IO NON HO DIFETTI... HO PREGI CAPOVOLTI

Ma capite in mano a chi siamo capitati ?
Ma questi due, che razza di tecnici hanno ? Guasconi come loro ? CEEEEERTO

Doveva essere “facile, veloce e sicuro“. Ma per violare la “grande rivoluzione digitale” del governo Renzi bastano colla, forbici e un computer.
A otto mesi dal lancio del Sistema pubblico per l’identità digitale (Spid) si scopre che lo si può usare per carpire i dati sensibili di qualunque cittadino. Senza essere hacker.

Dal 15 marzo scorso è operativo “Spid”, il Sistema pubblico d’identità digitale che con un pin unico
permette di accedere a tutti i servizi online della pubblica amministrazione (Inps, Agenzia Entrate, Comuni, scuole, asl)
e interagire direttamente con loro, rendendo il rapporto con la burocrazia “veloce, semplice e sicuro“.

Finché arriva qualcuno a guastare la festa, armato dell’astuccio di un bambino e di un computer.
 
IL FLOP – Vero pilastro del piano Renzi-Madia per la semplificazione 2015-2017, il sistema Spid è partito otto mesi fa,
con un anno di ritardo sul ruolino di marcia. Il governo prevedeva di collegare entro il 2017 circa 10 milioni di utenti
ma dopo sei mesi le identità digitali rilasciate sono poco più di140.000 e di questo passo per centrare l’obiettivo non basteranno 25 anni.

Dietro al flop, va detto, ci sono ragioni tecniche ed economiche.
Le amministrazioni periferiche dello Stato faticano ad effettuare la migrazione dai loro vecchi sistemi di accreditamento (tipo Cns),
tanto che solo due regioni (Emilia Romagna e Friuli) sono agganciate a Spid (tutte dovranno adeguarsi entro dicembre 2017).
Non aiutano poi la procedura farraginosa e i costi per il cittadino:
l’identità digitale è stata pubblicizzata come “gratuita per i primi due anni” ma ottenerla può costargli anche 20 euro.

In ogni caso il dato è imbarazzante per il governo che deve esser corso ai ripari esercitando pressioni sull’Agid,
l’Agenzia per il digitale (che fa capo alla Presidenza del Consiglio) e sugli Identity Provider accreditati (Infocert, Tim, Poste) per recuperare il ritardo e scongiurare la figuraccia.

Finendo però per farne una peggiore, perché in Italia – lo abbiamo dimostrato e documentato con un video –
non è un colosso privato tipo Yahoo o un attacco informatico straniero a insidiare la privacy e la sicurezza dei cittadini.
Ma il loro governo. Ecco come.
 
LA FALLA – Pur di accelerare la distribuzione delle identità l’Agenzia il rilascio anche attraverso il riconoscimento Web:
usando la WebCam un operatore di un call-center privato (sì, non un pubblico ufficiale!)
visiona i documenti che gli vengono mostrati ma dei quali non può accertare l’autenticità,
rischiando così di essere facilmente tratto in inganno da chi volesse sostituirsi a un altro cittadino per far incetta dei suoi dati sensibili
come la dichiarazione dei redditi e l’Isee, referti e visite mediche, la situazione previdenziale e le denunce di infortuni all’Inail,
l’iscrizione all’asilo nido e i congedi di maternità, il pagamento di tasse e bolli, proprietà immobiliari e dichiarazioni di successione.

Un’impresa, ad esempio,può sfogliare le fatture elettroniche di un concorrente. Senza che qualcuno se ne accorga.

L’ESPERIMENTO – Il punto di forza diventa così l’anello debole della catena.
Chi scrive lo ha sfruttato riuscendo senza difficoltà a farsi accreditare agli occhi dello Stato con l’identità di un collega.
Lo stesso esperimento, va detto, si poteva tentare a uno sportello fisico, correndo solo qualche rischio in più perché il punto è questo:
se fino a ieri con un documento falso non si andava lontano oggi – con l’identità digitale fasulla interconnessa a tutti i servizi della PA –
si può carpire una miriade di informazioni su una persona, una famiglia, un lavoratore e un’impresa.

E presto operare direttamente sui loro conti correnti, il giorno in cui Spid – come ipotizzano dall’Agid – sarà abilitato in ambito bancario.
Il futuro riserva poi lo switch off obbligatorio e allora nessuno sarà esente da rischi, neppure il cittadino Matteo Renzi.
 
