OGNUNO DI NOI HA VISSUTO QUALCOSA CHE L'HA CAMBIATO PER SEMPRE

Eccone un altro. Non mollano.
Chiediamoci perchè insistono così tanto su un "foglio di carta"
che non serve contro il virus, MA SERVE A TENERCI SOTTO CONTROLLO.


"Io credo sia prematuro oggi parlare di eliminazione del Super Green pass, ma una rimodulazione può essere necessaria".

A sottolinearlo il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri,
oggi a Milano a margine della cerimonia di inaugurazione dell'Anno accademico 2021-2022 dell'università Vita-Salute San Raffaele.

"Sono stato uno dei sostenitori del Green pass fin da subito.
Credo che questa diversa circolazione del virus,
con la variante Omicron che sembra essere meno aggressiva contro il polmone,
e agisce su una popolazione largamente vaccinata,
ci pone dinanzi alla necessità di una rimodulazione di ciò che abbiamo fatto", ha aggiunto.


"Quando" si potrà fare?

"Intanto osserviamo i dati,
vediamo se nascono nuove varianti altrove nel mondo,
proseguiamo con la campagna per la terza dose.
Poi una rivalutazione potrà essere fatta.
Sicuramente il Green pass non può essere qualcosa di eterno.
Non è un passaporto che ha la durata di 10 anni".


Queste riflessioni sono parte di un percorso verso
"un ritorno alla completa normalità, dove per normalità si intende anche prima o poi la rimodulazione o la rimozione del Green pass.
Certo non lo farei ora. Oggi è francamente prematuro".


"Piano piano togliamo le regole messe in campo per proteggerci e combattere Covid-19,
ed in questo percorso il Green pass potrà essere una delle ultime che potrà essere tolta.
Oggi stiamo parlando tra noi con la mascherina, al chiuso.
Io vedrei prima una rimozione della mascherina al chiuso".


"Ancora prima rivedrei le regole per i positivi asintomatici.
E piano piano così, fino a una completa normalità".
 
Il 28 febbraio scade la prossima rata della "Rottamazione-ter".

Per il pagamento hai tempo fino al 7 marzo 2022
 
Con la Legge di Bilancio 2022 che ha determinato la riforma del sistema Irpef
ed ha introdotto una serie di novità contributive, da gennaio 2022,
la busta paga ha subito un notevole cambiamento.

Si tratta di una diminuzione del netto spettante al lavoratore
che viene rideterminato a seguito delle modifiche degli elementi che impattano sul calcolo delle ritenute fiscali, ovvero:

gli scaglioni,

le aliquote Irpef

e le detrazioni di lavoro

nonché, in alcuni casi, le ritenute previdenziali di competenza del dipendente.


Risulta inoltre abrogata l’ulteriore detrazione fiscale per redditi di lavoro dipendente e assimilati,
in caso di reddito complessivo superiore a 28 mila euro e fino a 40 mila euro,
mentre viene riconosciuto un esonero contributivo parziale a favore dei dipendenti con reddito inferiore a 34.996,00 euro.


A partire da marzo poi, alle modifiche introdotte dalla legge di bilancio 2022,
si aggiungeranno quelle riguardanti le detrazioni per figli a carico previste dal Dlgs n. 230/2021,
che ha introdotto l’Assegno Unico universale per i figli a carico (AUU), clicca qui per saperne di più.

Questa misura, che sostituisce le detrazioni per figli al di sotto dei 21 anni di età
nonché la prestazione dell’assegno nucleo familiare, non transiterà in busta paga,
ma sarà richiesta direttamente dal lavoratore all’Inps che provvederà alla relativa gestione ed erogazione.
 
Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che questo virus è imprevedibile
e che corre più veloce delle nostre elucubrazioni statistiche.

Dovrebbe essere chiaro ma evidentemente non lo è:
fino alla metà di gennaio erano tutti preoccupati
per la pericolosa impennata degli indici,
per la situazione nelle scuole e
per la progressiva pressione (sebbene non esagerata) sul sistema sanitario.


