OGNUNO DI NOI HA VISSUTO QUALCOSA CHE L'HA CAMBIATO PER SEMPRE

“To live in a land where justice is a game” (Bob Dylan, “Hurricane”, 1976).

Non si può che morire di vergogna, per il fatto di vivere in una terra dove, ormai, la giustizia è un gioco.


E dove “they try to turn a man into a mouse”, provano a trasformare l’essere umano in topo:
non Rubin Carter, il famoso pugile finito in carcere, ma proprio tutti.


Il rumore di ceppi e catene si è fatto assordante,
lungo i meandri stucchevoli nella neolingua sanitaria
che pretende di assoggettare i cervelli e i corpi,
sottendendo la fine – sostanziale – di uno Stato di diritto che invece esiste ancora,
e per il momento arma la mano di centinaia di avvocati combattivi.


Sopravvive tuttora la Costituzione entrata in vigore nel 1948,
benché amputata brutalmente una decina d’anni fa con l’inserimento dell’obbligo del pareggio di bilancio.

Una Carta ora ritoccata anche con l’ambigua indicazione, teoricamente nobile ma contigua al verbo “gretino”,
sulla tutela dell’ambiente (possibile alibi per chissà quali altre torsioni, future o imminenti).


Quanto è lontana, da tutto questo, la remotissima America in cui un cantautore carismatico – con una semplice canzone di denuncia –
poteva contribuire a restituire la libertà a un atleta finito in cella in quanto afroamericano, per un rigurgito tardivo di razzismo?

A contendersi la Casa Bianca, all’epoca, erano Gerald Ford e Jimmy Carter.


Oggi il mondo sa che l’inquilino di Pennsylvania Avenue è un anziano diroccato e forse mentalmente presente solo a intermittenza.

Un ometto debolissimo, piazzato su quella poltrona da maneggi informatici scandalosamente enormi,
su cui le autorità giudiziarie non hanno mai voluto fare piena luce.

Un presidente facente funzioni, interamente manovrato da altri, cui oggi tocca misurarsi – in mezzo a gaffe ormai leggendarie –
con un personaggio come Vladimir Putin, tra praterie di missili puntati.


Il vecchio film, la guerra, sembra un fantasma che ritorna, un vampiro inestinto:
solo che stavolta il cittadino medio non riesce ad afferrarne neppure il sapore più superficiale,
preso com’è da tutti gli altri assilli che, da due anni, lo inchiodano al baratro di precarietà nel quale la vita di tutti è letteralmente precipitata, in Occidente.


Lo stesso Bob Dylan, in pieno terrore pandemico (marzo 2020) ha voluto mettere l’accento sul “murder most foul”,
il più disgustoso degli omicidi – quello di John Fitzgerald Kennedy – come sciagurato evento-chiave della seconda parte del secolo,
conclusosi davvero solo l’11 settembre 2001 con la sua coda di orrori:

l’Iraq e l’Afghanistan,

le bombe al fosforo sui civili di Falluja e su quelli di Gaza,

Obama e le altre carneficine “regionali” (dalla Libia alla Siria),

i tagliagole dell’Isis in azione in Medio Oriente e nelle capitali europee.


E’ durata pochissimo, la ricreazione, perché sulla scena ha fatto irruzione il coronavirus-chimera di Wuhan:

la globalizzazione della schiavitù psicologica e non solo, con il suo corredo di strumentazioni distopiche.



Il “false prophet” dell’ultimo Dylan è uno scheletro che brandisce una siringa,
suonando alla porta di casa come per consegnare un regalo ben impacchettato.

Nel disco (“Rough and rowdy ways”) manca solo l’estremo omaggio, il corollario:

la schedatura definitiva mediante pass vaccinale, e senza neppure la cortesia di un vero vaccino.


Il mistero più fitto continua ad aleggiare sui sieri genici C-19:

graziosamente, in prima battuta, Pfizer aveva provato a sostenere che sarebbe stato possibile rivelare la loro reale composizione soltanto fra 70 anni.


Nel frattempo, le agenzie europee della farmacovigilanza parlano di oltre 30.000 morti sospette

e 3 milioni di persone finite nei guai dopo l’inoculo:

sembra il bilancio di una guerra, non certo quello di una campagna vaccinale.


