Val
Torniamo alla LIRA
Qualsiasi oggetto digitale può diventare un NFT e per questo deve essere coniato
(dall’inglese “minted“, utilizzato per far riferimento all’inserimento di un determinato asset digitale all’interno di una blockchain sotto forma di token non fungibile).
Gli NFT possono quindi essere utilizzati per certificare l’autenticità e la proprietà di beni molto vari
come opere d’arte digitali, musiche, meme popolari e persino tweet.
Ovviamente, poiché di natura digitale, tutti questi oggetti o file possono essere facilmente duplicati;
è opportuno perciò sottolineare che gli NFT non ne impediscono la duplicazione.
Generalmente questa possibilità di duplicazione rende virtualmente impossibile stabilire chi è il proprietario del file originale;
se però un individuo acquista il non-fungible token di quell’opera o bene digitale
questi verrà identificato come il legittimo proprietario del file originale.
La maggior parte degli NFT è presente sulla blockchain della piattaforma Ethereum:
infatti, oltre all’utilizzo della moneta virtuale ether (o ETH) all’interno della rete,
Ethereum supporta anche la creazione di token non fungibili i quali contengono più informazioni all’interno,
funzionando per questa ragione – come si apprende da un articolo di The Verge – in maniera diversa rispetto a una valuta come ether.
Come si legge sul sito di Ethereum,
gli NFT consentirebbero in questo modo di risolvere alcuni dei problemi collegati all’utilizzo di Internet:
«mentre tutto diventa più digitale, si avverte il bisogno di replicare le caratteristiche degli item fisici come la scarsità, l’unicità e il certificato di proprietà».
Per fare un esempio pratico di come gli NFT potrebbero rispondere a questa problematica,
è possibile sostenere che una copia di un file digitale (come un’immagine JPEG o un brano MP3) è uguale al file originale;
ogni NFT a sua volta è «digitalmente unico, cioè non ci sono due NFT uguali»
e quindi all’oggetto “coniato” vengono attribuite le caratteristiche già menzionate, che generalmente sono appannaggio dei beni fisici.
È possibile acquistare non-fungible token su diversi marketplace , come per esempio OpenSea:
all’interno di questa piattaforma è possibile trovare una sorta di galleria online con i differenti NFT messi all’asta o a un prezzo fisso stabilito.
È necessario, quindi, aggiungere denaro a un portafoglio digitale:
nel caso di OpenSea, per esempio, è possibile acquistare dei token utilizzando la valuta ether.
Mentre l’acquirente di un’opera d’arte “tradizionale” entrerà in possesso di un oggetto fisico,
nel caso degli NFT la pratica è diversa, perché si tratta di un bene digitale.
Volendo procedere con un esempio, Vignesh Sundaresan ha acquistato – al prezzo di 69 milioni di dollari – “The Last 5000 Days“,
l’opera digitale creata da Michael Joseph Winkelmann (noto anche come Beeple),
ricevendo un file JPEG e il diritto di proprietà dell’opera.
Così come avviene con le criptovalute, anche gli NFT vengono conservati nei portafogli digitali.
Al momento dell’acquisto di questi token, tramite i cosiddetti “smart contracts”,
vengono concordati anche i diritti del creatore del bene digitale.
Infatti, una volta acquistato l’NFT, l’artista o il creatore dell’asset può in alcuni casi mantenere il copyright,
in modo da poter continuare a realizzare delle riproduzioni del suo lavoro,
ma sarà comunque l’acquirente a possedere il token che lo identifica come il proprietario dell’opera originale.
Gli NFT potrebbero consentire ai creatori di contenuti digitali di aumentare i propri guadagni
all’interno di un’industria in cui spesso risulta difficile monetizzare con le proprie creazioni,
come messo in evidenza sul sito di Ethereum:
«un artista che pubblica il proprio lavoro su un social
finisce per dare soldi alla piattaforma che incassa con le pubblicità visualizzate dai follower dell’artista.
