui mercati
con un debito che cresce sempre più e con un crollo del PIL così elevato e, ancora peggio,
con una soglia del Pil che nel 2021 risale ad un valore davvero sovrastimato del + 6 per cento.


Allora mi chiedo non sarebbe stato meglio se la notte del 21 luglio il presidente Giuseppe Conte
ci avesse raccontato innanzitutto che il Recovery Fund era solo “una proposta condivisa solo dai presidenti della Unione europea”,
per evitare gratuite interpretazioni sottolineo, “una proposta condivisa solo dai presidenti della Unione europea”,
che alcuni presidenti avevano sollevato sostanziali osservazioni e che sarebbe stato necessario effettuare una serie di approfondimenti,
inoltre che il Parlamento della Unione europea aveva dichiarato inaccettabile e da rivedere la proposta
e che solo dopo l’approvazione della stessa da parte del Parlamento sarebbe stato possibile andare sui mercati per rendere concreto il Fondo
e rendere così possibile il trasferimento delle varie quote ai singoli Stati ?

Anche perché il presidente Conte sapeva benissimo che nell’arco di pochi giorni
(entro la data del 27 settembre con la presentazione della Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza),
sarebbero crollate tutte le informazioni non coerenti a quanto realmente definito a Bruxelles,
sarebbe venuta meno quella carica di ottimismo che, come ho riportato in diversi miei blog,
è venuta del tutto meno sia il 1° settembre con le dichiarazioni del commissario all’Economia della Unione europea Paolo Gentiloni,
sia il 28 settembre con la intervista del ministro per gli Affari europei Vincenzo Amendola.


Ora prende corpo naturalmente una psicosi diffusa:

se ci sono state tutte queste informazioni e queste immediate rivisitazioni forse rischiamo di apprendere fra poco delle notizie ancora più preoccupanti?

In realtà questa preoccupazione sta diventando sempre più reale e proprio in questi giorni è emerso un ulteriore dato:

i sussidi della Recovery and Resilience Facility e degli altri programmi rilanciati da Next Generation Eu viaggeranno fuori dai saldi di bilancio,

secondo un meccanismo analogo a quello che governa le politiche di coesione del quadro finanziario pluriennale.

Si impone quindi un provvedimento collegato alla legge di bilancio che possa blindare anche i tempi di approvazione in Parlamento,

un provvedimento che identifichi formalmente il gestore unico del Recovery Plan.


Questa non è una invenzione del presidente Conte anticipata all’Assemblea della Confindustria
ma nasce dalla precisa richiesta della Commissione europea che proprio nelle linee guida inviate agli Stati membri
dettaglia il ruolo e i compiti che in ogni Stato membro dovrà avere l’“interlocutore unico”.

La Commissione in particolare precisa:

“Per garantire l’attuazione efficace del Recovery Plan le responsabilità devono essere stabilite in modo chiaro

perciò dovrebbe essere nominato un ministero o un Authority- guida

che abbia la responsabilità generale del Recovery Plan e sia interlocutore unico della Commissione”.


Dopo questi chiarimenti, dopo questi tentativi di reale trasparenza di un processo fondamentale per la crescita del Paese,
mi chiedo come mai il Parlamento, sia la maggioranza che appoggia l’attuale compagine sia la opposizione,
non abbia chiesto non solo delucidazioni al presidente del Consiglio ma ampie motivazioni su un comportamento
che penso abbia prodotto una misurabile perdita di credibilità non solo del presidente stesso
ma anche di altri ministri direttamente attori e responsabili di un simile discutibile e sconcertante racconto.
 
Il 9 di ottobre, si festeggia, tra gli altri, San Diomede di Tarso, medico martirizzato in Nicea, proprio in quel giorno, insieme a Didimo e Diodoro.
Il principale Santo del giorno è, invece, San Dionigi.

Diomede è stato il nick name originale, con il quale mi sono registrato sui siti. Anche su questo - 11 anni fa.

