IO NON HO DIFETTI... HO PREGI CAPOVOLTI

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Stefanel si arrende e chiede l'ammissione al concordato preventivo. E il titolo crolla a 10 cent (-39%).

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La situazione del gruppo fondato a fine anni 50 a Ponte di Piave, Treviso, era da tempo difficile.
Solo negli ultimi sei anni Stefanel è dovuta ricorrere a due aumenti di capitale,
tre ristrutturazione del debito e vari progetti di restyling del marchio e riposizionamento su un target di clientela più abbiente.

Tutti falliti.
Così il primo semestre si è chiuso con ricavi in calo a 67,4 milioni (da 77,2 milioni), una perdita di oltre 13 milioni,
un patrimonio negativo per 11,5 milioni e, soprattutto con 84,4 milioni di debiti.
Numeri che hanno portato i revisori di Ernst&Young a mettere in dubbio la continuità aziendale.

Eppure, fino a pochi giorni fa, c'era chi credeva nell'arrivo di un cavaliere bianco, in grado di portare mezzi freschi nelle casse del gruppo
e di spingere le banche creditrici a definire un nuovo accordo di ristrutturazione del debito.
Che fa capo per il 70% a Intesa, Unicredit e Mps e, nel corso delle ultime tre ristrutturazioni,
anche grazie alla cessione delle attività non strategiche (iniziando da Nuance) è stato dimezzato,
ma nonostante tutto Stefanel non è stata in grado di rispettare i covenant, (parametri a cui è legato un finanziamento)
e, ormai, da cedere è rimasto poco. La speranza di nuovi investitori non è comunque durata molto.
Giuseppe Stefanel, numero uno della società, su richiesta della Consob è intervenuto per smentire le indiscrezioni.

È la fine di un'epoca.
 
Quella in cui la moda era legata a doppio filo con il Veneto dove, a darsi battaglia, erano brand che portavano il nome della famiglia di provenienza:
Benetton, Stefanel e Coin, per citare i casi più noti.

La lenta agonia della moda tricolore inizia nel 2002 con l'ingresso nel mercato italiano di Zara,
il brand spagnolo a lungo tenuto ai blocchi di partenza. Dopo Zara, è stata la volta degli altri brand della capogruppo
Indetex (Oysha, Massimo Dutti e Pull&Bear), di Mango, altro marchio spagnolo, degli svedesi di H&M e degli americani di Gap e Banana Republic.
Oggi, in quelle stesse vie dove un tempo trionfavano i negozi di Stefanel e Benetton, ci sono vetrine che parlano inglese, svedese e spagnolo.

Ieri mattina quindi il cda di Stefanel «ha valutato e deliberato» di presentare «domanda di ammissione al concordato preventivo 'in bianco' o 'con riserva'»,
riservandosi di «presentare un ricorso per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti».
Anche Finpiave, a cui fa capo il 20,3% del capitale del gruppo di abbigliamento, ha presentato stessa domanda.
La procedura consente a Stefanel di continuare a operare sotto la supervisione del Tribunale, proteggendosi dai creditori.

Lo scenario non è entusiasmante neppure per la storica rivale di Ponzano Veneto,
Benetton alle prese con l'emorragia dei ricavi (il 2015 si è chiuso con vendite in calo dell'1,2% a 1,52 miliardi) e una perdita netta di 46 milioni.
Dopo il delisting del 2012, anche per Benetton, dove lo scorso anno è arrivato alla presidenza Francesco Gori,
è iniziato un processo di ripensamento e riorganizzazione per tornare a crescere, magari con un nuovo partner.
 

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