Nonostante ciò, probabilmente, sfugge la vera ragione che motiva i renitenti, che sono milioni:

a farli desistere dal subire l’iniezione è essenzialmente l’atteggiamento ricattatorio di un potere che si è macchiato di un crimine gravissimo,

rifiutandosi ostinatamente di approntare terapie efficaci, sollecitamente segnalate dai medici.
 
Questo, si immagina, ha contribuito a causare la morte di migliaia di persone:

pazienti non curati,

lasciati a casa a marcire da soli in modo da poter poi essere ricoverati,

gonfiando in tal modo i numeri televisivi dell’emergenza.



Dovrebbe essere intuitivo comprendere il “no” di tanti italiani:

com’è possibile accettare di ottenere una sorta di libertà condizionata, a patto di sottoporsi al Tso,

se questo è imposto da autorità tanto inaffidabili e pericolosamente sleali?



Il caso italiano fa scuola:

se è vero che l’uragano psico-politico-sanitario si è abbattuto essenzialmente sull’Occidente,

è vero anche che nessun altro paese ha dovuto vivere i supplizi inflitti all’Italia,

in termini di vessazioni e distorsioni dell’ordinamento democratico.



Perfettamente speculare anche l’acquiescenza della maggioranza dei cittadini-sudditi,

ormai rassegnati a subire qualsiasi arbitrio,

da parte della voce del padrone (non importa quale).


Mentre gli altri paesi occidentali si stanno scrollando di dosso la dittatura sanitaria, nella patria del potere vaticano si usa ancora obbedir tacendo:

il governo prolunga oltremisura le restrizioni e ritarda in modo esasperante le cosiddette riaperture,

con l’aggravante del Tso esteso in modo pressoché generalizzato.

Le discriminazioni sono diventate persecutorie,

varcando la soglia degli uffici pubblici,

di molti negozi,

persino degli sportelli bancari e delle Poste.



Questo, per ora, è lo spettacolo offerto da Mario Draghi, destinato a entrare nella storia:

esattamente come il Britannia e la svendita del paese negli anni ‘90,

come il “whatever it takes” concesso solo dopo la morte civile della Grecia e la capitolazione di Italia e Spagna.



Un vero statista, ovviamente, avrebbe innanzitutto messo mano al problema numero uno:

lo ha fatto Boris Johnson, nel Regno Unito, fungendo da apripista per svariati paesi, dalla Spagna alla Danimarca.

La Francia annuncia la fine del Green Pass entro marzo?

Niente paura: il bis-ministro Speranza (in quota alla Fabian Society, che gli italiani non conoscono)
va avanti imperterrito con lo squallore settimanale delle Regioni “colorate”,
come se davvero fossimo in presenza di un’emergenza ospedaliera.


La verità è tristissima:

qualcuno, lassù, ha deciso che l’Italia dovesse essere l’area-test per il nuovo ordine sanitario.


Le major ordinarono di procedere:

scelsero l’Italia, come paese-cavia per gli obblighi vaccinali,

conoscendone il ventre molle (politico) e la solidità dello storico tutore che risiede Oltretevere,

il network tentacolare che traffica anche coi cinesi, coi vaccini e coi tamponi.



A proposito:

non è certo uno scherzo, smontare da un giorno all’altro l’albero della cuccagna.

Chiunque ci provasse, va da sé, forse potrebbe anche temere persino per la sua incolumità fisica.

Non a caso si è stranamente affollato, il cimitero degli scienziati che avevano osato sdrammatizzare il problema, offrendo soluzioni tempestive e convincenti.


Dopo aver bellamente elevato a sistema l’esercizio del ricatto,
oggi il signor Draghi – a un anno dall’intronazione – può ben fregiarsi del titolo di grande demolitore:

come se fosse sempre lui, il fondo, il vero detentore della specialità rottamatoria.


Ci aspetta una crisi socio-economica dai risvolti potenzialmente spaventosi?

Ovvio:

per un anno intero, il governo (in questo, identico al precedente)
ha letteralmente sventrato interi settori vitali,
dal commercio al turismo,
passando per la scuola,
i trasporti,
la cultura,
lo spettacolo.