Essi aumentano la propria visibilità, ma questa “non paga le bollette”».
La piattaforma sostiene dunque che gli NFT potrebbero dare vita a una “nuova economia“,
in cui i creatori di contenuti non dovranno più
«cedere la proprietà dei propri contenuti alle piattaforme da loro usate per promuoverli.
Il diritto di proprietà viene integrato all’interno del contenuto stesso».
Quando si realizza una tokenizzazione di un contenuto e questo viene venduto
il compenso andrà direttamente all’artista e se il nuovo proprietario venderà il non-fungible token,
il creatore potrà ricevere delle royalties:
poiché l’indirizzo digitale del creatore è uno dei dati contenuti all’interno degli NFT che non possono essere modificati,
ogni volta che il contenuto verrà rivenduto il compenso che spetta al creatore gli sarà garantito.
Non mancano tuttavia le critiche da parte di chi ritiene che l’acquisto di un NFT possa essere inutile,
considerata la facilità nel copiare il file originale che ha subito il processo di tokenizzazione.
Se molti hanno accolto con entusiasmo questa tecnologia,
non mancano le voci sui molteplici rischi associati all’attuale
mancanza di regolamentazione giuridica nel campo dei non-fungible token.
Tra le problematiche sollevate
vi è la possibilità che la persona che genera e vende un non-fungible token rappresentativo di un’opera d’arte
non corrisponda al creatore dell’opera e che, inoltre, lo faccia senza il relativo consenso,
proprio perché qualsiasi oggetto digitale può subire un processo di tokenizzazione:
questa questione è stata sollevata dall’artista Devin Elle Kurtz
che in un tweet ha dichiarato di aver trovato alcuni dei suoi lavori trasformati in NFT da soggetti terzi che li avrebbero messi in vendita sui marketplace.
(dall’inglese “minted“, utilizzato per far riferimento all’inserimento di un determinato asset digitale all’interno di una blockchain sotto forma di token non fungibile).
Gli NFT possono quindi essere utilizzati per certificare l’autenticità e la proprietà di beni molto vari
come opere d’arte digitali, musiche, meme popolari e persino tweet.
Ovviamente, poiché di natura digitale, tutti questi oggetti o file possono essere facilmente duplicati;
è opportuno perciò sottolineare che gli NFT non ne impediscono la duplicazione.
Generalmente questa possibilità di duplicazione rende virtualmente impossibile stabilire chi è il proprietario del file originale;
se però un individuo acquista il non-fungible token di quell’opera o bene digitale
questi verrà identificato come il legittimo proprietario del file originale.
La maggior parte degli NFT è presente sulla blockchain della piattaforma Ethereum:
infatti, oltre all’utilizzo della moneta virtuale ether (o ETH) all’interno della rete,
Ethereum supporta anche la creazione di token non fungibili i quali contengono più informazioni all’interno,
funzionando per questa ragione – come si apprende da un articolo di The Verge – in maniera diversa rispetto a una valuta come ether.
Come si legge sul sito di Ethereum,
gli NFT consentirebbero in questo modo di risolvere alcuni dei problemi collegati all’utilizzo di Internet:
«mentre tutto diventa più digitale, si avverte il bisogno di replicare le caratteristiche degli item fisici come la scarsità, l’unicità e il certificato di proprietà».
Per fare un esempio pratico di come gli NFT potrebbero rispondere a questa problematica,
è possibile sostenere che una copia di un file digitale (come un’immagine JPEG o un brano MP3) è uguale al file originale;
ogni NFT a sua volta è «digitalmente unico, cioè non ci sono due NFT uguali»
e quindi all’oggetto “coniato” vengono attribuite le caratteristiche già menzionate, che generalmente sono appannaggio dei beni fisici.
