OGNUNO DI NOI HA VISSUTO QUALCOSA CHE L'HA CAMBIATO PER SEMPRE

Se conoscete un medico od una infermiera di pronto soccorso
chiedete loro qual'è la situazione reale.

Manco tre anni fa, con la normale influenza, c'erano questi numeri :


Si alleggerisce ancora la pressione covid sull'ospedale Manzoni di Lecco:
ad oggi sono 75 i pazienti positivi ricoverati nei reparti dedicati della struttura di via Eremo.

Di questi tre - i casi più gravi - in terapia intensiva

ed uno è in trattamento con casco c-pap.
 



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SERENA NON SI RITIRA

Serena Williams non gioca da Wimbledon 2021 e soprattutto non vince un match dal Roland Garros,
da quasi un anno quindi, ma pare che non sia giunta ancora l’ora del ritiro.

“Mi sto preparando per il ritiro da una decina d’anni a questa parte.
Sono prima di tutto una mamma e una moglie, e certamente voglio avere altri figli in futuro,
ma dobbiamo capire quando sarà il momento. Spero accadrà presto.
Ci sono giorni più difficili di altri, giorni in cui è complicato riuscire a far quadrare tutte le necessità.
Ma intorno ho delle persone eccezionali che mi aiutano, insieme cerchiamo di risolvere al meglio ogni situazione complessa”.

Quindi giocherà ancora, magari senza l’ossessione di quello Slam numero 24
che le consentirebbe di eguagliare il record di Margareth Court.

Per quanto ci riguarda non cambierebbe niente,
quello che ha fatto Serena per il tennis soprattutto fuori dal campo non è minimamente paragonabile
a quanto fatto dall’australiana che ragiona come se fossimo nel medioevo.

Serena ha inoltre detto che il film che ripercorre la vita sua e della sorella Venus, King Richard, è una roba ben fatta.

“Will Smith e tutti gli altri interpreti hanno fatto un lavoro straordinario.
Credo sia uno dei film più belli degli ultimi tempi, e per me è stato un lungo viaggio nei ricordi.
Non c’è una sola scena che non mi abbia riportato indietro a un momento già vissuto con mio padre e mia sorella.
Mi sono detta che finalmente si racconta la nostra storia come andava raccontata”.

Noi lo abbiamo visto e ci è piaciuto molto.
Li abbiamo visti tutti i film di tennis, che fanno mediamente pietà, questo no.
Dategli una chance, se non altro anche perché è nominato nella lista dei migliori film per gli Oscar 2022.

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Vaya con dios Juan


Quante volte ci ha fatto piangere Juan Martin del Potro?
Tante.

Sono anni che soffriamo con lui, che lo aspettiamo,
che ci alziamo di notte per vederlo giocare il suo ultimo match
prima del nuovo infortunio aspettando l’ennesimo rientro.

Forse però non ce ne saranno più.

Quando Juan Martin si è trovato a servire sotto per 1-6 3-5 contro l’amico Federico Delbonis,
ha iniziato a piangere, e così il pubblico e così gli spettatori.

Anche noi eh, che siamo duri alla commozione.

"Non ho più energie per continuare a combattere, il dolore al ginocchio è troppo forte,
ora devo pensare a come guarire per poter avere una vita normale.

Sono molto orgoglioso di quello che ho fatto nella mia carriera, di quello che ho vinto.

Ciò che ho vissuto questa sera è indimenticabile.

Ma se quella di oggi è stata davvero la mia ultima partita, me ne vado felice“.


Altra domanda, ora: ma quanto amiamo del Potro e, soprattutto, perché così tanto?

Dice che è brutto citarsi, però Cacciari sono 30 anni va in TV a bofonchiare le solite cose e lo invitano ancora,
quindi ci perdonerete questo paragrafo (scritto bene però) di qualche anno fa:

I motivi dell’affetto verso questo giocatore sono più che comprensibili:
del Potro ha l’aria di presentarsi in maniera molto autentica, in un misto di fragilità e consapevolezza
che la nostra pigrizia ci induce a identificare tout court con un intero continente.
Poi ha subìto infortuni gravi, è tornato a giocare, si è infortunato di nuovo ed è tornato ancora.
Questo, rendendo sempre tutti partecipi sia della sua riabilitazione e della sua vita privata.
Lo ha fatto con quelle foto bruttine ma originali che condivideva con i social,
così come i suoi messaggi scritti senza ufficio stampa, le foto del suo cagnolone,
la bandana sui capelli corti come negli anni ‘80 e l’aspetto non particolarmente curato quando gioca.
Lo percepiamo più reale di altri, e per questo gli vogliamo più bene che ad altri, perché ci sembra più vicino a noi, più sincero.