Come da copione, fa notare qualcuno:

l’inferno dei tanti è il paradiso dei pochissimi,

quelli che infatti orchestrano la sinfonia di Davos.



Non andrà tutto bene?

Già.


Ma non andrà completamente in porto, a quanto a pare, neppure la conversione definitivamente “cinese” della latitudine occidentale:

il grande caos è agitato dallo scontro, sotterraneo e non, di possenti forze contrarie.


Se la catastrofe è grandiosamente globale, comunque, l’Italia riesce a brillare di luce propria:

nessun altro paese ha usato così bene il Covid per terremotare il proprio tessuto socio-economico.



Tornano alla mente i tempi (oscuri, ma non quanto l’attuale) dei tentati golpe e delle stragi nelle piazze:

poteri sovrastanti, che manovrano silenziosamente.


Il target non è cambiato:

l’Italia, gli italiani.


A cui lo show offre le prodezze di Sanremo
e le carezze che il gesuita Bergoglio dispensa a Greta Thunberg,
la ragazzina davanti a cui si genuflette Draghi insieme al ministro Cingolani.


Mala tempora.

tanti connazionali, ormai, si sentono già esodati:

e infatti stanno programmando l’espatrio, verso lidi meno inospitali.


Chi può permetterselo, sta seriamente pensando di lasciare il paese:

tale è il disgusto che provocano le sue autorità politiche,

ma anche la deprimente sottomissione della maggioranza ostile e buia,

annichilita dalla paura e fuoriviata dalla disinformazionme di regime.



Perché proprio l’Italia?

Perché proprio l’erede dell’impero che Ottaviano Augusto volle far discendere dal troiano Enea,
cioè dalla Creta dei Minosse che la mitologia dipinge come atlantidea?

Perché proprio l’Italia, dominata per quasi due millenni dal medesimo potere confessionale, retrivo e oscurantista?


Qualcuno intanto si diverte, amaramente, a constatare la strettissima osservanza vaticana delle massime cariche istituzionali:

gli inquilini di Palazzo Chigi e del Quirinale,
più il neo-presidente della Corte Costituzionale (altro personaggio, Giuliano Amato, rimasto nel cuore degli italiani).


Ecco, appunto:

gli italiani.

Forse sono proprio loro, che mancano all’appello.

Dove sono?

Facile: eccoli là, in fila per il tampone.



Fino a quando? Il palazzo comincia a parlare di allentamenti primaverili: ma chi si fida più, di quelle lingue biforcute?


Se lo stanno godendo appieno, il grande spettacolo della schiavizzazione strisciante:

in fila per tre, con la brava mascherina sulla faccia.

Medici, psicologi e sociologi si esercitano in previsioni apocalittiche:

parlano di danni, fisici e mentali, incalcolabili.



Sembrano gli effetti di un immane esperimento sulfureo:

scoprire fino a che punto si può “trasformare un uomo in un topo”.


In Italia, ovviamente.

Come sempre.
 
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Finte libertà per tenerci in gabbia
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Questo per risvegliare il neurone e farvi capire con chi abbiamo a che fare ...
Una perenne emergenza......ma qualcuno che parli di cura ?
Eh no. Finirebbe lo scopo del loro agire.
Il controllo sistematico delle persone, del mondo,
perchè chi mi dice che "loro" abbiano fatto il siero ?

Un invito a non abbassare troppo la guardia, perché «la pandemia non è finita»,
è arrivato dalla direttrice dell’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie,
Andrea Ammon, intervenuto a Caffè Europa su Rai Radio1.

Secondo l’esperta, infatti,

«è probabile che questo Covid-19 rimanga con noi» e

«non è detto che Omicron sia l’ultima variante che vediamo».


Parole che più che al passaggio da pandemia a endemia, di cui molto si parla ormai,
sembrano alludere al rischio di nuove svolte inattese nell’andamento del Covid.



Qualche giorno fa il direttore per l’Europa dell’Oms, Hans Kluge, a dire che

«la tregua potrebbe portare a una pace duratura».

Insomma, che «è possibile che l’Europa si stia muovendo verso la fine della pandemia».