Al quale ora tocca chiedere:

a) Quanto è costata l’infrastruttura che rottama 50milioni di CNS (Carta nazionale dei servizi) già distribuite ai cittadini?

b) Chi restituirà a privati e imprese i soldi che hanno pagato di tasca loro per essere accreditati a operare in un sistema che si è scoperto (e dimostrato) permeabile a un bambino?

c) Chi può garantire che i 140mila accreditamenti rilasciati finora siano stati e siano in condizioni di assoluta sicurezza?

d) Chi, come e quando si prende l’impegno di adeguare il sistema mettendolo in sicurezza?
 
Ahahahahah

Il meno originale di tutti discute di scissione dell’atomo, qualche maligno sfiora l’insulto parlando di pidocchi con la tosse
mentre invece chi conosce uomini e cose la definisce per quella che è: una guerra tra bande, magari piccole, ma pur sempre bande.

È la faida interna all’Udc, il partito di Pierferdinando Casini, fedele alleato dei governi di Silvio Berlusconi
che con Salvatore Cuffaro aveva in Sicilia il suo inesauribile granaio di voti.
Archiviata la stagione berlusconiana, con Cuffaro che entrava nel carcere di Rebibbia dopo la condanna definitiva per favoreggiamento alla mafia,
ecco che l’Udc – o meglio quello che ne rimaneva – si è avvicinato al Pd,
non mollando neanche per un secondo il suo posto al tavolo della maggioranza sia a Roma che a Palermo.

Ed è proprio tra Palermo e Roma che adesso va in onda la ferocissima guerra intestina tutta interna agli ultimi eredi dello Scudo crociato.
 
Giovanni Ardizzone, solitamente misurato presidente dell’Assemblea regionale Siciliana, si è appellato ai religiosissimi Rocco Buttiglione e Paola Binetti, e poi ha metaforicamente incendiato la sagrestia. “Un partito che in Sicilia stringe rapporti con cocainomani e mafiosi sospende una persona per bene come D’Alia, senza vergogna alcuna. Dispiace il vostro assordante silenzio”.

I cocainomani e i mafiosi
A più di qualcuno saranno fischiate le orecchie, ma a chi si riferiva Ardizzone di preciso? Paola Binetti è imbarazzata: “Il collega Buttiglione ed io – dice – abbiamo scelto la strada del silenzio operativo, per schierarci non con questo o quel leader, ma per lavorare intensamente alla difesa dell’unità”. Silenzio operativo dunque, mentre a dettagliare le dichiarazioni di Ardizzone, arriva Adriano Frinchi, segretario siciliano dell’Udc: “Cesa è segretario dell’Udc dal 2005, praticamente da sempre, ma non ha mai preso posizioni così estreme come la sospensione e il deferimento ai probiviri per parlamentari coinvolti in vicende di droga o di mafia”. Segretario, qualche nome? “Penso per esempio a Cosimo Mele, parlamentare coinvolto in note inchieste per droga, ma anche a Salvatore Cintola, ex assessore al Bilancio di Cuffaro, il cui nome era contenuto in altre indagini per spaccio di stupefacenti”.

L’ombra lunga di Cuffaro
E i mafiosi? Frinchi non si sottrae: “Cuffaro è stato mai deferito ai probiviri quand’era sotto processo? Non credo. Poi basta andare a guardare l’archivio di qualsiasi giornale per rendersi conto di tutti gli esponenti dell’Udc che in passato hanno avuto problemi simili senza che nessuno muovesse un dito”. L’elenco in effetti è sterminato mentre un dito e anche qualcosa di più è stato mosso anche per Frinchi, eletto segretario dal congresso siciliano dell’Udc, ma non riconosciuto dai vertici nazionali, che hanno spedito sull’isola un commissario: il senatore Antonio De Poli. “Insieme a lui – racconta Frinchi – hanno anche nominato un vice commissario, Ester Bonafede, che ha preso la tessera ad ottobre e la cui storia è nota a tutti”. Ex assessore del governo Crocetta, Bonafede è infatti una cuffariana di strettissima osservanza: dietro la faida interna all’Udc si allunga dunque l’ombra di Totò Vasa-Vasa (bacia-bacia, per la sua attitudine a baciare qualsiasi cosa fosse a portata di smack)? “Abbiamo avuto sentore che ci siano stati movimenti di questo tipo – racconta Frinchi – Nei territori, nelle province, quelli di Cuffaro sono di nuovo operativi. Per loro l’Udc è un contenitore appetibile”. È in questo modo, quindi, che deve essere letta l’operazione di Cesa? Un allontanamento dal centrosinistra per poi riportare l’Udc in mano a Cuffaro?
 

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