Verso la metà di gennaio (e da un giorno all’altro) la narrazione è improvvisamente cambiata.

La politica ha repentinamente cambiato le parole d’ordine parlando di ripresa,
di uscita dal tunnel pandemico, di abolizione dell’obbligo delle mascherine.

Ovviamente lo ha fatto trovando una valida stampella (come sempre nell’epoca di Mario Draghi)
nei virologi da salotto televisivo,
nei mezzi di informazione e
nei soliti provocatori.


Com’è possibile che l’interpretazione dei dati sia cambiata da un giorno all’altro?

Forse i dati erano sbagliati ?

E' forse vero che si è fatto di un'erba un fascio ?

Si badi bene, non stiamo giocando a fare gli statistici e neppure i virologi laureati “all’università della vita”.

Forse in questo momento la preoccupazione principale è quella economica ?

Ragion per cui qualcuno reputa necessario veicolare messaggi di ripresa e non inutili catastrofismi ?


Ciò che è sbagliato è la “fictio operis” che ammanta la decisione.

Sarebbe bastato raccontare la verità, addurre l’esigenza di ripresa e usare buon senso.

Buon senso inteso come prudenza:
agire finalmente sui mezzi pubblici e sulle scuole,
eliminare le imposizioni anti Covid inutili che indispettiscono i cittadini.

Verità e buon senso alla lunga pagano sempre.
 
Purtroppo è già accaduto molte volte e la verità si è saputa anni dopo.

Molte guerre anche nel recente passato, sono accadute poiché basate su menzogne all’origine.

Un’aggressione inventata ai danni di una nave americana nel golfo del Tonchino nel 1964
consentì al presidente Lyndon Johnson di accusare il governo nordvietnamita
e di aumentare la presenza statunitense nel Vietnam del Sud,
iniziando l’escalation che avrebbe portato alla guerra del Vietnam con la sua drammatica contabilità di due milioni tra morti e feriti.


Nel 1973 la strana guerra dello Yom Kippur.
Tre divisioni corazzate egiziane ammassate ai confini di Israele
inspiegabilmente sfuggirono all’attenzione dei più efficienti servizi segreti del mondo.

Israele fu attaccato ma dopo iniziali insuccessi ribaltò la situazione e neutralizzò il nemico.

Caso unico nella storia militare che un vincitore conceda un territorio allo sconfitto,
negli accordi che conseguirono, il Sinai conquistato nella precedente guerra dei Sei Giorni fu restituito.

La benzina in quell’anno in Italia aumentò da 100 a 400 lire, nel mondo altrettanto,
con grande soddisfazione dei petrolieri americani, dei produttori arabi e dei banchieri israeliani.



Venendo a tempi più recenti Bush padre, profondamente preoccupato dell’indipendenza del Kuwait,
attaccò l’Iraq in quella che venne denominata la prima guerra del Golfo.

Per giustificare la seconda la storia delle armi chimiche inventata da Bush junior e dal fedele alleato britannico
parve poco probabile anche agli osservatori meno puntigliosi.

Commissioni parlamentari appositamente costituite in seguito appurarono i finti presupposti.

Più reali furono le conseguenze: 150mila morti di cui 90mila civili iracheni,
dodici milioni di disoccupati, un’area ancora adesso totalmente destabilizzata.



La repressione armata con cui Gheddafi rispose alle sommosse popolari scoppiate in Libia
sull’onda dei moti di protesta più generalizzati che coinvolsero vari Paesi arabi del Mediterraneo
fu l’occasione per Francia, Usa e Inghilterra per eliminare un capo di Stato
che stava avvicinandosi troppo al nostro Paese, scompigliando la politica energetica di quella regione.

Anche in questo caso i danni dell’operazione sono ancora sotto gli occhi di tutti.


Ora, dopo un quadriennio in cui Stati Uniti avevano abbandonato il principio della “responsabilità di proteggere
in base al quale era considerato lecito intervenire in quei Paesi ove si verificavano presunte violazioni dei diritti umani,
siamo di fronte a un nuovo possibile conflitto, di difficile comprensione.