A noi pare questo il motivo, perché se lo incrociassimo per strada e gli chiedessimo di andare al pub a bere una cerveza insieme siamo sicuri che ci direbbe di sì.

E poi perché più di altri ci ha sempre convinto che poteva essere lui l’antagonista dei più forti,
quelli che hanno vinto tutto negli ultimi venti anni.

Juan Martin ci ha dato sempre l’idea di essere l’unico tra i normali
che se gioca contro Federer, Djokovic, Murray, Nadal pensa di essere più forte di tutti loro, qualsiasi cosa dica il punteggio.

E che se si trova sotto impreca, sbraita, non se ne fa una ragione.
Non ci crede.
E per vie misteriose l’incredulità si trasferisce allo spettatore che finisce col non comprendere perché mai questo lungagnone argentino
dal terribile dritto non stia vincendo la partita che sta guardando.

Del Potro, con la naturalezza dei puri di cuore, ha avuto la capacità di convincere che stavamo assistendo a qualcosa di ingiusto quando perdeva.

Da oggi c’è meno tennis da seguire per quanto ci riguarda.

















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Che vuoi che sia la libertà?

Ormai in due anni di restrizioni,
di dpcm sui congiunti,
di caccia coi droni ai bagnanti
e di forsennati green pass
abbiamo assistito (purtroppo) a quasi tutto.

L’abitudine è un potente calmante.

Al punto che un senatore della Repubblica può dire in Parlamento
che non dobbiamo “cedere alla voglia di libertà” senza che i suoi colleghi lo coprano di fischi.



Non ce ne abbia Sandro Ruotolo. Ma qui occorre analizzare il suo intervento di ieri
nel corso del dibattito parlamentare sul decreto del 24 dicembre,
quello che prorogava lo stato di emergenza al 31 marzo,
riduceva la durata del green pass (due dosi) a sei mesi
e disponeva l’uso del green pass rafforzato al ristorante.

Il video del senatore sta impazzando in rete.

“Proprio sui giornali di oggi – ha detto Ruotolo – c’è l’appello, l’invito, di tutto il mondo
a cessare l’attuale fase di emergenza, di pandemia. Ma non è il momento ancora di cedere alla ‘voglia’ di libertà“.


Esatto, proprio così.

“Cedere alla voglia di libertà”,
al netto delle virgolette che non modificano il senso profondo della frase.

Come se non stessimo parlando un diritto naturale.

Come se “essere liberi” non fosse una condizione del cittadino in teoria scritta in quella Carta costituzionale resa ormai carta straccia.


A questo ci hanno portato lockdown veri e burocratici:

a convincerci, come sostiene Gramellini, che le mascherine “ci mancheranno”;

a pensare che mostrare un lasciapassare per prendere un caffè non sia chissà quale sacrificio;

a credere che “la libertà” sia solo un desiderio, un favore che lo Stato di volta in volta “concede”.



Non ora, non oggi, dice Ruotolo :
“Non siamo ancora alla fine della pandemia”.

E poco importa se tutto il mondo viaggia verso le riaperture totali.

Poco importa se siamo il Paese con le restrizioni più ferree.

L’Italia è fatta così: prima ci obbligano a indossare le mascherine all’aperto, misura di discutibile utilità,
e poi quando magnanimamente tolgono l’obbligo ti fanno credere che “l’Italia riparte”.


È una balla, e lo sa pure chi la spaccia come verità:
al chiuso dovremo ancora portare Dpi,
gli stadi sono ancora al 50% della capienza,
il super green pass serve ovunque.


In fondo ha ragione da vendere Marcello Veneziani.