«Prevediamo un periodo di calma prima che il Covid-19 possa tornare verso la fine dell’anno,
ma non è necessariamente la pandemia a ritornare»
, aveva precisato, facendo riferimento al superamento di questa ondata.
 
Altro tassello. Leggete le stupidate che riescono a dire.
Ma più che stupidate, le fesserie da perfetto politico.
E la gente....ci crede. Impensabile a che punto siamo arrivati.


I partiti che più hanno spinto sulle restrizioni sanitarie, Pd e Leu su tutti,

stanno cercando con ogni mezzo di rallentare il processo di riapertura del Paese

il quale, tanto per cambiare, vede l’Italia nel ruolo di fanalino di coda mondiale.




Il movente è, a mio avviso, piuttosto evidente:

giungere con questo clima di paura,

di cui le medesime restrizioni rappresentano un elemento fondamentale,

in prossimità delle prossime elezioni parlamentari,

così da incassarne un cospicuo dividendo in termini di consensi,

raccontando la balla che è solo grazie alle loro strabilianti misure che non abbiamo mandato i monatti a raccogliere i cadaveri per le strade.




Ebbene, una tangibile conferma di tale disegno,
basato sul piano di limitazione delle libertà democratiche,
l’ha offerta il dem Francesco Boccia giovedì scorso, durante Agorà, in onda la mattina su Rai 3.


Interpellato proprio sulla sempre più evidente distanza che ci separa dagli altri Paesi sul ritorno ad una piena normalità,
queste le parole profetiche di Boccia:

“Sarà perché io ogni persona che entra in terapia intensiva la ritengo una sconfitta del sistema di prevenzione;

sarà perché tutti i pazienti oncologici che non fanno le visite in tempo e non riescono ad avere delle risposte dal sistema la ritengo una sconfitta collettiva,

evito di fare quello che si iscrive alla scuola degli ottimisti a prescindere.

Nel senso che il nostro Paese, che è stato un modello nella prima, nella seconda e nella terza fase,

resta un Paese che grazie ad un tessuto di solidarietà, che è dentro le viscere della collettività, ha tenuto meglio di altri.

Quindi, io dico semplicemente, usciamone quando abbiamo la certezza che dopo la vaccinazione di massa, che dobbiamo continuare, a ottobre non servirà un altro vaccino.”



Quindi, rispetto al ministro della Salute Speranza, il quale aveva posto come obiettivo "zero morti a causa del virus per tornare alla normalità",



Boccia alza ulteriormente l’asticella, con l’insensato, irragionevole traguardo "di nessun malato di Covid-19 nelle terapie intensive".



Inoltre, onde rafforzare la linea di una estrema prudenza,
egli usa la vergognosa correlazione spuria tra i ricoveri causati dal virus e i ritardi nelle diagnosi e nelle cure dei malati di cancro.


Segnalo che attualmente negli ospedali italiani ci sono 1322 pazienti Covid in terapia intensiva, poco più del 13% della capienza massima.

E se prima della pandemia avevamo appena 5.000 posti letto nelle intensive, spesso messe in crisi nei periodi invernali dall’influenza stagionale,

ora che li abbiamo quasi raddoppiati, potenziando anche il numero dei posti letto nei reparti ordinari

l’onorevole Boccia ci viene a raccontare che con gli attuali, rassicuranti ricoveri causati dal coronavirus

non è garantita l’assistenza a chi è malato di altre patologie?


Si tratta evidentemente di un chiarissimo pretesto per prendere ulteriore tempo e ribadire la costanza dello stato di emergenza.



Ma è con la paventata minaccia di un quarto vaccino ad ottobre,

la cui eventualità viene assunta da Boccia come dirimente per continuare nelle restrizioni,

che appare assolutamente manifesta l’intenzione di questa gente di non mollare la presa.



Sapendo benissimo che con i primi freddi persino i blandi virus del raffreddore, parenti stretti del Sars-Cov-2, diventano più aggressivi,

il nostro campione ha buon gioco nel calciare in avanti di qualche mese la classica lattina.