Da settimane fonti diplomatiche e d’intelligence Usa
ci spiegano come l’invasione ucraina da parte della Russia sia ormai imminente.

Mai nella storia militare ci sono stati così tanti avvertimenti, sempre smentiti da parte russa,
e mai in precedenza era stata comunicata addirittura la data precisa dell’attacco.


Il motivo principale additato ai russi è legato al possibile ingresso dell’Ucraina nella Nato,
anche se al momento non risulta che alcuna
richiesta sia stata formalizzata da parte dell’Alleanza atlantica.

La Russia non vuole assolutamente che ciò accada, perché si ritroverebbe senza Stati cuscinetto a protezione di Mosca.

Secondo l’intelligence Usa, la Russia avrebbe ammassato circa 130mila unità al confine con l’Ucraina
con il preciso obiettivo di attaccare il Paese confinante e conquistare la capitale Kiev in pochi giorni.


Gli Usa hanno già inviato tremila militari nell’Est Europa, messi in allerta altri ottomila e spedito armi a Kiev.


La strategia bellica russa non è oggettivamente comprensibile:


se un attacco è stato pianificato,

perché attendere tanto tempo

quando le armate ai confini sono in movimento da mesi ?


L’altissima tensione al momento ha comunque causato i primi evidenti risultati:

petrolio e gas alle stelle,

problemuzzi interni all’Amministrazione Usa passati in secondo piano,

paesi arabi che si fregano le mani
.


Speriamo che basti così e non si vada oltre, sconfinando in una guerra che il mondo non capirebbe.
 
Le ultime crisi geopolitiche nelle sfere di interesse europeo e dell’alleanza Atlantica, per la dinamica intrapresa,
necessitano di costante aggiornamento nelle risposte diplomatiche, senza mai sovrapporre risposte di strategia militare.

Rincorrere le dichiarazioni degli organismi militari, seppur qualificati,
non aiuta i percorsi che settant’anni fa l’umanità ha inteso creare attraverso organismi internazionali per risolvere le controversie.

Anche perché in assenza di una costante presenza di politica estera le tensioni si aggravano.

Lo testimonia la Libia che, seppur con la totale militarizzazione del Paese,
rappresenta la sistematica disintegrazione e il disfacimento politico-istituzionale.

Ricomporre le fazioni, da parte di chi la crisi l’ha originata con una inutile e grave avventura militare,
ha prodotto una guerra civile che di fatto oggi vede due presidenti contendersi la leadership
e tre aeree di interesse geopolitico (Tripolitania, Cirenaica e Fasania) che dividono quel Paese con inevitabili tensioni.



La medesima catastrofica situazione si ripete in Mali,
ove di fatto le operazioni belliche guidate prima dalla Francia ed ora dall’Italia,
non hanno prodotto significativi risultati nella lotta al terrorismo
ma hanno messo in discussione gli storici rapporti con la Francia,
la cui storia colonizzatrice non viene più tollerata dalla popolazione locale.


La credibilità della politica estera Ue passa attraverso una minuziosa attenzione alla guida delle missioni militari.


Oggi, alla luce delle notizie che ci arrivano dal Mali,
mi sembra doveroso chiedere al ministro della Difesa ed al ministro degli Esteri
di rivedere la nostra presenza in quell’area, visto il mutato assetto politico
ed il nuovo assetto organico del Paese africano con la Russia e, ribadisco,
soprattutto per il fallimento nella lotta al terrorismo, motivo per il quale si autorizzò la missione.


Acclarati i rapporti ostili delle forze occidentali con la popolazione locale,
sarebbe opportuno da parte del Governo rivedere la missione stessa
o indicare, qualora ci fossero, le ragioni della permanenza.
 
Sia GE che Siemens hanno avuto un forte calo dai ricavi dall’energia eolica lo scorso anno, ma cosa accadrà quest’anno?