“La mia preoccupazione – diceva a Quarta Repubblica pochi giorni fa
è che la cappa sperimentata nel periodo della pandemia diventi una norma quotidiana:

un po’ entrerà nelle nostre teste e nostre abitudini;

un po’, attraverso un sistema di restrizioni e vigilanza,

ci farà vivere in un’atmosfera opprimente e uniforme”.



Il motto di questa (orribile) nuova normalità l’ha già ideato Sandro Ruotolo.

Campeggerà sulle facciate del prossimo Ministero del Covid:

“Non è il momento di cedere alla voglia di libertà”.



Orwell l’aveva solo scritto più in breve: “La libertà è schiavitù”.
 
Pressioni da Paesi stranieri.

Inviti a dire che Omicron fosse “pericolosa”.

E sollecitazioni affinché non dichiarasse pubblicamente che la nuova variante causava “principalmente una malattia lieve”.



Sono queste le incredibili rivelazioni di Angelique Coetzee,
scienziata sudafricana che ha “scoperto” per prima la mutazione, rilasciate al Welt e al Daily Telegraph

Dichiarazioni che dovrebbero mobilitare la stampa mondiale e i colleghi scienziati.

E che invece stanno passando sotto traccia.



I lettori ricorderanno Coetzee.

Fu lei, nel pieno della psicosi Omicron, ad annunciare al mondo che non occorreva allarmarsi troppo.

Lo aveva detto e ridetto: “La studio da un mese, dà sintomi lievi”.

Ma quasi nessuno l’ha voluta ascoltare.

Il direttore generale dell’Oms arrivò a dire che “lo tsunami di casi” era così forte che la variante non poteva “essere classificata come lieve”.

Ed i governi di mezzo mondo hanno inasprito le restrizioni, anziché procedere con calma e gesso.

Se il Sudafrica era a conoscenza della minore pericolosità della mutazione, perché chiudere tutto?

Non è che l’obiettivo era proprio quello di mantenere alta la tensione al fine di poter stringere le maglie del controllo sociale?


Il dubbio viene.

Soprattutto dopo aver letto l’intervista alla scienziata sudafricana

“Mi è stato chiesto di non dichiarare pubblicamente che si trattava di una malattia lieve.
E di dire che eravamo di fronte ad una malattia grave“
, spiega la Coetzee.

“Io ho rifiutato perché dal quadro clinico non vi erano indicazioni che si trattasse di una malattia molto grave.

Il decorso è per lo più mite.

Non sto dicendo che si ammalerà nessuno.

Ma la definizione di malattia lieve da Covid-19 è chiara, ed è una definizione dell’OMS:

i pazienti possono essere curati a casa e non hanno bisogno di ossigeno o di ricovero”
.


E visto che, a differenza della Delta, con Omicron meno persone finiscono in ospedale o in terapia intensiva,
Coetzee non se l’è sentita di mentire esagerandone la pericolosità.

“Ho detto: ‘Non posso affermarlo perché non è quello che sto osservando'”.


La domanda ora è: da chi sarebbero arrivate queste pressioni?

Sono stata criticata dai Paesi europei“, denuncia la presidente della South African Medical Assciation (Sama).

In particolare Paesi Bassi e Regno Unito, ma non solo.


“Quello che ho detto a un certo punto, perché ero solo stanca, è stato

: in Sud Africa questa è una malattia lieve, ma in Europa è molto grave.

Era ciò che i politici Ue volevano sentire”.
 
Nel mirino ci sono ovviamente tutti i colleghi che hanno spacciato Omicron per l’anticamera dell’inferno

pur non avendo alcuna informazione chiara in merito.


Ma anche quei politici (a Speranza e Draghi fischiano per caso le orecchie?)

che “definiscono la strategia contro il Covid” guidati da Comitati di esperti

che “dimenticano il lato clinico del problema“.


“I governi hanno reagito in modo decisamente esagerato.

Quando abbiamo cercato di sostenere che fosse una malattia lieve, a causa del numero di mutazioni, tutti hanno detto che non era vero.

La gente non voleva credere che potesse essere mite”.


I politici insomma non hanno ascoltato i medici sul campo,

ma solo “i professori che non entrano mai in contatto” con un malato
.