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Nicola Zingaretti. «La cosa più stupida che si possa fare è abbassare la mascherina per parlare

quindi insieme a decine di politici si è dato da solo dello stupido....lo vediamo continuamente senza quando lo intervistano...vedi elezioni ultime

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in effetti, per valutare la capacità come amministratore di regione di zingrè basta vedere come sono ridotte le strade, le periferie, i tresporti, le scuole e ovviamente la sanità....in un contorno di fantasmi (immigrati) di colore.............ma và a kagher zingarè che non vali una lira..abbiamo ancora binario unico, passaggi a livello che manco funzionano e se chiedi prenotazione visita specilistica ti senti dire che..NON HANNO AGENDA 2021:mad::mad::mad::mad:
 
Adesso la metteranno giù dura.
Oggi ho sentito al TG3 l'intervista di uno in camicia giacca cravatta che pontificava dietro la scrivania.
Vai in corsia, barbone.

Io non affermo che il virus non c'è. Dico solo che non è - ancora - il virus invernale.
Le persone sono POSITIVE - non malate. E c'è una bella differenza.
Lo dice il numero + 4 QUATTRO



In Lombardia si sono registrati nelle ultime 24 ore 307 nuovi positivi, di cui 27 debolmente positivi, uno a seguito di test sierologico
e cinque residenti in provincia di Lecco. In totale sono stati processati 19.842 tamponi.

Quattro le terapie intensive in più occupate rispetto a ieri,
altrettanti anche i ricoveri meno gravi e i decessi dell'ultima giornata.

Il totale tra dimessi e guariti è invece di 304 unità.


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Che esiste virus lo sappiamo, come tanti altri, ma che a SUTRI sindaco sgarbi sanziona se stai in auto DA SOLO CON MASCHERINA e poi zingare' sanziona al rovescio....si mettessero d'accirdo cacchio...sutri e' nel lazio ehhhh
 
Stando agli annunci del Governo, una delle principali novità fiscali collegata alla prossima legge di bilancio

consisterebbe nella modifica del meccanismo di determinazione dell’Irpef dovuta da ogni contribuente.


Roba
tecnicamente complessa.

Proviamo velocemente a “sminuzzarla” per capire di cosa si tratta.

La riforma comporterebbe l’abbandono della progressività per scaglioni a favore della progressività lineare o continua
e quindi l’eliminazione degli scalini tra l’aliquota corrispondente ad uno scaglione e quella di un altro.

Ad esempio, tra lo scaglione da 15mila e fino a 28mila euro, e lo scaglione da 28mila e fino a 55, lo scalino, ora,
consiste nel passaggio istantaneo del reddito eccedente 28mila euro da un’aliquota del 27 ad una del 38.

Con la riforma questo brusco passaggio scomparirebbe.


Inoltre, per garantire il corretto fluire della linearità, la proposta prevede la cancellazione delle detrazioni, ad esclusione di quelle per carichi di famiglia.


La continuità della progressione, quindi,

determinerebbe una crescita senza soluzione di continuità dell’aliquota

fino al raggiungimento di quella massima ipotizzata al 45 per cento per i redditi superiori a 70mila euro
.

Infine, poiché la linearità comporta variazioni infinitesimali dell’aliquota stessa all’aumentare del reddito,

il calcolo verrebbe affidato ad un algoritmo costruito su una funzione matematica, algoritmo che, come una divinità,

a fine anno indicherebbe l’imposta dovuta dal singolo contribuente.


Roba cervellotica, come detto, nata in “laboratorio”, alla quale però il Governo guarda con grande interesse

per poter finalmente indossare cappelli e pennacchi dagli sgargianti colori e annunciare alla folla festante

una riforma fiscale epocale, la sconfitta dell’ingiustizia e la rinascita dell’economia del Paese.


Sarebbe davvero così?

Ritengo di poterlo escludere
.

Niente di epocale, nessuna rinascita e nessuna sconfitta dell’ingiustizia.

Per un numero molto consistente di redditi, specie per quelli compresi tra 20 e 30mila euro, non cambierebbe niente,
la tassazione non avrebbe significative variazioni.

Per i redditi più bassi, il prelievo potrebbe diminuire da pochi euro fino a 25 euro al mese,
così come per quelli compresi tra 30 e 70mila.


Infine, per i redditi superiori a 70mila la tassazione diverrebbe sensibilmente più pesante.


La proposta, inoltre, accentuerebbe in maniera significativa le differenze tra tipologie di redditi a parità di ammontare.

Ad esempio, per un reddito di 10mila euro,

se prodotto da un imprenditore o da un professionista, la tassazione raggiungerebbe il 10 per cento;

se derivante da pensione, si fermerebbe al 5;

se frutto di lavoro dipendente, sarebbe vicina allo zero.