Con la Germania ed altre regioni sviluppate di energia rinnovabile
che hanno sperimentato basse velocità del vento nel 2021,
molti si sono chiesti se il vento sia la forma affidabile di energia che è stata così spesso descritta.


Il business delle energie rinnovabili di Siemens Gamesa ha visto la sua capitalizzazione di mercato quasi dimezzarsi nell’ultimo anno,

poiché le interruzioni della catena di approvvigionamento e i bassi livelli di vento hanno influenzato negativamente le operazioni.

Siemens ha affermato che le sue entrate sono scese a 2,06 miliardi di dollari tra ottobre e dicembre 2021,
segnando un calo del 20,3% su base annua.

Le perdite operative sono state pari a quasi 353 milioni di dollari.

Le azioni sono più che dimezzate in valore






siemens.png







La società ritiene che le sue entrate potrebbero contrarsi tra il 9 e il 2% su base annua, affermando:

“Considerando i risultati nel primo trimestre dell’esercizio 22
ed il fatto che la società non prevede una normalizzazione delle condizioni di fornitura nel resto dell’anno,
Siemens Gamesa ha adeguato la sua guida per l’anno fiscale 22"

Il presidente del consiglio di amministrazione, Miguel Angel López, ha spiegato che la società stava
“vivendo sfide significative nella sua attività onshore in un mercato molto difficile”.



Questa non è l’unica major europea dell’energia eolica a risentire della tensione,
poiché sia Vestas che Orsted hanno avvertito dei tempi difficili per il settore delle rinnovabili alla fine dello scorso anno.

Le aziende danesi hanno espresso le loro preoccupazioni per le basse velocità del vento,
le sfide in corso nella catena di approvvigionamento e l’aumento dei costi di produzione associati alle operazioni di energia eolica.

Anche Vestas, ad esempio, ha subito un calo del 36% nel valore azionario l’ultimo anno.


vestas.png




Orsted ha registrato un calo dei profitti nel 2021 associato a velocità del vento inferiori rispetto al 2020.

L’Europa ha registrato alcune delle velocità del vento più basse degli ultimi decenni l’anno scorso.

Questo, combinato con i maggiori costi associati, dalle materie prime ai trasporti,
ha significato un anno difficile per le aziende di energia rinnovabile.

Nonostante l’ottimismo emerso dal vertice COP26 sul clima lo scorso autunno,
queste sono inevitabilmente il tipo di sfide che le aziende di energia verde
possono aspettarsi di affrontare man mano che aumentano le operazioni nei prossimi anni.


In termini di materie prime, i prezzi dell’acciaio sono aumentati vertiginosamente nel 2021,
con il prezzo di riferimento in aumento dell’86% negli Stati Uniti e del 53% in Europa.

Poiché l’acciaio costituisce una parte significativa della struttura delle turbine eoliche,
il costo dei nuovi progetti di parchi eolici è salito alle stelle.

Le incertezze sui costi e l’affidabilità della velocità del vento
hanno successivamente abbassato i prezzi delle azioni di molte società di energia rinnovabile.


Nella prima metà del 2021, la Germania ha riferito che la sua quota di energia rinnovabile
è scesa al 42,6% della potenza totale del paese, in calo dell’8,1%.

L’energia eolica offshore e onshore è diminuita del 28%.


Con la Germania che dovrebbe aprire la strada alle ambizioni dell’UE
di fare affidamento interamente sulle energie rinnovabili nei prossimi decenni,
decarbonizzando la sua economia nazionale,
dovrà mostrare al mondo come si sta riprendendo da questo anno volatile in futuro.


Negli Stati Uniti, anche il segmento delle energie rinnovabili di General Electric (GE)
deve affrontare sfide dovute all’aumento dei costi delle materie prime e dei trasporti
che incidono negativamente sulle sue operazioni eoliche onshore.

L’amministratore delegato dell’azienda Larry Culp ha dichiarato:

“Non vedo ancora una soluzione vicina”.