“Nessuno chiede cosa stia succedendo alla base”, ai dottori, e così finisce che “si sbagliano molte cose”


. Mandando al diavolo l’equilibrio tra tutela dell’economia e tutela della salute.
 
Ti racconto cosa mi è successo:

alcuni giorni fa sono andata all’ufficio postale dì Palau e, come d’obbligo,

all’ingresso ho mostrato il green pass al sensore per il rilascio del numeretto.


Arrivato il mio turno allo sportello, però,

mi è stato nuovamente richiesto il green pass per il pagamento dì alcuni bollettini.

Ho anche dovuto fisicamente cedere il mio telefono affinché l’addetta lo scannerizzasse.


Non è tutto.

Perché al termine dell’operazione, quando ho chiesto di poter inviare un pacco,

mi è stato di nuovo domandato di mostrare il green pass, altrimenti la schermata sul computer non si sarebbe aperta.


In sostanza hanno chiesto lasciapassare per tre volte, alla stessa persona, all’interno dello stesso ufficio postale.


Conclusione: il green pass si conferma essere uno strumento dì controllo e non di prevenzione dal contagio.



Saluti

Claudia
 
L’orizzonte intellettuale italiano minaccia uragani.

Nella sua rubrica quotidiana, Massimo Gramellini,
uno che piace molto alla gente che piace,
si strugge perché da oggi le Ffp2 diventano “immediatamente un ricordo e per qualcuno persino un rimpianto”.

Come faremo senza mascherine a parlare “da soli in strada” senza che nessuno se ne accorga?

E come faremo a rimanere “colpiti dallo sguardo intrigante di qualche persona sconosciuta”?

Sarà impossibile rivendicare “la libertà” (ah, questa sì) di andarsene in giro “struccate”, “non sbarbati” e senza “lavare i denti”.

“Come tante altre cose che all’inizio sembravano insopportabili, la mascherina ci mancherà”.



Ecco.


L’assenza del panno filtrante farà affliggere anche Caterina Soffici,

il cui animo soffre all’idea di non dover più uscire di casa con questa “livella estetica”,

questo “strumento che ci ha unito” (?),

ci ha “reso uguali” e “partecipi di una comunità”.



Nemmeno la Nazionale e Pertini sono mai arrivati a tanto.


La sensazione è straniante“, scrive Soffici togliendosi controvoglia il dispositivo facciale.

“Come quando dopo trenta giorni di gesso ti liberano finalmente il braccio e lo guardi e non lo riconosci:
è un arto sgangherato, quasi avulso dal corpo e devi imparare di nuovo a usarlo”.

Bisognerà “abituarsi alla nuova realtà”, conclude, e “non è chiaro se tutto tornerà davvero come prima”.


Respiro.


La tragedia del Gramellini pensiero, inteso genericamente come questo assurdo elogio delle Ffp2,
in realtà non sta tanto nel rimpianto di non avere più il viso coperto.

Ma nel fatto che nei pensatori liberal è scattato il rimorso per non “dovere” più indossare la mascherina,
cioè di non avere più l’obbligo di sottostare ad una prescrizione.


Perché in punta di diritto oggi è decaduto un decreto che imponeva di coprirsi le vie aeree mentre camminavamo all’aperto,
ma nessuno impedisce agli intellettuali alla moda di continuare a portarla.


Non è vero, come scrive la Soffici, che siamo stati “smascherati per decreto”.

Se vogliono insistere coi Dpi, possono farlo.


Il “rimorso”, o il rimpianto, riguarda dunque il decreto impositivo:

sono dispiaciuti che l’universo mondo non sarà costretto a seguire sorridenti l’obbligo di mascherina.

Ed è questo il vero dramma.

La maschera la indossino pure Gramellini&soci, se credono.


Che noi viviamo bene senza.


Preferiamo la libertà.
 
Assurdità ? Demenzialità ? Boh.


Nell’Italia di Mario Draghi e della dittatura sanitaria si respira, da tempo, un’aria preoccupante.


I casi di discriminazione verso chi non si vaccina sono ormai all’ordine del giorno,

con gli stessi politici che non perdono occasione per rimarcare come siano loro, i terribili “no vax”,

i veri responsabili della pandemia, in barba a qualsiasi evidenza scientifica.


