VOLEVO DIRE A TIZIANO FERRO CHE SPESSO NON ME LO SO SPIEGARE NEMMENO IO

Joe Biden ieri si è fatta scappare la verità sui prezzi esorbitanti dei carburanti,
affermando davanti ai giornalisti riuniti in una conferenza stampa a Tokyo
che i prezzi inaccessibili del gas negli Stati Uniti fanno parte di una deliberata “transizione” verso l’energia verde.



Per chi volesse ascoltare direttamente le parole del Presidente ecco il breve video.


Joe Biden: "When it comes to the gas prices, we're going through an INCREDIBLE transition" pic.twitter.com/8TGnc7vFa8

— RNC Research (@RNCResearch) May 23, 2022




Faticando a parlare in modo coerente, Biden ha detto:
Per quanto riguarda i prezzi del gas, stiamo attraversando un’incredibile transizione
che, se Dio vuole, quando sarà finita saremo più forti, quando sarà finità



Quindi, improvvisamente, Vladimir Putin non è più da biasimare per gli alti prezzi del carburante e del petrolio nel mondo,
ma la responsabilità, come facilmente prevedibile, è della transizione ecologica.

Tutto questo però va controcorrente con l’attività di un Presidente
che poi libera 180 milioni di barili di petrolio dalle riserve strategiche, sempre più scarse,
per cercare di controllare i prezzi dei carburanti.


In realtà quella che impera è una grande, contraddittoria, confusione:

si puniscono le società petrolifere, ma , per un banale errore, non si danno nuove concessioni di estrazione.


Quindi la crisi non è dovuta a Putin, ma è causata direttamente dai governi occidentali.

Non è un caso.
 
Refinitiv Eikon, tramite Reuters,
ha appena riferito che la Grecia
sta emergendo come nuovo hub per il petrolio russo attraverso i carichi da nave a nave (STS)
.

Secondo il rapporto, le spedizioni di aprile di olio combustibile russo con destinazione Grecia
hanno raggiunto quasi un milione di tonnellate, circa il doppio dei livelli di marzo,
e si prevede che a maggio raggiungeranno nuovi massimi.


La Russia ha aumentato le esportazioni di carburante verso la Grecia,
con spedizioni destinate a salire a circa 2,5 milioni di barili, secondo i dati della società di analisi petrolifera Vortexa.

Il commercio di greggio e prodotti petroliferi russi rimane per ora legale
perché i membri dell’UE non riescono a trovare un accordo sulla metodologia di un divieto totale.


Nonostante i duri discorsi sull’abbandono delle materie prime energetiche russe,
la Russia riesce ancora a vendere una buona quantità di petrolio e gas anche nel Vecchio Continente,
oltre che in India e Cina, grazie al fatto che alcuni dei maggiori commercianti di materie prime del mondo
non hanno alcuna remora a finanziare la macchina da guerra di Putin.


Secondo i dati di monitoraggio delle navi e dei porti,
le società svizzere Vitol, Glencore e Gunvor, nonché Trafigura di Singapore,
hanno continuato a prelevare grandi volumi di greggio e prodotti russi, compreso il gasolio.


Vitol si è impegnata a interrompere l’acquisto di greggio russo entro la fine di quest’anno, ma la data è ancora lontana.

Trafigura ha dichiarato che smetterà di acquistare greggio dalla società statale russa Rosneft entro il 15 maggio,
ma è libera di acquistare carichi di greggio russo da altri fornitori.

La Glencore ha dichiarato che non avrebbe intrapreso alcuna “nuova” attività commerciale con la Russia.
Ma la realtà è che mentre il G7 si è impegnato a vietare o eliminare gradualmente le importazioni di petrolio russo,
e mentre gli Stati Uniti, il Canada, il Regno Unito e l’Australia hanno imposto dei veri e propri divieti,
l’UE non è ancora in grado di procedere, con l’Ungheria che tiene in ostaggio un divieto.


Nel frattempo, India e Cina stanno compensando gran parte delle perdite della Russia.


Se fisicamente il petrolio russo transita in Grecia,
le trattative e i pagamenti vengono in realtà effettuati nella classica piazza internazionale svizzera.


Alla fine va tutto avanti come sempre: “Business as usual”.