Anche perché con il sistema collaudato di attribuire al Covid tutti i ricoveri e i decessi di persone positive al tampone,

includendo chiunque abbia qualsiasi problema respiratorio,

Boccia e company non impiegherebbero molto a far ripartire nel prossimo inverno la loro infernale macchina del terrore virale.



D’altro canto, giunti al fin della licenza, ad un anno dal rinnovo del Parlamento,

da questi straordinari professionisti delle emergenze inventate

non possiamo certo aspettarci un radicale cambio di linea,

con il rischio che la loro colossale impalcatura di balle crolli sotto i colpi della realtà,

svelando alla maggioranza degli ignari cittadini l’inganno con cui sono stati da costoro abilmente manipolati.
 
Mark Zuckerberg non ha mai fatto dell'umiltà la sua principale caratteristica.

Stavolta, però, lascia trasparire un'inedita preoccupazione nei confronti di un concorrente.

Il suo nome è TikTok.


Nelle conferenze successive alla diffusione dei dati trimestrali di inizio febbraio,
il ceo e il cfo David Wehner hanno nominato l'app ben nove volte.

Citazioni di altre applicazioni: una per Twitter e una per Pinterest.

Non è solo una questione di parole ma anche di numeri.

Eccoli, riportati da Paolo Fiore per Agi.


I dati Sensemakers-Comscore certificano un andamento opposto.


TikTok riesce oggi a raggiungere il 70% degli utenti tra i 18 e i 24 anni.

Due anni fa era al 43%.


Nello stesso periodo, Facebook è passato dal 92% al 71%.


In sostanza, le app sono in pareggio ma la tendenza è chiara: TikTok si avvia al sorpasso.

Meta si consola con la solidità di Instagram (stabile all'85%).


Per Zuckerberg va ancora peggio se si guarda il tempo speso ogni giorno sull'applicazione,
indice di coinvolgimento molto apprezzato dagli inserzionisti:

nel giro di due anni, TikTok lo ha quadruplicato (da 10 a 38,2 minuti),

superando sia Instagram (comunque cresciuto da 16,5 a 28,1 minuti)

che Facebook (da 11,5 a 6,3 minuti).



Anche in questo caso, ad allarmare la più popolosa piattaforma social al mondo non è (solo) la differenza ma la tendenza.

Facebook perde minuti mentre il concorrente guadagna.


E non è solo un dato limitato ai più giovani.


TikTok raggiunge il 30% della popolazione maggiorenne (era al 18% due anni fa).

Facebook, con una penetrazione dell'85% è ancora lontano, ma, anche qui, cala (era al 93% nel 2019).


Una fuga dei soli teenager non sarebbe un grande problema.

Ma questi dati intaccano uno degli obiettivi di Meta, ribadito dal ceo all'inizio di febbraio:
“Il nostro lavoro è essere sicuri che le nostre app offrano i migliori servizi per i giovani adulti”.


Nel 2020, ByteDance (la casamadre di TikTok) ha raddoppiato il proprio fatturato, portandolo a 34,2 miliardi di dollari.

Secondo i dati presentati al registro delle imprese britannico,
il fatturato di TikTok in Europa è stato di 170,8 milioni, cresciuto in un anno del 545%.

Secondo Reuters, nel 2021 ByteDance (non quotata e quindi con meno obblighi di trasparenza)
ha proseguito la crescita, con un fatturato di 58 miliardi (+70%).


La spesa in app degli utenti di TikTok – segnala un'analisi di SensorTower - ha raggiunto i 2,3 miliardi di dollari nel 2021, il 77% in più del 2020.

Si dirige verso i 3 miliardi di download.


Sarebbe la prima app non di proprietà di Meta a raggiungere questo traguardo.

La Cina rimane il mercato principale, ma la sua quota si è ridimensionata, passando in un solo anno dall'85% al 57%.


TikTok sta quindi diventando davvero globale, anche dal punto di vista finanziario.


Facebook ha ancora una scala diversa (ha chiuso il 2021 con un fatturato che sfiora i 118 miliardi),
ma è cresciuto a un ritmo dimezzato (+37%).

È fisiologico che una società solida cresca più lentamente di una che – di fatto – è ancora una startup.


Ma commentando i dati dell'ultima trimestrale, quella che ha innescato il crollo in borsa del 25%.