E gli episodi di intolleranza, in un questo clima fomentato ad arte dall’alto, si moltiplicano.

Al punto che è stato sufficiente un banalissimo cartello per creare guai ai gestori di un bar.


Come raccontato da Letizia Cantaloni, l’episodio è andato in scena a Urbino, nelle Marche,
dove i proprietari del bar Caffè del Sole aveva affisso un cartello fuori dal locale con scritto:

“Raccomandiamo alla gentile clientela di non smettere di vivere per paura di morire “.

Un invito a reagire in un’epoca difficile, segnata da una pandemia che ha cambiato il nostro modo relazionarsi con gli altri.


Per qualcuno, però, un messaggio pericoloso da rimuovere in tutta fretta.


Gli agenti di polizia si sono infatti presentati fuori dal locale, uno dei più frequentati del centro cittadino,
per intimare alla proprietaria di cancellare il messaggio, che era stato scritto su una lavagna all’esterno del bar.

“In caso contrario saranno presi provvedimenti”.



Jacopo Celi, proprietario dell’esercizio pubblico, ha raccontato:

“Gli agenti al nostro rifiuto di cancellare quanto scritto sulla lavagnetta hanno provveduto a fare delle foto e a minacciarci ancora una volta”.


“Quello che abbiamo vissuto noi ieri è stato vissuto da altre persone prima di noi
e se non facciamo qualcosa, se non ci opponiamo anche solo raccontandolo,
non terminerà mai e saremo sempre vittime di qualcosa che non vogliamo ammettere essere sbagliato,
nulla è più violento della censura” ha concluso il proprietario del bar.


Una storia assurda che ha fatto subito il giro dei social, c
on tantissimi utenti che hanno manifestato solidarietà al Caffè del Sole
mostrando allo stesso tempo forte preoccupazione per il clima di intolleranza in cui è piombato il nostro Paese,

con la libertà di espressione ormai a forte rischio.


 
Le mascherine all’aperto sono finalmente andate in pensione,
a conferma di una fase della pandemia che preoccupa molto meno.

Al punto da spingere tanti italiani a chiedere al governo un ulteriore passo:

l’addio al tanto discusso Green pass, vero e proprio ricatto di Stato con cui si impone, di fatto,

la vaccinazione all’intera popolazione, pena l’impossibilità di vivere una vita normale.



Sul fronte certificazione verde, però, le notizie non sono propriamente delle migliori, anzi:

con tutta probabilità, i cittadini dello Stivale saranno costretti a conviverci anche in primavera, nella migliore delle ipotesi.


Come rivelato da Patrizia Tagliaferri sulle pagine del Giornale, infatti, all’interno dell’esecutivo Draghi
c’è sì una parte che tifa per l’abolizione del Green pass,
ma al momento l’orientamento prevalente è quello di procedere per tappe, con calma.

Da marzo il certificato verde potrebbe quindi sì sparire, ma soltanto per le attività all’aperto,
rimanendo invece obbligatorio per tutte quelle che prevono l’ingresso in un negozio o locale.

Di rivoluzioni all’orizzonte, dunque, non se ne vedono, almeno per il momento.


La conferma è arrivata in queste ore da Guido Rasi, consulente del commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo:

“In alcuni casi si potrà fare a meno del Green pass,
mentre su altre situazioni come i trasporti sarei più cauto”.

Tradotto: addio all’obbligo, ma solo all’aperto.


Bar e ristoranti potranno quindi smettere di chiedere il certificato ai clienti, purché però siano seduti nei tavoli all’esterno.

In caso contrario, dovranno invece mostrare lo stesso il Qr code dal proprio telefonino.

Diranno addio al pass anche gli stadi e i luoghi dove si può svolgere sport all’aria aperta, come i circoli.

Niente da fare, invece, per le palestre, dove il certificato continuerà a essere indispensabile.

L’obbligo rimarrà anche per cinema, teatri e mezzi di trasporto.


Nel frattempo, il 15 febbraio scatterà il di Super green pass per tutti gli over 50 del Paese:

gli italiani con più di cinquant’anni, in sostanza, non potranno più lavorare

se non mostrando il certificato che ne attesta la guarigione dal Covid o l’avvenuta vaccinazione.
 

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