La Svizzera è un importante hub finanziario globale con un fiorente settore delle materie prime,
nonostante sia lontana da tutte le rotte commerciali globali,
non abbia accesso al mare, non abbia ex territori coloniali e non possieda materie prime significative.


Tutto questo accade alla faccia della Von Der Leyen
e dei suoi proclami per il divieto di utilizzo e commercio del petrolio russo.

La Commissione non riesce a imporre delle sanzioni, per il veto ungherese e non solo,
visto che la Grecia ha ottenuto un’esenzione per le sue attività di trasporto
che rende queste misure oggettivamente inefficaci.


La Commissione conta qualcosa solo con paesi come l’Italia, servi e proni.


Con chi fa i propri affari non conta nulla.
 
Il giacimento petrolifero offshore del Kazakistan, Kashagan,
ha ridotto la sua produzione di quasi la metà dall’inizio di maggio
a causa di una manutenzione, hanno dichiarato martedì fonti alla Reuters.


La manutenzione è iniziata il 19 maggio e continuerà per mesi, fino al 3 agosto.

La produzione del gigantesco giacimento di Kashagan si fermerà completamente a giugno a causa della stessa manutenzione.


La quota di produzione di petrolio del Kazakistan assegnata dal gruppo OPEC+ per maggio
è di 1,638 milioni di barili al giorno (bpd).

Per giugno, sarà portata a 1,655, ma il Kazakistan ha prodotto più della sua quota.


A causa della manutenzione, tuttavia, la produzione effettiva del Kazakistan
è scesa il 22 maggio a 1,66 milioni di bpd, rispetto ai circa 1,85 milioni di bpd del mese precedente.



Il consorzio del giacimento è composto da CNPC, Eni, ExxonMobil, Inpex, KazMunayGaz, Shell e Total.


La perdita di produzione arriva in un momento in cui tutti gli occhi sono puntati sui membri OPEC e non OPEC
del gruppo formato per mantenere in equilibrio il mercato del petrolio, noto come OPEC+.


Il Kazakistan ha subito un’altra interruzione della produzione di petrolio a marzo e aprile di quest’anno,
quando l’oleodotto che il Paese utilizza per esportare la maggior parte del suo petrolio
è stato reso in gran parte inutilizzabile a causa dei danni provocati da una tempesta.

Il Consorzio dell’oleodotto del Caspio ha dichiarato che due dei tre impianti di carico delle navi cisterna non erano operativi.

L’oleodotto è tornato a funzionare a pieno regime solo dopo un mese, fino alla settimana del 26 aprile.


Il ripristino del CPC è stato lento perché le parti necessarie per la riparazione sono state interrotte dalle sanzioni contro la Russia.

Il Kazakistan invia più di due terzi del suo petrolio in Europa attraverso l’oleodotto CPC.


All’inizio di questa settimana,
il Kazakistan ha dichiarato che prevede di produrre tra i 90 e i 93 milioni di tonnellate di petrolio nel 2023,
rispetto agli 87,5 milioni di tonnellate annue di quest’anno, a seconda dell’espansione del giacimento di Tengiz, che potrebbe essere ritardata.


Ora questo nuovo stop , in un momento delicato,
potrebbe portare al mancato raggiungimento delle previsioni di produzione,
il tutto in un momento molto delicato per i mercati energetici.
 
L’Ungheria,
il principale ostacolo che impedisce all’UE di raggiungere un accordo sull’embargo delle importazioni di petrolio russo,
non è disposta a discutere il potenziale divieto al vertice UE del 30 e 31 maggio,
secondo quanto dichiarato da alti funzionari ungheresi.



Il Primo Ministro ungherese Viktor Orban ha dichiarato in una lettera al Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel,
di aver chiesto che l’embargo sul petrolio fosse rimosso dagli argomenti di discussione del vertice, secondo il documento datato 23 marzo e ottenuto da Reuters.


Mercoledì, il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha dichiarato che
se il divieto fosse all’ordine del giorno la prossima settimana,
“si correrebbe il serio pericolo di smantellare l’unità europea”, ha riportato Argus.


“Questo problema è stato creato dalla Commissione europea,
quindi anche la soluzione deve essere proposta dalla Commissione europea”,
ha dichiarato il ministro degli Esteri ungherese.


