LA FALLA – Pur di
accelerare la distribuzione delle identità l’Agenzia il
rilascio anche attraverso il riconoscimento Web:
usando la WebCam un operatore di un
call-center privato (sì, non un pubblico ufficiale!)
visiona i documenti che gli vengono mostrati ma dei quali non può
accertare l’autenticità,
rischiando così di essere facilmente tratto in inganno da chi volesse sostituirsi a un altro cittadino per far incetta dei suoi
dati sensibili
come la
dichiarazione dei redditi e l’Isee,
referti e visite mediche, la
situazione previdenziale e le denunce di infortuni all’Inail,
l’iscrizione all’asilo nido e i congedi di maternità, il pagamento di
tasse e bolli, proprietà immobiliari e dichiarazioni di successione.
Un’
impresa, ad esempio,può sfogliare le fatture elettroniche di un concorrente. Senza che qualcuno se ne accorga.
L’ESPERIMENTO – Il punto di forza diventa così l’anello debole della catena.
Chi scrive lo ha sfruttato riuscendo senza difficoltà a farsi accreditare agli occhi dello Stato con l’identità di un
collega.
Lo stesso esperimento, va detto, si poteva tentare a uno sportello fisico, correndo solo qualche rischio in più perché il punto è questo:
se fino a ieri con un
documento falso non si andava lontano oggi – con l’
identità digitale fasulla interconnessa a tutti i servizi della PA –
si può carpire una miriade di informazioni su una persona, una famiglia, un lavoratore e un’impresa.
E presto operare direttamente sui loro
conti correnti, il giorno in cui Spid – come ipotizzano dall’Agid – sarà abilitato in ambito bancario.
Il futuro riserva poi lo
switch off obbligatorio e allora nessuno sarà esente da rischi, neppure il cittadino
Matteo Renzi.