Si potrebbe continuare con altri esempi, ma la sostanza non cambierebbe:

con la riforma i redditi d’impresa e di lavoro autonomo subirebbero un prelievo sempre maggiore di quello di altre categorie, almeno fino al raggiungimento di 100mila euro.


I numeri sono noiosi, ma hanno la “testa dura”: consentono di capire come stanno realmente le cose.

Siccome però sono come sonniferi, mi fermo qui e passo ad alcune osservazioni di sistema.


Una manovra come questa non aiuta la ripresa italiana;

approfondisce ingiuste disuguaglianze a danno dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo;

determina l’impiego di risorse pubbliche che non avranno un significativo impatto sull’economia reale.


Chi sta guidando il Paese nel più insidioso dei tornanti della storia recente,

ripete stantie politiche fiscali concentrate su sussidi ai consumi e continua a dirottare il denaro pubblico su spese improduttive,

politiche che nella storia anche recente hanno già dimostrato la loro inefficacia rispetto,

proprio, al raggiungimento delle finalità per le quali sono messe in pista.



Inoltre, chi sta guidando il Paese continua a perseguire con cieca ostinazione

politiche di palese antagonismo alla libera iniziativa economica, considerando la ricchezza privata di mercato figlia di un dio minore.

Considerazione distorta sul piano ideologico, anzitutto, ma che poi si traduce in azioni improvvide di governo.


Di questo tipo di fiscalità il Paese non ha bisogno.

Piuttosto, quella che dovrebbe essere realizzata, con visione di lungo periodo e senza ulteriori attese,
è una vera e propria rivoluzione fiscale che trasformi i tributi in pungoli per la produzione e l’incremento della produttività,
per la ricerca, la tecnologia avanzata, gli investimenti in capitale di rischio e capitale umano.

E al tempo stesso alleggerisca non soltanto il peso delle imposte, ma anche l’enorme burocrazia contabile;
consenta la determinazione anticipata del reddito rispetto all’inizio dell’attività o dell’anno,
in contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e con validità almeno biennale;
permetta alle grandi imprese di verificare in corso d’anno, sempre in collaborazione con l’amministrazione, la congruità del reddito.


Rovesciare il sistema, questo è quello che occorre fare.

Il resto sono pannicelli caldi, del tutto inadeguati a curare le profonde ferite dell’economia nostrana.


PS: IN SVIZZERA FANNO COSI'. CONTRADDITTORIO FRA IMPRESA E FISCO.
 
Ci ridurranno così ?


Germania Orientale.
Alla fine dell’autostrada per il Baltico si arrivava a Warnemünde, porto da cui,
dopo controlli estenuanti dei Vopos, ci si imbarcava su un traghetto per Gedser, Danimarca.


La nave partiva alle 20, chi arrivava prima aveva l’opportunità di assistere e addirittura partecipare alla passeggiata robotica:
i cittadini camminavano con passo velocissimo, su un marciapiede sospeso nel nulla, senza negozi, bar, ristoranti.

Solo una bancarella, un tavolino quadrato di settanta centimetri di lato con luce a petrolio.

Vendeva qualche elastico, due minuscoli pupazzetti, due di numero.

E poi fiammiferi, poche sigarette dell’Est e altri oggetti non indimenticabili.


Quasi nessuno si fermava, forse perché la merce non era interessante, forse perché non c’erano soldi neppure per quella.

Ma non si fermavano nemmeno a parlare, sembrava che in una cittadina di ottomila abitanti, satellite di Rostock,
nessuno conoscesse nessuno, per la paura di essere notati dalla polizia, sempre sospettosa di qualsiasi contatto, e pronta a interrogatori e arresti.


Camminavano con una rapidità quasi isterica, tutti alla stessa velocità.

Guardavano avanti, mai di lato.

Un’ora esatta.

Un minuto prima delle 17 non c’era nessuno, alle 18 si dissolvevano come per incanto.


Era l’ora d’aria dei tedeschi dell’Est, più controllati dei detenuti occidentali.

Ma questo inferno glaciale sembrava addirittura vivace rispetto al nulla berlinese.

Guardando attraverso i vetri delle finestre, in qualche appartamento c’era un minuscolo albero di Natale, proibitissimo nella capitale.