“Riteniamo irrealistico che una soluzione completa venga proposta questa settimana”, ha aggiunto Szijjarto.


I diplomatici dell’UE hanno sperato che il vertice UE del 30 e 31 maggio
potesse raggiungere una decisione unanime sul divieto del petrolio russo,
da eliminare gradualmente nell’arco di sei mesi e con deroghe per i Paesi dell’Europa centrale,
tra cui Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.


All’inizio di maggio,
la Commissione europea ha proposto ufficialmente un divieto totale sulle importazioni di greggio e prodotti petroliferi russi, c
he dovrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno.

Ma l’UE sta ancora cercando di trovare una posizione comune,
cercando di convincere l’Ungheria e alcuni altri Paesi dell’Europa centrale e orientale
a rinunciare alla loro opposizione all’embargo.


L’Ungheria – il cui primo ministro Viktor Orban aveva stretti legami con Putin prima dell’invasione russa dell’Ucraina –
è il principale oppositore di un embargo dell’UE sulle importazioni di petrolio russo
e ha dichiarato che avrebbe bisogno di centinaia di milioni di dollari
per adattare la sua industria di raffinazione e gli oleodotti per far fronte allo stop alle importazioni di petrolio russo.


All’inizio di questa settimana,
il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck ha dichiarato che la Germania è disposta
a escludere l’Ungheria da un accordo a livello europeo su un embargo sul greggio contro la Russia.


“Se il presidente della Commissione dice che lo faremo come 26 senza l’Ungheria, allora questa è una strada che sosterrei sempre”,
ha detto Habeck, come citato da Reuters, aggiungendo: “Ma non ho ancora sentito questo dall’UE”.


Però senza l’accordo dell’ungheria NON sarebbe un accordo a livello UE, ma interstatale, e sarebbe anche un pericoloso segnale.


La prossima volta potrebbe esserci un accordo senza due, poi tre, poi quattro paesi, finalmente svuotando di significato l’Unione stessa….
 
Washington ha imposto sanzioni a una rete di contrabbando di petrolio
guidata da personaggi legati alle Guardie rivoluzionarie iraniane e presumibilmente sostenuti dal governo russo.


Oggi gli Stati Uniti sanzionano una rete internazionale di contrabbando di petrolio e di riciclaggio di denaro usata per generare entrate per l’Iran.
Chiunque acquisti petrolio dall’Iran rischia di incorrere in sanzioni statunitensi
“, ha twittato mercoledì il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.


Tra i sanzionati ci sono membri attuali ed ex delle Guardie rivoluzionarie iraniane Quds,
oltre a società cinesi e a un ex diplomatico afghano.

Per quanto riguarda la Russia, le sanzioni riguardano la RPP LLC,
che secondo il Dipartimento del Tesoro è la società utilizzata per contribuire al riciclaggio di milioni di dollari per la Forza Quds.

È accusata anche la Zamanoil DMCC, con sede negli Emirati Arabi Uniti,
che secondo il Dipartimento del Tesoro collabora con il Cremlino e Rosneft per spedire petrolio iraniano a società in Europa.


La rete avrebbe generato centinaia di milioni di dollari per la Forza Quds e Hezbollah,
attraverso la vendita e il contrabbando di petrolio sottoposto a sanzioni.


Questa rete di contrabbando di petrolio, guidata dall’ufficiale dell’IRGC-QF Behnam Shahriyari, designato dagli Stati Uniti,
e dall’ex ufficiale dell’IRGC-QF Rostam Ghasemi, e sostenuta da alti livelli del governo della Federazione Russa e da organi economici statali,
ha agito come elemento critico per la generazione di entrate petrolifere da parte dell’Iran
e per il suo sostegno a gruppi militanti per procura che continuano a perpetuare conflitti e sofferenze in tutta la regione
“,
si legge in un comunicato del Dipartimento del Tesoro.


Le sanzioni arrivano mentre gli Stati Uniti si scontrano con il muro dei colloqui sul nucleare iraniano
e con il ritorno alla piena attuazione del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA).

Fino a quando non sarà raggiunto un accordo nucleare,
la Casa Bianca afferma che le sanzioni sul commercio di petrolio iraniano saranno applicate rigorosamente.