E “vedremo un po’ più di pressione inflazionistica nel 2022”, ha affermato.



GE sta combattendo l’aumento dei costi e delle difficoltà con la catena di approvvigionamento,
cercando fornitori alternativi e cercando parti alternative per cercare di gestire i prezzi.

L’inflazione avvertita durante e dopo la pandemia ha colpito duramente le aziende di tutti i settori.

Tuttavia, i settori fiorenti come l’energia rinnovabile si sentono peggio mentre cercano di decollare,
incontrando diversi ostacoli lungo il percorso.

Per GE, il dubbio sull’estensione dei crediti d’imposta sulla produzione negli Stati Uniti per l’eolico onshore si aggiunge all’incertezza nel settore.


Praticamente abbiamo un settore industriale visto come rilevante che è in balia del vento.


Si possono erigere anche un milione di torri eoliche, ma senza vento non se ne muove nessuna.

Il settore è parzialmente dipendente dagli investimenti e la programmazione rischia di essere aleatoria.


Lo si capisce chiaramente anche dalla pubblicità pressante fatta da diversi operatori
perché investiate in fondi verdi, come l’ultima campagna Amundi.


Si cerca sempre di distribuire le perdite, e di concentrare gli utili,
anche quando questo non è “Ecologicamente etico”.
 
Dove sono i 50 milioni di immunizzati che dovrebbero riempire i locali?


Dovevano salvare l’Italia dalla bancarotta perché dicevano di voler tornare alla normalità perché immunizzati.

Dichiarano di avere una cieca fiducia nella scienza;
una fiducia ripagata dalla garanzia che tra vaccinati non c’è possibilità di contagio.

Ma dove sono spariti?

Il tradimento
vignetta-ristoratori covid green pass


Avere avvallato le restrizioni ambigue del Governo, anziché opporvisi, ha contribuito a seminare la paura.

Un grave errore di valutazione che oggi i ristoratori pagano a caro prezzo.

E non possono neanche prendersela con i clienti,
visto che hanno tradito gli stessi che li avevano aiutati a tenere aperto con l’asporto (durante i lockdown)
e poi erano scesi in piazza al loro fianco, pretendendo il greenpass
invece che fare fronte comune contro a questa arma di suicidio di massa per ristoratori.

Credevano di sfangarla affidandosi agli eroi.

Vediamo com’è andata a finire.

Locali vuoti, dove sono gli eroi che volevano tornare alla vita di prima?
 
Lo hanno fatto per generosità verso il prossimo.

Loro si definivano eroi col senso civico che si stavano sacrificando
(ma se i vaccini sono sicuri quale sacrificio sarebbe?) per proteggere gli altri.

Ci dovevano traghettare nella nuova era.

Una terra promessa dove tutto non sarebbe stato come prima.

Poi, sul più bello, gli immunizzati sono spariti.

Non si sa dove siano finiti.

All’inizio insultavano quelli che se ne andavano da soli a correre o col cagnolino.

Poi hanno iniziato a prendersela con i no.

Ed hanno sperato ed atteso
fino a quando non hanno avuto la soddisfazione di vedere segregati i non vaccinati, grazie al super green pass.


Dicevano che era necessario se si voleva ottenere “la garanzia di trovarsi tra persone non contagiose”.

Forti delle statistiche, snocciolate giorno per giorno, minuto per minuto:

60%,

70%,

75%,

80%,

85%,

90% di vaccinati!!!,

che amano sbandierare ai quattro venti,

dovrebbero essere 50 milioni di cittadini bramosi di ritornare alla vita.


Perché loro, gli eroi, sono fieri dell’impresa
di aver tirato in mezzo anche milioni di concittadini che mai si sarebbero vaccinati, se non obbligati.

Risultato raggiunto con grande soddisfazione dei nostri prodi.

Possibile che non se ne veda che una manciata in giro?

Alla fine gli eroi; quelli col senso civico e la fiducia nella scienza, hanno dato buca,
imponendo di fatto un lock-down dal basso.

Democratico.
 

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