Non era mai in una stanza esterna, ma l’occhio attento poteva notare qualche lucina illegale, impensabile a Berlino.


Dove nessuno osava nulla, le strade erano quasi deserte, e, come in tempo di guerra,
l’urbanizzazione rendeva più difficili gli approvvigionamenti di cibo, che in campagna era meno introvabile.

Come in tempi di guerra.

Ancora peggio nella Romania di Nicolae Ceausescu, la cui Securitate batteva persino le campagne
alla ricerca di maiali allevati in buche sotto terra, per aggirare la legge che destinava allo Stato tutto il raccolto e gli allevamenti opera del lavoro dei contadini.


Nella Ddr era proibito ogni prodotto occidentale, eccetto in rivendite riservate agli stranieri, sperdute nelle autostrade,
come quella che attraversava il confine occidentale e da cui chi aveva il transit-visa per Berlino Ovest non poteva uscire per visitare alcun’altra città.

Casotti con aria semi-clandestina vendevano sigarette e cioccolata di pregio, oltre a generi comuni, pagabili solo in marchi di Bonn.


Nella capitale c’era quel concetto di cultura monopolistica che ancora oggi resta nel dna delle sinistre smemorate.

Il teatro era una luce nel buio, tutti vestiti da sera, praticamente in divisa in quanto le confezioni provenivano dalle stesse fabbriche.

Un bon ton apprezzabile, se non fosse stato per l’atmosfera in cui si viveva.


Scomodare i carri armati di Budapest e Praga, ricordare come i comunisti italiani di allora prima di diventare,
dopo l’89, sedicenti liberali, lodassero le normalizzazioni sovietiche è troppo facile.


Oggi, i nostalgici dentro, quelli certi della propria superiorità politica e culturale, passeggiando per Berlino,
al check-point Charlie tirano dritto guardando i negozi della Friederichstrasse.

I più anziani fingono di non ricordare, o non hanno mai visto, i giovani non c’erano e hanno letto altro.

Se hanno letto.


Il liberale vero che torna a Berlino dopo tanti anni è infastidito dai mercatini di bassa lega
con ricordini e comparse in divisa che sparano selfie con i turisti al posto dei proiettili contro i fuggiaschi
.

E ricorda, come una ferita che non si rimargina, di aver attraversato tante volte questo labirinto blindato,
quasi sempre nell’inverno buio, con i Vopos che smontano sedili, controllano le automobili facendo uso di carrelli con specchi e ogni tipo di attrezzatura,
mentre i cani si agitano tutto intorno, e questo ripetuto con diverse tecniche in un percorso che durava non meno di un’ora.

E poi essere uscito all’Est, luci fioche, nessun negozio, nessuno in strada, come dopo un bombardamento.


Non serve ricordare massacri e purghe oltre il Muro.

Basta qualche flash retrospettivo, quadretti senza colori dedicati a chi ripete ossessivamente lo stereotipo “per non dimenticare”, riferito solo al fascismo.


E finge di non ricordare, o di non aver mai letto tutto quello che non viene tramandato,

forse perché la memoria è piena, e non contiene altri dati.


Ma se vuole, gli offriamo un hard-disk più capiente.
 
Sgarbi non fa altro che applicare una Legge
che nella classifica delle Leggi è almeno un gradino
se non due sopra i DPCM, che sono norme di secondo grado.

Ma siamo in Italia.

Le forze dell'ordine dovrebbero applicare le Leggi.

A sostegno dell'ordinanza, Sgarbi ricorda "La legge 155 del 2005 che, dopo gli attentati terroristici islamici,
vieta ogni mascheramento del volto che possa 'rendere difficoltoso il riconoscimento della persona'.

Verum ipsum factum.

Le evidenze scientifiche disponibili, fornite dall'Istituto superiore della sanità,
indicano che in sei mesi l'epidemia ha prodotto 4 decessi sotto i 9 anni e nessuno tra i 10 e i 19 anni.

Nessuno. Nessuno.

Dobbiamo imbavagliarli tutti con le mascherine, perché non si contaminino sani tra sani?", conclude il pimo cittadino di Sutri.
 
legge 155/05 del 31/07/2005
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144,
recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale. (GU n. 177 del 1-8-2005)


La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga la seguente legge:

Art. 1. 1. Il decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale,
e' convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.

2.La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana.

E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addi' 31 luglio 2005
 

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