Eppure il petrolio iraniano sarebbe essenziale per compensare la scarsità in occidente causata dalle sanzioni, anche autoimposte, al petrolio russo.


Mercoledì, Robert Malley, inviato speciale per l’Iran,
ha dichiarato alla Commissione Esteri del Senato
che le possibilità di raggiungere un accordo con l’Iran sono “nella migliore delle ipotesi, tenui”.

Ad ora il tema del superamento della definizione della IRCG, la guardia rivoluzionaria,
come organizzazione terroristica è ancora centrale nella discussione diplomatica.


Proprio la settimana scorsa, la National Iranian Oil Co.
ha affermato che il Paese potrebbe raddoppiare le sue esportazioni di greggio se le sanzioni fossero rimosse,
ma la discussione sulle sanzioni è ancora lontana dall’essere conclusa.


Sembra che proprio gli USA stiano lavorando per mantenere una scarsità nella disponibilità di petrolio mondiale.
 
L’Arabia Saudita, il primo esportatore di greggio al mondo, tratterrà su un “conto corrente”
le ingenti entrate che sta ricevendo con un prezzo del petrolio superiore ai 100 dollari
e non le spenderà immediatamente in progetti di sviluppo, crescita e diversificazione
come ha fatto nei passati cicli di boom dei prezzi del petrolio. Una pessima notizia.



Dopo anni di deficit di bilancio quando i prezzi del petrolio sono crollati nel 2015-2016 e nel 2020,
il Regno sta ora godendo di un surplus di bilancio, ma non ha fretta di aumentare la spesa pubblica, riporta Bloomberg.


Il surplus raggiunto nel 1° trimestre è riportato nel conto corrente del governo
e non è ancora stato depositato nelle riserve governative né trasferito ad altri gruppi
“,
ha dichiarato il ministro delle Finanze dell’Arabia Saudita Mohammed Al-Jadaan in una dichiarazione a Bloomberg.

Questa allocazione avverrà dopo la realizzazione del surplus, ovvero dopo la chiusura dell’anno fiscale“, ha aggiunto il ministro.


Anche gli arabi sono diventati austeri, come i tedeschi.


Durante questo ciclo di crescita, i sauditi sono intenzionati a rimpinguare le casse prima di aumentare la spesa.

È probabile che il Regno ripaghi prima i debiti e trasferisca un po’ di denaro al fondo sovrano o al Fondo nazionale di sviluppo, che investe nelle infrastrutture del Paese.


L’Arabia Saudita, che ha sofferto per le precedenti crisi dell’industria petrolifera
quando le riserve sono rapidamente svanite con il crollo dei prezzi del petrolio,
sembra ora avere un piano di sostenibilità fiscale in base al quale le riserve non scendono al di sotto di una certa quota del PIL.


“Secondo questa politica, le nostre riserve non dovranno scendere al di sotto di un certo livello percentuale del PIL.
Questa cifra sarebbe a due cifre”, ha dichiarato al-Jadaan alla Reuters all’inizio di questa settimana.


Il Regno ha registrato un’eccedenza di bilancio di 15,3 miliardi di dollari (57,491 miliardi di riyal sauditi) nel primo trimestre del 2022,
ha dichiarato il ministero delle Finanze all’inizio di questo mese.

Le entrate petrolifere sono aumentate del 58%, raggiungendo i 49 miliardi di dollari (183,7 miliardi di riyal sauditi) tra gennaio e marzo.


Il fatto che i sauditi non spendano questi soldi è un pessimo segnale:

li avessero investiti in progetti oil & gas avremmo avuto la prospettiva di un aumento prossimo della produzione di petrolio.


Fossero investiti direttamente in altro modo potrebbe esserci un ritorno indiretto anche per aziende europee.


Restando invece su un conto corrente restano sterili,
non hanno nessun effetto indiretto sull’economia europea,
e restano solo un costo.
 
Le raffinerie statunitensi stanno operando al ritmo più alto da prima della pandemia,
ma non si prevede che nel breve periodo
possano dare sollievo al mercato dei carburanti in difficoltà con incrementi della capacità di distillazione.



