Stefanel si arrende e chiede l'ammissione al concordato preventivo. E il titolo crolla a 10 cent (-39%).
La situazione del gruppo fondato a fine anni 50 a Ponte di Piave, Treviso, era da tempo difficile.
Solo negli ultimi sei anni Stefanel è dovuta ricorrere a due aumenti di capitale,
tre ristrutturazione del debito e vari progetti di restyling del marchio e riposizionamento su un target di clientela più abbiente.
Tutti falliti.
Così il primo semestre si è chiuso con ricavi in calo a 67,4 milioni (da 77,2 milioni), una perdita di oltre 13 milioni,
un patrimonio negativo per 11,5 milioni e, soprattutto con 84,4 milioni di debiti.
Numeri che hanno portato i revisori di Ernst&Young a mettere in dubbio la continuità aziendale.
Eppure, fino a pochi giorni fa, c'era chi credeva nell'arrivo di un cavaliere bianco, in grado di portare mezzi freschi nelle casse del gruppo
e di spingere le banche creditrici a definire un nuovo accordo di ristrutturazione del debito.
Che fa capo per il 70% a Intesa, Unicredit e Mps e, nel corso delle ultime tre ristrutturazioni,
anche grazie alla cessione delle attività non strategiche (iniziando da Nuance) è stato dimezzato,
ma nonostante tutto Stefanel non è stata in grado di rispettare i covenant, (parametri a cui è legato un finanziamento)
e, ormai, da cedere è rimasto poco. La speranza di nuovi investitori non è comunque durata molto.
Giuseppe Stefanel, numero uno della società, su richiesta della Consob è intervenuto per smentire le indiscrezioni.
È la fine di un'epoca.