Zuckerberg ha spiegato che il rallentamento previsto a inizio 2022 ha due motivi.

Entrambi sono legati a TikTok

. “Il primo è la concorrenza.
Le persone hanno molte opzioni su come spendere il loro tempo
e app come TikTok stanno crescendo molto rapidamente”.

Per reagire, Facebook ha ribadito di voler puntare sui Reels, cioè sui brevi video ispirati proprio a TikTok.


Ed ecco il secondo motivo:
Siamo nel mezzo di una transizione verso i video brevi”,
che stanno sostituendo formati “più remunerativi”.

In altre parole: per attirare utenti, Zuckerberg sta puntando su una novità
che ha grande capacità di coinvolgimento ma (al momento) meno spazio per la pubblicità.

Sacrifico incassi oggi per moltiplicarli in futuro.


Ed è qui, per la prima volta, che la preoccupazione di numeri e parole si mescola.
 
Come mai uno così viene ancora intervistato e preso in considerazione ?

Ci vogliono proprio far passare per bacucchi.

L'unico - ripeto - L'UNICO paese al mondo ad avere delle
GRAVI LIMITAZIONI ALLA LIBERTA' PERSONALE


«Insieme alla vaccinazione deve diventare uno dei due perni della nuova normalità.

Se li togliamo siamo a rischio.

Sarebbe la terza volta che facciamo lo stesso errore,
il terzo anno in cui pensiamo che tutto sia finito
e poi ci troviamo con la curva che risale.

Deve essere chiaro a tutti: il virus circola ed è temibile»,


dice il consulente del ministro alla Salute Roberto Speranza
 
È passato il mese di luglio del 2020;

è passato il mese di agosto del 2020;

è passato il mese di settembre del 2020;

è passato il mese di ottobre del 2020;

è passato il mese di novembre del 2020;

è passato il mese di dicembre del 2020;

è passato il mese di gennaio del 2021;

è passato il mese di febbraio del 2021;

è passato il mese di marzo del 2021;

è passato il mese di aprile del 2021;

è passato il mese di maggio del 2021;

è passato il mese di giugno del 2021;

è passato il mese di luglio del 2021;

è passato il mese di agosto del 2021;

è passato il mese di settembre del 2021;

è passato il mese di ottobre del 2021;

è passato il mese di novembre del 2021;

è passato il mese di dicembre del 2021;

è passato il mese di gennaio del 2022;

sta passando il mese di febbraio del 2022.


Ho voluto scriverli tutti e i mesi che sono passati dalla data del 13 luglio del 2020
in cui conoscemmo il quadro di risorse che rendevano possibile l’attuazione
di un Piano nazionale di ripresa e di resilienza;

li ho voluti scrivere dettagliatamente tutti,
perché sono passati senza che si riuscisse a spendere nulla (o forse pochissimo)
di quell’enorme volano di risorse che la Unione europea ci aveva in vari modi (a fondo perduto o in prestito) assicurato.


In realtà, purtroppo, disponiamo ormai di una chiara diagnosi che, in modo inequivocabile,

ci dice che il nostro Paese, la nostra Pubblica amministrazione, da almeno sette anni,

ha praticamente dimenticato :

come “spendere le risorse”,

come aprire i cantieri,

come dare corrispondenza operativa tra intuizione ed attuazione.
 
Molti diranno “ma nei prossimi mesi, addirittura nei prossimi giorni partirà tutto”,
ma guardando ai mesi che si sono susseguiti dal 13 luglio del 2020 ad oggi
scopriamo che la frase “ma nei prossimi mesi, nei prossimi giorni partirà tutto
rimane solo una promessa inevasa.

A tale proposito, ritengo utile ricordare che l’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il 13 luglio 2020,
tornando dalla riunione dei presidenti della Ue in cui si era praticamente approvato il Pnrr
rilasciò apposito comunicato in cui veniva precisato che “entro l’anno (cioè entro il 2020)
avremmo ottenuto una prima tranche di 20 miliardi di euro, una tranche che ci avrebbe consentito di aprire i primi cantieri”.