Alcune delle più grandi raffinerie stanno lavorando per espandere la capacità di lavorazione del greggio nei grandi impianti esistenti,
ma queste aggiunte non compenseranno completamente la capacità di lavorazione delle raffinerie statunitensi chiuse durante e subito dopo la COVID.


ExxonMobil, Valero e Marathon Petroleum stanno attualmente lavorando all’espansione di tre grandi raffinerie,
che porteranno negli Stati Uniti un’ulteriore capacità di distillazione del greggio di 350.000 barili al giorno (bpd), riferisce Dylan Chase di Argus.


Le raffinerie che vedranno ampliata la loro capacità sono l’impianto Beaumont della Exxon,
la raffineria Port Arthur della Valero e la raffineria Galveston Bay della Marathon Petroleum, tutte in Texas.


Tuttavia, dall’inizio della pandemia, circa 1 milione di barili al giorno di capacità di raffinazione in America è stato definitivamente chiuso,
poiché le raffinerie hanno deciso di chiudere gli impianti in perdita o di convertirne alcuni in siti di produzione di biocarburanti.

Quindi, comunque, la capacità produttiva non si incrementerà.


Negli Stati Uniti, la capacità operativa delle raffinerie
è stata di poco superiore ai 18 milioni di barili al giorno nel 2021, il minimo dal 2015, secondo i dati dell’EIA.


Le raffinerie statunitensi non riescono a soddisfare la domanda.

Non che la domanda sia aumentata di molto, ma è che la capacità di approvvigionamento,
a livello globale e negli Stati Uniti, è ora inferiore di qualche milione di barili al giorno rispetto a prima della pandemia.

Senza contare poi il divieto di import di carburante diesel dalla Russia.


Nel breve termine, i raffinatori stanno aumentando la capacità, che ora è ai massimi dalla fine del 2019.

Marathon Petroleum, ad esempio, prevede volumi di lavorazione totali di circa 2,9 milioni di barili al giorno nel secondo trimestre, pari al 95% di utilizzo del tasso.


“Penso che con le interruzioni della catena di approvvigionamento, le interruzioni del lavoro,
le perturbazioni economiche durante il COVID, ci sia un po’ più di incertezza sulle nuove aggiunte,
sulla capacità di raffinazione che arriva sul mercato”, ha detto Brian Partee,
vicepresidente senior della catena di valore dei prodotti puliti globali di Marathon Petroleum,
durante la telefonata sugli utili del primo trimestre all’inizio di questo mese.


C’è poi un altro problema poco considerato:

il gasolio è un “Distillato medio” ad alta intensità energetica esattamente come il carburante jet per l’aviazione.


Quindi la produzione di un tipo di carburante

limita quella dell’altro tipo

ed ora la domanda di carburante jet è in crescita.



Un ulteriore problema che ricade sulle tasche dei cittadini.
 
Dopo aver preso di mira una serie di società coinvolte in una rete di contrabbando di petrolio legata all’Iran,
gli Stati Uniti hanno sequestrato una petroliera nei pressi della Grecia
che stava trasportando il petrolio iraniano con l’intenzione di portarlo negli USA.


Il petrolio si trovava su una nave gestita dalla Russia,
che era stata individuata per essere stata già messa sotto controllo dagli Stati Uniti a febbraio.

All’epoca si chiamava Pegas.

La compagnia ha rinominato la nave Lana, battente bandiera russa nel tentativo di renderla meno evidente.

Il mese scorso la Grecia aveva sequestrato la Pegas e il suo equipaggio russo per l’invasione dell’Ucraina, ma alla fine l’aveva rilasciata.


Né gli Stati Uniti né la Russia commentano la notizia.

La Grecia sostiene di essere stata informata dagli USA che la nave era carica di petrolio iraniano, ancora sanzionato,
e che stava muovendosi verso gli USA e su ordine di Washington l’hanno sequestrata.

L’Iran ha convocato gli incaricati d’affari greci e ha definito l’incidente un “chiaro esempio di pirateria”.


Gli Stati Uniti hanno accusato la petroliera di aver caricato 700.000 bbl di petrolio dall’Iran nell’agosto 2021.

La petroliera inviava principalmente petrolio alla Cina.