È possibile acquistare non-fungible token su diversi marketplace , come per esempio OpenSea:
all’interno di questa piattaforma è possibile trovare una sorta di galleria online con i differenti NFT messi all’asta o a un prezzo fisso stabilito.
È necessario, quindi, aggiungere denaro a un portafoglio digitale:
nel caso di OpenSea, per esempio, è possibile acquistare dei token utilizzando la valuta ether.
Mentre l’acquirente di un’opera d’arte “tradizionale” entrerà in possesso di un oggetto fisico,
nel caso degli NFT la pratica è diversa, perché si tratta di un bene digitale.
Volendo procedere con un esempio, Vignesh Sundaresan ha acquistato – al prezzo di 69 milioni di dollari – “The Last 5000 Days“,
l’opera digitale creata da Michael Joseph Winkelmann (noto anche come Beeple),
ricevendo un file JPEG e il diritto di proprietà dell’opera.
Così come avviene con le criptovalute, anche gli NFT vengono conservati nei portafogli digitali.
Al momento dell’acquisto di questi token, tramite i cosiddetti “smart contracts”,
vengono concordati anche i diritti del creatore del bene digitale.
Infatti, una volta acquistato l’NFT, l’artista o il creatore dell’asset può in alcuni casi mantenere il copyright,
in modo da poter continuare a realizzare delle riproduzioni del suo lavoro,
ma sarà comunque l’acquirente a possedere il token che lo identifica come il proprietario dell’opera originale.
Gli NFT potrebbero consentire ai creatori di contenuti digitali di aumentare i propri guadagni
all’interno di un’industria in cui spesso risulta difficile monetizzare con le proprie creazioni,
come messo in evidenza sul sito di Ethereum:
«un artista che pubblica il proprio lavoro su un social
finisce per dare soldi alla piattaforma che incassa con le pubblicità visualizzate dai follower dell’artista.
Essi aumentano la propria visibilità, ma questa “non paga le bollette”».
La piattaforma sostiene dunque che gli NFT potrebbero dare vita a una “nuova economia“,
in cui i creatori di contenuti non dovranno più
«cedere la proprietà dei propri contenuti alle piattaforme da loro usate per promuoverli.
Il diritto di proprietà viene integrato all’interno del contenuto stesso».
Quando si realizza una tokenizzazione di un contenuto e questo viene venduto
il compenso andrà direttamente all’artista e se il nuovo proprietario venderà il non-fungible token,
il creatore potrà ricevere delle royalties:
poiché l’indirizzo digitale del creatore è uno dei dati contenuti all’interno degli NFT che non possono essere modificati,
ogni volta che il contenuto verrà rivenduto il compenso che spetta al creatore gli sarà garantito.
Non mancano tuttavia le critiche da parte di chi ritiene che l’acquisto di un NFT possa essere inutile,
considerata la facilità nel copiare il file originale che ha subito il processo di tokenizzazione.
Se molti hanno accolto con entusiasmo questa tecnologia,
non mancano le voci sui molteplici rischi associati all’attuale
mancanza di regolamentazione giuridica nel campo dei non-fungible token.
Tra le problematiche sollevate
vi è la possibilità che la persona che genera e vende un non-fungible token rappresentativo di un’opera d’arte
non corrisponda al creatore dell’opera e che, inoltre, lo faccia senza il relativo consenso,
proprio perché qualsiasi oggetto digitale può subire un processo di tokenizzazione:
questa questione è stata sollevata dall’artista Devin Elle Kurtz
che in un tweet ha dichiarato di aver trovato alcuni dei suoi lavori trasformati in NFT da soggetti terzi che li avrebbero messi in vendita sui marketplace.
I searched my name to make sure my art hadn't been stolen and turned into NFTs, and sure thing, an obscure old piece from my DeviantArt is randomly on the front page of the marble cards NFT website? How is this allowed… pic.twitter.com/EE1jXLuQDL
— Devin Elle Kurtz (@DevinElleKurtz) March 12, 2021