Ora, a mio avviso, prendono corpo due sostanziali preoccupazioni:


– un Paese che ha dato prova di grande efficienza progettuale e realizzativa,
costruendo in un anno e mezzo il viadotto di Genova,
dimostrando di essere in grado di dare un misurabile esempio proprio nel comparto delle costruzioni,
rimane, invece, inerme di fronte a una operazione organica che coinvolge direttamente ed indirettamente tanti soggetti attuatori;


– e partito, invece, il Superbonus, un’agevolazione prevista dal decreto legge “Rilancio
che eleva al 110 per cento l’aliquota di detrazione delle spese sostenute dal primo luglio 2020 al 30 giugno 2022 (poi prorogato al 2023),
per specifici interventi in ambito di efficienza energetica, di interventi antisismici,
di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.


Questi due casi perché rappresentano, almeno nel comparto delle costruzioni, dei veri paradossi.


Il primo, infatti, denuncia una capacità a fare tale da, grazie ad un apposito decreto legge (130/2018):


affidare un’opera del costo di 327 milioni di euro (tra demolizione del vecchio viadotto e costruzione del nuovo) in soli 40 giorni;


progettare il nuovo viadotto lungo più di un chilometro entro un arco temporale davvero inimmaginabile (60-90 giorni);


collaudare l’opera nel mese di giugno del 2020;


inaugurare l’opera il 3 agosto 2020.


Tutto questo è stato possibile grazie a un decreto
che ha praticamente messo da parte il vergognoso Codice degli Appalti (prodotto nel 2016)
ed ha ridimensionato i vincoli procedurali posti da strumenti come la Verifica di impatto ambientale.

In realtà, quello che poi abbiamo chiamato “modello Genova
ha funzionato grazie a un provvedimento legislativo che sulla base di una chiara volontà dello Stato e del Parlamento
ha annullato la serie di inerzie che caratterizzano il comparto delle costruzioni
ed al tempo stesso è emerso un chiaro e forte segnale:

quando si vuole davvero è possibile dare concretezza alle scelte programmatiche.

Invece dal 2015 in poi
, ripeto escluso il caso Genova, questa volontà è mancata.


Il secondo caso, quello del Superbonus, è ancora più sconcertante,
siamo cioè in presenza di un provvedimento che è nato "male".


Ma questi due casi, uno che denuncia la enorme capacità a fare,
l’altro la casualità che riaccende le "convenienze" nel settore delle costruzioni,
amplificano ulteriormente la meraviglia che stiamo provando nell’assistere

alla mancata capacità di attivare la spesa,

alla assenza di Stati di avanzamento lavori (Sal),

alla completa atarassia dei soggetti attuatori a livello centrale che locale.


Ricordo che dei 344 miliardi di euro
la componente legata alle opere edili
(reti stradali e ferroviarie, edilizia scolastica, edilizia sanitaria, dighe, porti, rigenerazione urbana, riqualificazione ambientale)
supera i 210 miliardi di euro.

Finora, escluso il valore di spese pregresse relative ad opere attivate addirittura nel 2014 con la legge Obiettivo per un valore di 2,4 miliardi di euro,
non riesco a trovare altro ed anche quelle che saranno rendicontate nel 2022 per un valore globale di circa 1,7 miliardi di euro
sono relative a opere approvate, avviate a realizzazione e coperte sempre dalla legge Obiettivo sin dal 2014.

E allora non resta che confermare che siamo purtroppo in presenza di una tragica patologia del sistema Paese;

un sistema che, essendo caduto in un letargo quasi irreversibile, non riesce più a risvegliarsi.


Non per amplificare le preoccupazioni ma,
per capire la dimensione della distanza tra quanto l’Unione europea aveva definito in termini di dettaglio programmatico e di attivazione delle risorse,
riporto il quadro dettagliato delle erogazioni.


Penso sia utile soffermarsi su un dato:

entro la fine del 2022 dovremmo aver speso circa 70 miliardi di euro.



Non dico nulla,

gradirei però che non dicessero nulla

tutti coloro che, con un ritmo giornaliero, ci raccontano,

specialmente nel comparto delle infrastrutture,

evoluzioni positive d intuizioni programmatiche che,

come dicevo all’inizio, da 18 mesi non producono risultati, non attivano la spesa.
 

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