All’inizio della settimana, The Maritime Executive ha spiegato che
“la storia di un’oscura petroliera russa ha preso una nuova piega…
poiché il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha sequestrato il petrolio a bordo dell’imbarcazione
e, secondo quanto riferito, sta trasferendo il petrolio negli Stati Uniti su una petroliera noleggiata”.


“La nave è stata fermata quasi sette settimane fa in Grecia
quando le autorità pensavano che fosse coperta dalle sanzioni dell’Unione Europea sui beni russi,
ma poi è stata trattenuta per carenze meccaniche
mentre i gruppi di controllo annunciavano che in realtà stava contrabbandando petrolio iraniano sanzionato”.


Il rapporto prosegue:

“La petroliera Aframax è arrivata al largo della Grecia all’inizio di aprile con segnalazioni di un possibile guasto meccanico
e indicazioni che stavano cercando assistenza per effettuare le riparazioni necessarie a proseguire il viaggio.
Quando ha gettato l’ancora a sud dell’isola greca di Evia,
la petroliera da 115.520 dwt è stata identificata come la Pegas, battente bandiera russa”.


Secondo il rapporto, “l’ipotesi iniziale era che fosse carica di un carico di greggio russo”.


Il sequestro della petroliera, e del petrolio, arriva nel mezzo delle tensioni sui colloqui nucleari in corso.


L’Iran ritiene, e non a torto, che il petrolio gli sia stato rubato,
mentre la posizione degli Stati Uniti, anche se non è ancora stata resa nota,
è che il petrolio sia ora di loro proprietà.


Ovviamente il sequestro è una sorta di sopruso nei confronti dell’Iran,
ma Teheran non può farci molto e il Mediterraneo è un lago degli USA.


Poi prendere in affitto una nave russa per portare petrolio iraniano non è esattamente un modo per passare inosservati.


Vedremo se questa mossa mettere una pietra tombale sui colloqui per l’accordo nucleare JPCOA.
 
Poche ore fa vi abbiamo scritto del sequestro,
da parte delle autorità greche su indicazione USA,
di una petroliera russa carica di petrolio iraniano.

Subito è arrivata la ritorsione.


Le relazioni pubbliche del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC)
hanno annunciato venerdì
sera il sequestro di due petroliere greche nelle acque del Golfo Persico.



“La marina dell’IRGC ha sequestrato oggi (venerdì) due petroliere greche per le violazioni che hanno compiuto nelle acque del Golfo Persico”,
ha dichiarato l’IRGC in un comunicato.

Il sequestro è avvenuto con l’arrivo, a bordo delle navi, di armati delle IRGC con elicotteri.


All’inizio della giornata, l’emittente iraniana Nour News ha riferito che il Paese avrebbe intrapreso “azioni punitive” contro la Grecia a causa del sequestro.


Nour News, che è affiliato al Consiglio supremo di sicurezza nazionale (SNSC) del Paese,
ha fatto l’annuncio senza spiegare che tipo di azione avrebbe intrapreso la Repubblica islamica.


Come vi abbiamo detto un paio di giorni fa il governo greco ha sequestrato una nave al largo delle coste di questo Paese
e ne ha confiscato il carico su presunto ordine del tribunale e in coordinamento con il governo statunitense.


L’incaricato d’affari dell’ambasciata greca in Iran (in assenza dell’ambasciatore)
era stato convocato mercoledì presso il Ministero degli Esteri iraniano,
ma , evidentemente, questa risposta non era abbastanza.

Il capo dell’Ufficio per il Mediterraneo del Ministero degli Esteri iraniano
aveva ritenuto “inaccettabile” cedere alle pressioni illegali degli Stati Uniti
e ha condannato la mossa del governo greco.


Sempre venerdì, il Ministero degli Esteri iraniano ha convocato l’incaricato d’affari della Svizzera,
che rappresenta gli interessi di Washington a Teheran,
per protestare contro il sequestro del carico di petrolio iraniano da parte degli Stati Uniti.


Il sequestro apre l’ennesima crisi internazionale, questa volta fra Grecia, USA e Iran,
che speriamo abbia una facile soluzione.


Non abbiamo proprio bisogno di un’altra guerra.
 
Buona settimana a tutti :)

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